Confesso che mai avrei voluto scrivere queste righe, perché agli amici, e a maggior ragione a quelli più cari, si augura sempre lunga vita. Pasquale Minervini, presidente del Centro Studi Molfettesi e fecondo collaboratore di «Quindici», dopo aver sopportato con grande dignità il suo male nascosto, si è spento nella sera del 21 settembre scorso nell’Hospice “Aurelio Marena” della Fondazione Opera Santi Medici di Bitonto, dove era ricoverato da pochissimo tempo. Alcuni giorni prima si trovava ancora a casa sua, dove ero andato a fargli visita, con celata apprensione, insieme al comune amico don Luigi de Palma, non meno preoccupato di me. Gli avevo portato, fresco di stampa, il “Quaderno” n. 9 del Centro Studi Molfettesi, un’associazione culturale da lui fondata nel 1978 insieme a Franco Bisceglie e altri compagni. Al di là della soddisfazione per il nuovo libro del “suo” sodalizio, Pasquale appariva estremamente dimagrito e assai debilitato per la malattia. Eppure nel dialogo a tre non lesinava qualche breve intervento, anche scherzoso, e ci aveva perfino mostrato la trascrizione completa delle lettere di Francesco Picca a Gaetano Salvemini, che intendeva pubblicare con le necessarie annotazioni in un prossimo futuro. Pasquale Minervini adorava la città natia e aveva il culto degli uomini illustri di Molfetta, come l’abate Vito Fornari, il filosofo Pantaleo Carabellese, lo storico Francesco Carabellese e soprattutto Gaetano Salvemini. Nel 1973 si era laureato in pedagogia presso la Facoltà di Magistero dell’Università di Bari con una tesi su L’estetica di Vito Fornari. Nonostante avesse l’abilitazione per l’insegnamento nella scuola superiore, aveva preferito rimanere nella scuola elementare fino al pensionamento. Gli piaceva molto far lezioni all’aperto e, superando il disappunto dei direttori didattici, quando poteva trascinava i suoi piccoli alunni nelle visite a monumenti, luoghi e musei delle città in cui insegnava. Lo ricordo ancora in giro per le strade di Barletta insieme ai suoi vispi ragazzini, felici di essere stati schiodati dalle sedie dell’aula scolastica. Quello stesso gusto per la vita en plein air la trasferì, con la ricerca sul campo, nelle attività del Centro Studi Molfettesi. E fu così che nel 1978 in Molfetta vecchia riscoprì la cappella di San Lorenzo e Sant’Orsola, di cui si erano perse le tracce, e identificò la Torre del Municipio, da altri attribuita impropriamente ai Templari. Poi nel 1980 scoprì una tempera neobizantina nella Torre di Schirone a Fondo Giuggiolo nell’area della fonderia Palberti, presso il Cimitero comunale. Nel frattempo Minervini collaborava con articoli culturali al giornale «Molfetta nostra», organo della Pro Loco diretto dall’ex sindaco Vincenzo Zagami, che corroborò il suo interesse per i molfettesi illustri da proporre come esempi alle nuove generazioni e lo esortò a unire le forze con altri giovani. La nostra amicizia cominciò nella primavera del ’79, quando Pasquale Minervini e Franco Bisceglie, rispettivamente presidente e cassiere, m’invitarono a entrare nel Centro Studi Molfettesi e a far presentare dal sodalizio il mio primo libro, Il canto dell’Ascensione e una ninna-nanna molfettese, il che avvenne il 30 giugno 1979 nell’Auditorium di San Domenico con un filmato sul “Rito della Croce” realizzato da Rocco Chiapperini con un mio commento e con l’esecuzione dei relativi canti popolari. Gl’intellettuali spesso sono permalosi e non accettano facilmente nemmeno le critiche costruttive. Pasquale non solo le faceva, ma intelligentemente le accettava con buon viso per trarne profitto. Cominciò così una stagione di grande rigore negli studi, che sfociò nella partecipazione erudita ai “Quaderni dell’Archivio Diocesano di Molfetta, Ruvo, Giovinazzo, Terlizzi”, diretti da don Luigi de Palma, con La cappella beneficiale dei SS. Orsola e Lorenzo, nel 1983, La Cappellania Reale dell’Altare Maggiore nell’antica cattedrale di Molfetta, nel 1985, e Il decreto di Ferdinando II per la conservazione delle opere d’arte (1839) e l’inventario eseguito dal sindaco di Molfetta (1844), nel 2012. Quest’ultimo scritto fu preparato per gli studi in memoria di Lorenzo Palumbo, Chiesa, società e territorio, a cura di Arcangelo Ficco e Bepi Poli. Minervini, non solo affidò alla Serie “Spicilegi” del Centro Studi Molfettesi i contributi «Le Carte di Molfetta» di F. Carabellese (1981) e Lo «zio prete» nei ricordi di Gaetano Salvemini (1986), ma in più, per una miscellanea del sodalizio in onore del dialettologo Vincenzo Valente (Molfetta: spicchi di storia, 1992), compilò l’articolo Lo stemma civico: fonti, vicende, aspetti artistici e devozionali, e per una collettanea in memoria di Elena Altomare (Molfetta: frammenti di storia, 1998), preparò il saggio Scuole e maestri a Molfetta nel secondo trentennio del ‘500. Partecipò inoltre agli Studi in onore di mons. Bello, curati nel 1992 da don Luigi de Palma, con l’analisi di Due documenti per la storia dei confini diocesani. La divisione del territorio tra Molfetta e Giovinazzo (1480) e quella tra Molfetta e Terlizzi (1580) e offrì la sua preziosa collaborazione anche al semestrale “Luce & Vita Documentazione”. Oltre alle recensioni lì apparse, vanno segnalati i contributi del 2003 Il fratello di Vito Fornari, Giambattista, candidato nel collegio politico di Molfetta nel 1892 e ‘95 e L’atteggiamento contrastante del clero diocesano nei collegi elettorali di G. Salvemini nel 1913 e, per il 2007, il saggio Gaetano Salvemini e le scuole del Seminario vescovile di Molfetta tra il 1881 e il 1891. A questi lavori bisogna aggiungere le spigolature Ricordi salveminiani di Vincenzo Zagami, apparse nella miscellanea da me curata La preghiera al Signore di V. Zagami e ventidue testimonianze sulla sua figura (Mezzina, Molfetta 1989), e il saggio La Commenda giovannita di San Nicola in Molfetta, pubblicato a Bari negli annali di «Odegitria» sotto la data del 2005, che tra l’altro fa luce sugli Ospedalieri di San Giovanni a Molfetta e sulla cosiddetta “Sala dei Templari”. Dopo aver preparato sporadici articoli per il mensile «l’altra Molfetta», Pasquale Minervini fu da me invitato a collaborare alla rivista «Studi Molfettesi», da me diretta. Qui videro la luce Gaetano Salvemini e il suicidio del fratello Giovanni (1909) nelle lettere inedite di Francesco Picca (settembredicembre 1996), Gaetano Salvemini e la sorella Maria (1884-1924) in quattro lettere inedite, con riguardo alla madre (gennaioaprile 2000), Trepidazione a Molfetta per Salvemini e Maltese nel terremoto di Messina e consuetudine di Salvemini con Picca dopo il disastro, nonché Gaetano Salvemini per gli asili d’infanzia e i bambini orfani e disagiati (maggio-dicembre 2000). Come si può desumere dai titoli, Minervini approntò una mole cospicua di notizie storiche sulla biografia di Salvemini e della sua famiglia e in tale direzione continuò il suo “scavo” scrupoloso con il nutrito studio Annetta Salvemini nel carteggio inedito col fratello Gaetano (1925-1954), uscito nella collettanea Gaetano Salvemini: una vita per la democrazia e la libertà, da me curata e pubblicata nel 2010 grazie alla sinergia fra l’Associazione Elena e Beniamino Finocchiaro, il Centro Studi Molfettesi e il Movimento del Buon Governo e della Democrazia Partecipata. Accanto al volume La chiesa di S. Andrea in Molfetta, 18° dei “Quaderni dell’Archivio Diocesano” (1996) fortemente voluto dal tipografo Angelo Alfonso Mezzina quando era priore della Confraternita di Sant’Antonio, una delle opere più importanti di Pasquale Minervini è rappresentata senza dubbio dalle Corrispondenze pugliesi di Gaetano Salvemini, uscite nel dicembre del 1989 dai torchi dello stesso Mezzina per le Edizioni del Centro Studi Molfettesi, con una lusinghiera presentazione di Raffaele Colapietra. Il libro contiene lettere inedite e rare di Salvemini e dei suoi corrispondenti non comprese nei carteggi pubblicati dagli editori Feltrinelli, Laterza e Lacaita. Benché siano passati venticinque anni, ricordo nitidamente, come se fosse oggi, che il mio carissimo amico così crudelmente scomparso mi fece le più grandi feste quando gli presentai una mia recensione sulle salveminiane Corrispondenze pugliesi apparsa nell’aprile del 1990 su ben tre quotidiani italiani: «La Prealpina» di Varese, il «Giornale di Brescia» e il «Quotidiano » di Lecce. Ma a me preme piuttosto segnalare i giudizi favorevoli di Franco Martina sulla prestigiosa rivista «Belfagor » per il 31 marzo 1991 e di Francesco Barra sulla «Rassegna Storica Irpina» dello stesso anno. Non va ovviamente sottaciuta la collaborazione continuativa di Pasquale Minervini al mensile cittadino «Quindici », che iniziò nell’ottobre del 2003 e si è purtroppo conclusa, dopo undici anni di appassionati interventi su Salvemini, Ciccillo Picca, Francesco Carabellese e sugli insegnanti molfettesi del primo Novecento, nel settembre del 2014 con l’articolo Gaetano Salvemini e Edoardo Germano fra gli emigrati in America (1927), incentrato su due uomini che hanno dato lustro a Molfetta rispettivamente nel campo politico e storiografico e nell’àmbito della medicina e della lotta antitubercolare. Un altro articolo sul grande storico e antifascista molfettese appare in questo numero di «Quindici», come dono postumo ai lettori del mensile. Pasquale Minervini era nato a Molfetta il 5 luglio 1945 da una famiglia di piccoli coltivatori diretti di sani principi e sobrio stile di vita. Era scapolo, ma è stato figlio, fratello, cognato e zio affettuoso, molto attaccato ai suoi famigliari. Pasquale detestava la malapolitica nazionale e locale e l’ignoranza crassa degli arrivisti e dei presuntuosi, che tanti guasti producono dappertutto. Alto e magro, con occhiali da miope, di primo acchito poteva rivelarsi spigoloso, ipercritico, intransigente, a volte irascibile, ma dietro la sua apparente burbanza si celavano una forte moralità e una grande bontà d’animo. Riguardo agli studi comuni, amava orgogliosamente ripetere: «Noi sì che spacchiamo il capello in quattro!». Ma non era pedanteria, era amore per l’ordine e la precisione, in odio ai lavori raffazzonati e spacciati per buoni dagli stenterelli e dai vanitosi incompetenti. Con la sua scomparsa, Molfetta perde uno dei suoi figli migliori, uno studioso salveminiano molto accurato e preparato, un intellettuale appartato e discreto, che per nostra fortuna parla e vive ancora attraverso le sue opere.
Autore: Marco I. de Santis