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Scompare un grande protagonista della cultura di Molfetta: l'attore Giorgio Azzollini (Aldini)
15 aprile 2011

A distanza di pochi giorni dalla morte del pittore Franco d’Ingeo, è scomparso un altro grande protagonista della cultura di Molfetta, il medico-attore Giorgio Azzollini, in arte Aldini. Quindici lo ricorda riproponendo la recensione del libro “Discorso in forse (per attore solo)” che gli dedicò il giornalista Antonio Rossano (morto anch’egli due giorni dopo) autore delle opere che Giorgio recitò per tanti anni. A scriverla è il direttore Felice de Sanctis, grande amico di entrambi. Un piccolo libro per un grande attore, per quel “grintoso animale da palcoscenico” che ha trasformato in tanti anni di collaborazione e con la sua forte carica espressiva e quella sua grande umanità che traspare nelle sue recitazioni, che ha dato voce, volto e soprattutto anima ai personaggi disegnati con la penna da Antonio Rossano, giornalista, scrittore con la passione per il teatro. Il libro – dedicato a Giorgio Aldini, attore e medico molfettese - ripercorre le varie fasi di un sodalizio artistico di successo, di un connubio d’intenti abbastanza singolare, se non raro, nel panorama culturale della nostra terra: Antonio ideava e scriveva e Giorgio animava quelle parole con una recitazione struggente di grande sensibilità scenica. Monologhi sì, ma mai monotoni, bensì animati da quella presenza grandiosa che si agita, freme, dialoga, si contorce coinvolgendo lo spettatore in una rappresentazione straordinaria che non consente la minima distrazione. Un istrione nato, istintivo e allo stesso tempo acuto, profondo, ma che nasconde una fanciullesca innocenza. Perché Giorgio, come ricorda Antonio nel suo volumetto - un vero omaggio all’amico - reciterebbe stupendamente anche un elenco telefonico “tale è la sua capacità di stupire il pubblico, di condurlo per mano fra situazioni, suoni e parole vivifi cate, reinventate sera per sera in un gioco felice e stressante insieme: libero e lucido, accorto e disincantato, di apparente piena donazione e – allo stesso tempo – di grande, totale egoismo”. Giorgio, infatti, è capace di recitare con una trasfi gurazione personale volta per volta diversa: un animale di scena che si spende, quasi si esaurisce, reinterpretando se stesso e il suo personaggio infi nite volte, compiacendosi della nuova identità, della nuova voce, perfi no della nuova anima che gli attribuisce. Per il pubblico, “certo anche per il pubblico: ma soprattutto per se stesso, per la scommessa sempre dura, e in Giorgio sempre vincente, di essere un altro, molti altri, restando – felicemente e dolorosamente – se stesso”. Chi conosce personalmente Giorgio, stenta a riconoscerlo sulla scena dove opera la metamorfosi dal simpatico compagnone sempre allegro, ottimista, generoso, a un maestoso interprete del testo che fa suo esaltandolo ben oltre le aspettative dell’autore: rigoroso professionista col testo, fantasioso e creativo nell’interpretazione con un gesto, una modulazione della voce, un’intonazione personalissima, capace di “scavare (o scovare) nel testo intenzioni da me apparentemente lontane, recondite”, riconosce lo stesso Rossano. E’ una sorta di introspezione psicologica nell’autore, una ricerca di quella verità nascosta, di quel messaggio inconscio che ogni scrittore vorrebbe trasmettere al suo lettore e al suo pubblico, ma che spesso le parole non sono suffi cienti a materializzare: è l’attore che riesce a dare corpo e soprattutto anima a un testo teatrale, come ad un articolo di giornale. L’ho sperimentato direttamente affi dando con un po’ di timore e forse un pizzico di incoscienza, un mio articolo di fondo, un commento, una rifl essione giornalistica a un attore e ho piacevolmente scoperto, con grande sorpresa, come un bravo attore sia capace di tirare fuori da quelle parole, che pur sempre inducono ad una rifl essione, il loro signifi cato profondo nascosto dietro il linguaggio volutamente discorsivo, giornalistico. E’ vero, un grande attore è capace di recitare anche un elenco telefonico e un articolo di giornale. E Rossano ricorda come Aldini (ma preferisco chiamarlo molto molfettesemente col suo vero cognome, Azzollini) sia “entusiasta come un dilettante, rigoroso come un professionista, severo con se stesso, duro con l’autore”. Quante volte i due hanno discusso su un’intonazione, un gesto, l’interpretazione di un passaggio e Giorgio, alla fi ne, deciso ha replicato in dialetto: “Tu pensa a scrivere, che a recitare penso io”. “Ogni volta diverso, ogni volta coerente, Giorgio esalta le mie parole vive – scrive Tonino Rossano – facendole lievitare: fonde azione e musicalità, dilata e attenua talvolta impercettibilmente anche le pause, i silenzi, le sospensioni”. E la sua profonda cultura, le sue inconfondibili radici meridionali, con quella sua ironia bonaria, ma penetrante che nasconde sempre un sottofondo morale, ne fanno un grande interprete autentico della sua terra. Non a caso Pirandello rientra tra i suoi autori preferiti (memorabile la sua interpretazione dell’Uomo dal fi ore in bocca). “Vi ce la spicce”, mi direbbe ora Giorgio, come annota Rossano nel suo libro sottolineando la modestia dell’uomo che sulla scena diventa superbo artista e giudice implacabile nel raccontare una verità che penetra profondamente nello spettatore. Il sodalizio unico, la simbiosi artistica tra Rossano e Aldini è straordinaria: l’uno scrive per l’altro conoscendone il temperamento, la sensibilità, la passionalità interpretativa; l’altro recita un testo che sa essere ad hoc per lui e lo scompone, traendone il meglio. Un successo. Il libro di Rossano si conclude con un breve scritto “Finale con gallina” dall’intento scaramantico in un’atmosfera beckettiana, ma che racchiude in se tante situazioni: pace, guerra, giustizia, libertà, emigrazione, metamorfosi del potere, metafora della vita in tutta la sua drammaticità e verità. Scaramantico perché il brano non è stato mai rappresentato in quanto Giorgio ha deciso (e le sua scelte non si discutono) di recitarlo postumo, cioè - confessa l’autore - “quando andrò all’Inferno dei cattivi scrittori”.

Autore: Felice de Sanctis
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