Salvemini e un mancato articolo su Jaurès
Frammenti di storia
A poco più di un mese dall’eccidio di Sarajevo e un giorno prima della mobilitazione dell’esercito francese, il 31 luglio 1914 un ultranazionalista fanatico assassinò con una revolverata Jean Jaurès. Il leader socialista pacifista francese, fortemente contrario al conflitto, lasciata la redazione dell’Humanité, si era recato dal ministro degli Affari esteri René Viviani allo scopo di incrementare le pressioni della Francia sulla Russia per il mantenimento della pace. Poco dopo, mentre teneva una riunione nel Café Restaurant du Croissant tra Rue Montmartre e Rue du Croissant, alle 21:40 fu ammazzato da un certo Raul Villain. Era un membro della “Lega dei Giovani Amici dell’Alsazia-Lorena”, i quali scalpitavano per una guerra revanscista della Francia contro la Germania, che aveva occupato quelle regioni dopo la guerra franco-prussiana. Dieci anni dopo, nel primo decennale dell’assassinio politico, Filippo Turati pensò a Gaetano Salvemini per un articolo commemorativo su Jaurès da pubblicare sulla rivista Critica sociale e glielo chiese con una lettera, che fu recapitata con un certo ritardo. Salvemini allora non si trovava a Firenze, ma nella riviera di Motrone di Marina di Pietrasanta, in Versilia, per fare ristabilire la moglie Fernande Dauriac, seriamente ammalata. Dello stato di sua moglie Salvemini aveva fatto cenno all’amico Gino Luzzatto in una lettera da Firenze del 5 luglio 1924, con la quale gli aveva inviato, in séguito all’assassinio di Giacomo Matteotti, «il testo della dichiarazione» di iscrizione al Partito Socialista Unitario rielaborato nella sera precedente con i sodali a lui più vicini, preoccupati dalla dittatura fascista che minacciava gli italiani col più completo sfacelo morale e politico del Paese. Salvemini chiedeva a Luzzatto delle osservazioni sul testo di iscrizione al Psu e i nomi di eventuali altri firmatari, per procedere a «una revisione definitiva » e mandare «il testo dattilografato per la firma autografa a tutti gli amici » aderenti e quindi alla segreteria del Psu. L’antifascista poi aggiungeva: «Vorrei tutto fosse fatto entro il 31 luglio. Io non vado in Inghilterra. Mia moglie non sta punto bene. Ed io non oso mettere fra lei e me 48 ore di treno. Andremo al mare a Motrone (Lucca). È malattia grave, lunga e pericolosa, sebbene senza preoccupazioni imminenti. Nello scrivermene, usa prudenza, perché non vorrei che s’impressionasse leggendo la tua lettera». In realtà, per la raccolta di altre adesioni al Psu, passò tutto agosto e solo nel settembre del 1924 Salvemini poté iscriversi al partito di Turati. Intanto dopo il 5 luglio, trascorsi alcuni giorni, Gaetano e Fernande si erano trasferiti sulla marina di Motrone, in una deliziosa locazio-ne con le finestre affacciate su una bella pineta. Qui giunse la missiva di Turati con la richiesta di collaborazione per uno scritto su Jean Jaurès. L’ultimo articolo di Salvemini sulla Critica sociale era apparso nel novembre del 1909. L’anno dopo il meridionalista aveva interrotto la collaborazione con la rivista turatiana. Beniamino Finocchiaro, nell’antologia dell’Unità salveminiana da lui curata, ha ricordato la commozione di Salvemini, ancora negli ultimi anni di vita, nel raccontare come, incontrati Anna Kuliscioff e Filippo Turati dopo la Grande Guerra al Caffè Guardabassi, in Piazza Montecitorio, aveva visto la Signora Anna andargli incontro «per testimoniargli la gratitudine dei socialisti per le battaglie combattute sull’Unità. Si ricomponeva un’amicizia solo sospesa negli anni precedenti». Turati sapeva bene che Salvemini aveva utilizzato e citato Jaurès fin dalla prima edizione del 1905 del proprio libro su La Rivoluzione francese (1788- 1792). In effetti lo storico molfettese si era avvalso della Histoire socialiste de la Révolution française ovvero dei primi tre volumi della Histoire socialiste de la France de 1789 à 1900, apparsi fra il 1901 e il 1904. Pur rifiutando le tinte retoriche, le sovrastrutture metafisico- mitologiche, le personificazioni e le astrazioni dello storico francese, Salvemini aveva fatto tesoro della solida ricostruzione di Jaurès in merito all’incipiente capitalismo, alle crisi economiche, alla lotta dei contadini contro le decime e i diritti feudali dell’Ancien Régime, e al peso sociale e intellettuale di Parigi nel periodo rivoluzionario. Salvemini rispose al capo socialista da Motrone il 28 luglio 1924: «Caro Turati, la tua lettera mi è giunta col debito ritardo, in modo che non facessi a tempo – volendo e potendo – per collaborare. Per fortuna avrei voluto, ma non avrei potuto: qui non ho neanche un libro, che mi permetta di scrivere qualcosa con una certezza relativa di non dire spropositi. E a memoria non mi arrischio a lavorare, più, oramai, col passare degli anni. Così sono indulgente con la posta, sebbene sarei stato ben contento di riprendere con Jaurès la mia collaborazione alla “Critica sociale”». Subito dopo l’antifascista informava il corrispondente del precario stato di salute di Fernande: «Il mio indirizzo a Firenze è Piazza d’Azeglio, 25; ma resto qui fino a tutto settembre, perché mia moglie è stata molto malata, e solo ora comincia a riprendersi, e la malattia sarà molto lunga, e non mi dice il cuore di lasciarla mettendo fra me e lei la frontiera». Tuttavia progettava, di lì a poco più di due mesi, di andare in Francia e Inghilterra e ne fece parola a Turati: «Ma in ottobre, almeno per una settimana, intendo andare all’estero, per protestare di fatto contro il rifiuto del mio passaporto, e per scrivere al questore di Firenze che sono andato via soprattutto per questa ragione. Tu certo non potrai fare altrettanto, perché saresti riconosciuto facilmente. Ma dovresti tentare per provocare lo scandalo. E ad ogni modo è da sperare che a Parigi sappiano che non intervieni alla cerimonia [commemorativa per Jaurès] per quel motivo, e che su quel motivo si faccia il più baccano possibile» contro il fascismo. Salvemini non nascondeva all’interlocutore che la furiosa repressione fascista che era costata «la vita al povero Matteotti» avrebbe potuto colpire qualunque antifascista di rilievo, come loro, e concludeva: «questo è il solo motivo per cui non rimpiango oggi di essere costretto dalla salute di mia moglie a rimanere in Italia: mi pare, nel mio piccolo, di fare anch’io la mia parte, rimanendo con calma ad aspettare gli eventi. – Mille cari saluti alla Signora Anna e a te». In quella calma apparente (non va dimenticato tra l’altro il decreto-legge del 10 luglio, che assegnava al governo i più ampi poteri di controllo sulla stampa) stavano maturando le premesse della netta critica all’opposizione parlamentare dell’Aventino e il rafforzarsi dell’intransigenza assoluta contro i crimini del fascismo, istanze travasate da Salvemini insieme a Carlo e Nello Rosselli, Ernesto Rossi, Nello Traquandi e Dino Vannucci nella futura esperienza clandestina del Non mollare. © Riproduzione riservata