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Ricordando don Tonino A otto anni dalla scomparsa, con i messaggi inviati ai politici
15 aprile 2001

Il 20 aprile del 1993 Don Tonino Bello ci lasciava. Oggi, a distanza di otto anni, come ogni anniversario, ci piace ricordarlo legando il suo insegnamento e le sue parole all’attualità. Lo abbiamo fatto negli anni scorsi riportando i suoi appelli alla pace quando era in corso la guerra in Kosovo; abbiamo ricordato i suoi inviti alla solidarietà e all’accoglienza in occasione dello sbarco dei profughi albanesi; lo facciamo oggi, in prossimità delle elezioni politiche e amministrative, stralciando alcuni brani delle sue lettere ai politici inviate in occasione degli auguri natalizi. Ci sembra il modo migliore per ricordarlo e per far sì che la sua testimonianza di vita e di fede ci accompagni ancora e possa essere utile a migliorare la nostra comunità. La politica non deve essere mera gestione del potere, né tutela degli interessi, ma servizio agli altri per realizzare il bene comune. “Dio che diventa uomo – ammoniva don Tonino – vi faccia sentire dei vermi ogni volta che la carriera diventa idolo della vostra vita; il sorpasso, progetto dei vostri giorni; la schiena del prossimo, strumento delle vostre scalate”. Crediamo che queste parole debbano essere sempre tenute a mente da tutti, politici e non, ogni giorno. (f.d.s.) UNA MANCIATA DI PROVOCAZIONI Prendo lo spunto da alcuni versi di Pasolini, tratti da Le ceneri di Gramsci. Pasolini si rivolge ai compagni di partito che si sono inariditi; nei quali, come egli dice, «il mistico rigore di una azione non fu sempre pari all’idea». Sentite: sono considerazioni che valgono per tutti; sono rimproveri che non risparmiano nessuno di noi qui presenti. «...Vi siete assuefatti / voi, servi della giustizia, leve / della speranza, ai necessari atti / che umiliano il cuore e la coscienza. / Al voluto tacere, al calcolato / parlare, al denigrare senza / odio, all’esaltare senza amore; / alla brutalità della prudenza / e all’ipocrisia del clamore. / Avete, accecati dal fare, servito / il popolo non nel suo cuore / ma nella sua bandiera: dimentichi / che deve in ogni istituzione / sanguinare, perché non torni mito, / continuo il dolore della creazione» . Sono colpi di frusta, sulla cui onda potremmo proseguire all’infinito. - Qual è lo spessore dalla protesta (nella nostra vita politica) nei confronti della ideologia, nei confronti del partito, nei confronti delle direttive pianificate? - Quale spazio ha la persona nei nostri impianti? Quale rispetto abbiamo del bene comune e della sua indiscussa sovranità su tutte le altre visioni, compresa anche l’affermazione e l’avanzata del proprio partito? - Ci rendiamo conto che i rallentamenti delle nostre città sono dovuti ai calcoli di scuderia, alla prevalenza degli interessi di parte sull’interesse della gente, alle meschine strumentalizzazioni dello scontento popolare che può tornar comodo domani ai nostri progetti partigiani? - Chi stiamo servendo: il bene comune o la carriera personale? Il popolo o lo stemma? Il municipio o la sezione? Il tricolore o la bandiera del partito? - A chi facciamo pagare l’estratto conto dei nostri ritardi? La bolletta dei nostri sterili blateramenti? Le cambiali, purtroppo spesso rinnovate, di una fiducia sistematicamente tradita? - Quale rispetto abbiamo per i poveri? Quanta indifferenza nutriamo per la loro rabbia impotente? Quale forza d’urto sulla nostra anima si sprigiona dalle sofferenze degli ultimi? Dalla disoccupazione imperante? Dalla mancanza di case? Dalla miseria morale in cui versa tante gente? Dal degrado e dall’avvilimento delle sterminate forme di devianza che proliferano nelle nostre comunità? - Non ci dice nulla il giudizio della storia che coincide sempre col giudizio che i poveri danno di noi? - Siamo disposti a pagare prezzi da capogiro, e a rimettere anche prestigio e carriera e poltrona e «brillante avvenire», pur di perseguire a ogni costo il bene comune? - Quali patteggiamenti a scredito della giustizia; quali violenze a scapito della libertà; quali subdole perfidie contro gli indifesi; quali accordi disonesti sotto traccia, a vilipendio dell’onestà, ci vedono protagonisti? - Siamo convinti che le «grandi» voci, quelle autentiche, quelle dei poveri, quelle degli sconfitti, quelle di coloro che rimangono sempre indietro, possono essere ascoltate solo nel silenzio, nella riflessione prolungata, nello spazio contemplativo che sapremo resecare sul panno lacerato delle nostre febbrili attività? + don Tonino Vescovo
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