Salvemini e l’amarezza per lo stallo nella realizzazione dell’Asilo “Filippetto”
Nel catastrofico terremoto di Messina del 28 dicembre 1908 Gaetano Salvemini perse la sorella Camilla, la moglie Maria Minervini e i loro cinque bambini: Filippetto, Ilario Corrado (detto Corradino), Leonida, Ughetto ed Elena. I corpi della moglie, della sorella e di Ughetto non furono nemmeno rinvenuti tra le macerie. Il desiderio di trovare un conforto a questa indelebile tragedia in un’opera di assistenza sociale per i bambini della sua Molfetta cominciò a prendere corpo tra i pensieri di Salvemini nel 1909. Dopo aver tentato invano di rintracciare per tutta l’Italia il duenne Ughetto, forse portato via da qualche soccorritore, lo storico provò più volte a restituire la dote della moglie al suocero Corrado Minervini, ma questi ogni volta rifiutò. Da tale reciproco delicato rispetto del dolore, da questa nobile gara di generosità nacque l’idea di un’istituzione benefica da dedicare alla memoria del primogenito Filippetto. Con questo proposito, Salvemini il 10 ottobre 1910 inviò da Molfetta una lettera a Bernardino Tattoli, presidente della locale Congregazione di Carità. Lo scopo dello storico era la creazione «di un nuovo Asilo d’Infanzia per bambini poveri», che unisse il fine «della beneficenza e quello della educazione popolare» con indirizzo laico. Il benefattore pensava a tre sezioni, ognuna di non oltre 60 alunni dai tre ai sei anni «con refezione scolastica possibilmente gratuita». Salvemini, assumendosi l’onere delle spese e delle tasse di contratto, offriva alla Congregazione di Carità un’area fabbricabile dell’estensione di circa 2.300 metri quadri e del valore di circa 20 mila lire. Era un appezzamento trapezoidale (trëpìzzë) di diciannove “ordini” (poco meno di mezza “vigna”), ubicato nella scomparsa contrada Petrullo e destinato ad orto (chëcëvàinë). Salvemini aveva avuto questo terreno per donazione con la rimanente parte della “cocevolina” nel 1893 dallo zio prete don Mauro Giuseppe Salvemini, che aveva invano sognato di vederlo diventare un bravo sacerdote e magari anche un riverito vescovo. L’appezzamento messo a disposizione da Salvemini era allora delimitato dalle strade Corso Baccarini, a est; Via Giaquinto, a sud; Via Amedeo, a nord e una «via ancora non denominata»,l’attuale Via Bari, a ovest. In aggiunta lo storico offriva 10 mila lire. A questa somma suo suocero, l’ing. Corrado Minervini, aggiungeva 5 mila lire per la benefica iniziativa. Le spese presumibili per la costruzione e l’arredamento del giardino d’infanzia furono calcolate da Salvemini intorno alle 40 mila lire. Per integrare le somme offerte, il benefattore suggeriva di chiedere un sussidio di 25 mila lire al Ministero della Pubblica Istruzione dai fondi per l’istruzione elementare nel Mezzogiorno, in virtù degli articoli 72, 73 e 74 della legge n. 383 del 15 luglio 1906. Così l’unico carico per la Congregazione sarebbe stato quello di una dotazione annua per l’asilo. Il 31 dicembre 1910 Salvemini, con rogito del notaio Berardino Rotondo, nominò procuratore generale l’amico avvocato Francesco Picca e il 6 gennaio 1911 ultimò lo statuto dell’Asilo “Filippetto”. Due giorni dopo con atto dello stesso notaio fu stipulato l’atto di donazione. L’ing. Gaetano Valente, capo dell’Ufficio Tecnico Provinciale, si offrì di sviluppare gratuitamente il progetto per l’edificio scolastico. Nonostante l’ostruzionismo degli ambienti cattolici e repubblicani, ostili a Salvemini, il 18 dicembre 1913 l’Asilo “Filippetto” fu eretto in Ente morale. Col successivo regio decreto dell’11 giugno 1914 fu approvato anche lo statuto organico dell’Asilo. Dopo lo scoppio della prima guerra mondiale, il 23 novembre 1916 fu approvata dalla Congregazione di Carità una delibera «d’emergenza», che accolse le modifiche di legge al progetto di costruzione, ma, per evitare di superare la spesa preventivata, avallò solo la costruzione del pianoterra dell’asilo, rinviando al futuro l’eventuale edificazione del piano superiore dell’edificio. Il progetto dell’ing. Valente, col passar degli anni, era stato invalidato dai regolamenti governativi sopraggiunti, che imponevano l’uso del cemento armato nella costruzione degli edifici scolastici. Perciò fu approntato un nuovo progetto tecnico dall’ing. Antonio Spagnoletti, che prestò la sua opera gratuitamente. Il 13 maggio 1920 la Congregazione di Carità lo approvò. Il preventivo ammontava a 140 mila lire. Putroppo la burocrazia e le autorità preposte all’avallo del progetto rallentarono ancora una volta l’iter costruttivo e poco dopo l’emanazione del regio decreto n. 2841 del 30 dicembre 1923, che conferiva ai sottoprefetti la nomina della maggioranza dei componenti la Congregazione di Carità e riservava ai Consigli comunali la scelta della minoranza, seguì l’ennesima situazione di stallo, che amareggiò molto Salvemini. In questo periodo lo storico, stanco e deluso per la mancata costruzione del giardino d’infanzia, cominciò a pensare alla possibilità di un’azione giudiziaria. Per metterla in atto, gli necessitava una copia dell’atto di donazione per l’erigendo asilo, che chiese a Ciccillo Picca. L’amico, ottenuto l’accesso ai due incartamenti del “Filippetto”, gli rispose il 21 marzo 1924. Nella sua lettera, pubblicata in Corrispondenze pugliesi (1989) dal compianto Pasquale Minervini, prima consolò affettuosamente Salvemini per la morte della sorella minore Maria, avvenuta tre giorni prima; poi entrò nel merito della penosa questione. Ecco le sue parole: «Ti mando la copia del contratto di donazione con quegli altri appunti che credo interessanti e perciò ti ho segnati, perché in caso di giudizio mi pare necessario far notificare prima un atto alla Congregazione di messa in mora e comminatoria. Non ho trovato in quei due voluminosi fascicoli la tua adesione all’ultima proroga, perché, mi handetto, il Presidente [Berardino] Rotondo rimase tanto contento e fiero della tua lettera che volle conservarla presso di sé. Esamina bene il patto 9° il quale stabilisce il termine prorogabile (dei due donanti) in rapporto alle pratiche per la costituzione legale della nuova opera ecc. non per la costruzione dell’edifizio e funzionamento; né alcuna decadenza è sancita. Credo che a menartela buona il Tribunale accorderà una ultima definitiva proroga. Ad ogni modo un tale giudizio servirà a scuotere il letargo lungo, meditato e malvagio delle autorità responsabili e a richiamare su le stesse la deplorazione del pubblico. Il quale poi come informarlo? Che atroce ingiustizia, che ironia della sorte! Fino all’ultima goccia di fiele per fare il bene». Solo con l’arrivo a Molfetta del commissario prefettizio Giacinto Perrone, dal 14 luglio 1924, saranno «riattivate » le pratiche per la costruzione dell’Asilo “Filippetto”. Grazie all’interessamento di Sergio Panunzio, fratello di Giacinto e sottosegretario al Ministero delle Comunicazioni, il Ministero della Pubblica Istruzione approverà il progetto tecnico, passando gli atti alla Cassa Depositi e Prestiti per la concessione di un mutuo di 130 mila lire, garantito dalla sovraimposta comunale. Ottenuta la concessione, finalmente il 18 novembre 1925 si darà luogo alla gara d’appalto per la costruzione dell’asilo. Aggiudicataria risulterà l’impresa edile Ferdinando Balacco fu Francesco, che eseguirà i lavori senza giungere a completarli. Poi la scure del fascismo si abbatterà implacabile non solo sul pugnace antifascista, ma anche sul proprio sogno di beneficenza e il regime dittatoriale con un decreto del 23 luglio 1930 sancirà la fusione del “Filippetto” con l’Asilo Municipale di Molfetta sotto la denominazione di “Scuola Materna Comunale”, cancellando dall’intitolazione il nome dell’amatissimo primogenito di Salvemini. © Riproduzione riservata