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Quello che le nonne dicevano. La violenza alle donne
08 ottobre 2017

Tutte noi abbiamo avuto delle mamme, delle nonne che, sin da ragazzine,  ci mettevano in guardia contro gli uomini, ci dicevano di stare attente, di non dar loro troppa confidenza, e  sulla  famosa frase “perché vogliono solo quello”, che all’inizio nemmeno capivamo,  abbiamo riflettuto per anni senza mai crederci del tutto, ridendone  addirittura, illudendoci e sperando.  

Nei giorni degli stupri a catena, delle aggressioni a sfondo sessuale verso giovani, bambine e persino donne  anziane,  perpetrate  da  lupi solitari o a branchi  in qualunque posto e in qualunque occasione, ci rendiamo conto che  le nonne  dai pochi sorrisi e dalle poche parole non mentivano, avevano già capito tutto, senza  aver letto né studiato,  senza essere uscite mai di casa o aver girato il mondo, e l’uomo nero da cui tentavano di tenerci lontane esiste davvero, impersonato, di volta in volta, dal vicino  di casa,  da un amico, un collega di lavoro, un medico o un insegnante, un rappresentante delle forze dell’ordine, persino il nostro compagno di vita o un ex a cui non pensiamo più.

In Italia ci sono 11 casi di stupri al giorno, i dati del Viminale dicono che solo tra gennaio e luglio del 2017 se ne sono verificati 2.333 ma secondo l’Istat solo il 7%  degli episodi viene denunciato: si tratta sempre di aggressioni feroci, di una violenza inaudita, atti di sopraffazione  e soggezione fisica e psicologica per arrogarsi un diritto di cui  ogni maschio si ritiene  storicamente e naturalmente titolare,  il diritto all’abuso,  che espleta  al fine di  ottenere  il “solo quello” a cui le nonne facevano riferimento e che è, invece, un tutto per le donne  violate e ferite nella parte più profonda del loro essere,  una parte che mai più  verrà recuperata perché fatta di  quei sogni, emozioni ed esperienze che contribuiscono  a formare e rappresentano  la sua femminilità.

Del resto, non si può negare che le nostre società siano ancora impregnate di quella cultura dello stupro a cui facevano riferimento le femministe degli anni 70 quando affermavano che la violenza sulle donne è sempre stata, in qualche modo, legittimata, usata persino come arma nei cambiamenti di quadri politici e nella realizzazione di nuovi stati di diritto, negli ambienti coercitivi e militari, come il carcere e l’esercito, addirittura esaltata nel millenario copione della mitologia dove gli dei si trasformavano in animali, fiori o piante per brutalizzare fanciulle e giovinette.

Di questo si parla anche nell’Ars Amatoria di Ovidio dove viene spiegato come le ragazze amino essere forzate  al rapporto perché ciò fa parte dei meccanismi della seduzione: insomma, un po’ il solito gioco del gatto con il topo come crudele preludio, come  finta schermaglia anticipatoria di qualcosa che viene imposto e deve per forza accadere, un gioco sbilanciato e asimmetrico in cui è già segnata la sorte di  colui che non voleva giocare. Perché proprio di questo si tratta: di una contrapposizione di ruoli, del potere sociale che ancora il maschio detiene e tende ad esercitare  nei confronti di qualunque donna sui luoghi di lavoro, a scuola, in famiglia ed in altri contesti dove spesso vive ed occulta sentimenti  di  autosvalutazione e frustrazione legati alla paura di perderlo, ostilità, gelosia, narcisismo, incapacità di confrontarsi, vuoto interiore.  

L’uomo nero con il baratro dentro di cui la nonna, a suo modo, ci parlava.

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