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Responsabilità sociale e comunicazione: gli ingredienti per una impresa di successo
15 aprile 2013

Ccr, un tema forse un po’ troppo tecnico, ma non per questo privo di interesse, quello del seminario «Impresa dove vai? La responsabilità sociale d’impresa nel futuro delle aziende», tenuto dal dott. Danilo Devigili nella Sala Finocchiaro della Fabbrica San Domenico di Molfetta, alla presenza di un ristretto numero di spettatori. Per Corporate Social Responsability, ovvero Responsabilità Sociale delle Imprese, si intende l’affiancamento di preoccupazioni di carattere etico ai parametri economici della gestione di un’impresa, un comportamento che può sembrare astruso per chi è abituato a considerare l’economia come mera scienza dei numeri, dimenticando la sua originaria vocazione al sociale, soppiantata in epoca moderna dall’impostazione anglosassone improntata all’utilitarismo. Non è possibile individuare una definizione univoca per il concetto di CSR. Tante sono le teorie che vi concorrono, dall’etica d’impresa alla cittadinanza aziendale e allo sviluppo sostenibile, ma tutte gravitano su un dato di fatto: negli ultimi anni è aumentato l’impatto delle aziende nel contesto sociale e ambientale, per tipologia di prodotti, di servizi o di forza lavoro. Di conseguenza si richiede alle imprese un comportamento socialmente responsabile, che risponda alle aspettative di ogni possibile portatore di interesse (stakeholder), riuscendo contemporaneamente a cogliere un vantaggio competitivo e a massimizzare gli utili nel lungo periodo. Il dott. Devigili, che oltre ad essere manager di RGA (una società di consulenza che propone idee e realizza soluzioni in tema di ambiente, sicurezza e responsabilità sociale) ha alle spalle una ventennale esperienza nel settore Marketing e Comunicazione, nel suo discorso ha illustrato numerosi esempi di aziende italiane che riescono ad arricchire il valore dei loro prodotti sostenendo nobili cause ed interagendo col non profit. Per citarne alcuni, il tonno Rio Mare, che fa capo alla multinazionale Bolton Manitoba, persegue il programma “Qualità responsabile” lungo tutta la filiera, dalla pesca del pesce (rigorosamente Dolphin save) all’analisi per il controllo del mercurio e all’inscatolamento del prodotto. O ancora, la caramella Golia Bianca, che fa capo alla Perfetti Van Melle, proprio alla fine del suo ciclo di vita ha puntato intelligentemente sulla partnership con WWF per risollevarsi, con la famosa campagna a tutela della salvaguardia dell’Orso polare. Ed infine il marchio Eataly, costola di Slow Food, che riunendo un gruppo di piccole aziende operanti nei diversi comparti del settore enogastronomico, dalla pasta di Gragnano all’olio della riviera di Ponente ligure, propone il meglio delle produzioni artigianali riducendo all’osso la catena distributiva e creando un rapporto di contatto diretto tra il produttore e il distributore finale, nell’ottica di un avvicinamento tra impresa e comunità. Esempi, questi, animati non da filantropia, ma da lungimiranti logiche di profitto, che devono accompagnarsi a brillanti strategie comunicative per avere successo, anche sul piano internazionale. Per concludere, mi sembra giusto riportare ai lettori una notazione emersa in seno al dibattito. Oggi la ricchezza non si basa più sulla mera proprietà di materie prime, quanto sulla capacità di trasformare l’industria produttiva in industria culturale, come dimostrano i successi della Silicon valley con aziende quali Google o Apple, alla cui base ci sono università e brevetti. Ma l’Italia non possiede tale capacità, attestandosi sulla linea della trasformazione di materie prime che, per quanto redditizia fino agli anni ’70, è oggi scalzata dai bassi costi dell’industria cinese. Per di più, il masochistico individualismo che contraddistingue il nostro Paese rischia di far sopperire anche il tanto decantato made in Italy, spesso appannaggio di piccole produzioni che se non si riuniscono almeno in distretti improntando il loro agire allo spirito di corpo, non riusciranno mai ad affermarsi e a competere con l’estero. In un’Italia gravata da simili problematiche la comunicazione d’impresa può essere una delle strade da battere.

Autore: Giulia de Vincenzo
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