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Rinviato a giudizio l'assessore Palmiotti Il Pd chiede le dimissioni Per la vicenda dell'operazione by pass dell'ottobre 2005 quando fu anche arrestato insieme ad altre 15 persone
15 novembre 2009

Rinviato a giudizio l’assessore alla attività produttive del Comune di Molfetta, Michele Palmiotti. Lo ha deciso il tribunale di Trani nel corso dell’udienza preliminare per l’operazione by pass (6 ottobre 2005) nel corso della quale i carabinieri scoprirono una presunta associazione a delinquere dedita a ricettazioni, estorsioni e furti ai danni della Multiservizi, presieduta all’epoca proprio dallo stesso Palmiotti che fu arrestato insieme ad altre 15 persone con l’accusa di voto di scambio e favoreggiamento. Malgrado questa pendenza giudiziaria, il sindaco Antonio Azzollini ha voluto recentemente nominare assessore Palmiotti al posto di Saverio Tammacco eletto consigliere provinciale. In quell’occasione Quindici espresse le sue forti perplessità sulla scelta di una persona indagata per un grave reato, ma Azzollini restò fedele alla logica della rotazione delle cariche, anche per non penalizzare chi aveva portato molti voti a Forza Italia prima e al Pdl dopo. Fatto ancora più grave fu l’aver affi dato a una persona indagata un assessorato importante come quello delle attività produttive. E così oggi sulla sua testa e sulla giunta di centrodestra cade un’altra pesante tegola che va ad aggiungersi alle altre brutte fi gure collezionate in questo suo mandato di sindaco: dalla caserma della capitaneria al rifi uto delle donne in giunta. Ora Palmiotti dovrebbe dimettersi. E le dimissioni sono state già chieste dal coordinatore del Partito Democratico, Giovanni Abbattista. Siamo sicuri che Palmiotti non si dimetterà nella logica del centrodestra (il centrosinistra con le dimissioni del governatore del Lazio, Piero Marrazzo, ha dimostrato altra considerazione delle istituzioni) perché, come insegna il suo padrone Berlusconi, non si dimettono nemmeno di fronte a indagini della magistratura. Certamente il sindaco Antonio Azzollini oggi è in grande imbarazzo e dovrà spiegare in consiglio comunale e alla città questa scelta quantomeno discutibile. Insieme a Palmiotti sono coinvolte altre 12 persone, anch’esse rinviate a giudizio dal giudice dott.ssa Angela Schiralli, che ha respinto le richieste della difesa di “non luogo a procedere”. Due degli imputati hanno scelto il patteggiamento della pena, mentre col rito abbreviato sono stati condannati un imputato e assolto un altro. Il dibattimento si terrà il prossimo 28 gennaio sempre al Tribunale di Trani. Ma ricordiamo la vicenda che fece molto rumore all’epoca in città. Le indagini relative all’operazione by-pass portate avanti dal Pm della Procura di Trani, dott. Giuseppe Maralfa, relative a una serie di estorsioni e ricettazioni legate ai furti di auto il 6 ottobre 2005 portarono all’arresto di 11 persone. Poi fu arrestato anche Michele Palmiotti, 50 anni, ex consigliere comunale eletto nelle liste di Forza Italia, presidente della “Molfetta Multiservizi Spa”. L’ordine di arresto fu disposto dal Gip di Trani, dott. Michele Nardi, su richiesta dello stesso Maralfa. L’accusa è di “favoreggiamento personale aggravato” nei confronti di Saverio Piccininni, soprannominato “Settpont”, uno dei capi dell’organizzazione criminale. Sarebbe stato lo stesso Piccininni a portare sulla pista giusta gli inquirenti con le sue dichiarazioni. La vicenda aveva come punto di partenza quella che sembrava una normale carrozzeria che serviva come base logistica di un’organizzazione criminale dedita all’estorsione dai proprietari degli automezzi ai quali veniva promessa la restituzione della vettura o del camion, in cambio di denaro (cosiddetto “cavallo di ritorno”). Era una vera e propria banda quella che agiva a Molfetta e nel nord barese ed era riuscita a far cadere nella sua trappola anche la “Multiservizi Spa”, società a partecipazione comunale, che avrebbe pagato un “pizzo” di 800 euro senza denunciare l’estorsione. A capo dell’organizzazione c’era un detenuto in semilibertà, Saverio Piccininni di 41 anni, che aveva come braccio destro Michele Laforgia di 54 anni. Arrestati anche altri componenti della “banda”: Giuseppe Cuocci, 49 anni; Giuseppe Pati, 30 anni; Massimo Iannelli, 22 anni e Antonio Magarelli, 25 anni, tutti di Molfetta. L’operazione fu denominata “by pass” frase che - come è risultato spesso dalle intercettazioni telefoniche - era ripetuta dallo stesso Laforgia, mente della banda, il quale riferiva sempre di avere alcuni by-pass che gli impedivano di irritarsi, per cui “era opportuno” per motivi di... salute, evitargli “incazzature” per qualcosa che andava storto. Insomma, una cardiopatia da rispettare. Furono accertate estorsioni nei confronti di otto imprenditori edili, proprietari di cantieri a Molfetta, e circa 20 episodi di “cavalli di ritorno”. Dalle indagini emersero anche numerosi casi di furti e ricettazione di autovetture, mezzi e attrezzature da lavoro. La merce di provenienza furtiva, non destinata al “cavallo di ritorno”, veniva consegnata alla carrozzeria di Laforgia che fungeva, come detto, da base operativa dell’organizzazione. Le prime voci sul coinvolgimento della “Multiservizi” nella vicenda avevano ipotizzato il pagamento di un “pizzo” di 800 euro da parte della società a partecipazione pubblica per ottenere la restituzione di un automezzo rubato. Michele Palmiotti aveva sempre negato di aver chiesto al pregiudicato Piccininni di recuperare il furgone Iveco sottratto alla società, aff ermando di averlo contattato per altri motivi. Ma a tradirlo furono le intercettazioni telefoniche. A peggiorare la situazione del presidente contribuì l’omessa denuncia dell’estorsione. Dalle indagini emerse, inoltre che i mezzi rubati alla Multiservizi sarebbero tre. Ma l’aspetto più inquietante della vicenda riguarderebbe il presunto “voto di scambio” che, secondo l’accusa, sarebbe stato posto in essere da Palmiotti attraverso la promessa di un posto di lavoro per la moglie di Piccininni, in “cambio” di voti elettorali. Pesanti le considerazioni dell’ordinanza del Gip Nardi nei confronti di Palmiotti, al quale furono concessi gli arresti domiciliari: “la condotta dell’indagato compromette l’immagine dell’istituzione e innesca un ingiustifi - cato ma inevitabile senso collettivo di sfi ducia in una intera classe politica. Ritenendo di fatto impensabile che un uomo delle istituzioni possa mentire ai carabinieri per coprire le responsabilità di un criminale pluripregiudicato in relazione a un tentativo di estorsione”.

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