Anche in tempi di pandemia c’è chi a Molfetta si impegna per costruire spazi di confronto e di elaborazione culturale. E’ il caso di T.ES.L.A, associazione di giovani che da anni in città fa cultura in maniera indipendente, nonostante difficoltà e resistenze da parte di pezzi di società. “Quindici” ha incontrato Floriano Maria Mongelli, il presidente dell’associazione, con cui abbiamo ripercorso la storia del collettivo e ci siamo confrontati sui progetti futuri. T.ES.L.A. costituisce da anni un punto di riferimento per la cultura a Molfetta. Nonostante le difficoltà, l’associazione ha saputo resistere e rilanciare le proprie attività. Potresti ricostruire brevemente la storia dell’associazione? «T.ES.L.A. nasce nel lontano 2013 quando un gruppo di ragazzi, all’incirca una ventina, sentono il bisogno di riappropriarsi di uno spazio e di un tempo che sentivano lontano. Banalmente è quello che noi chiamiamo “fare cultura” ossia creare quella convivialità, ritrovarsi per guardarsi negli occhi, per parlare di politica, di musica, di arte e banalmente per ricreare quella collettività che la società troppo spesso seppellisce sotto il terreno della “produttività a tutti i costi”. Il problema è sempre stato: “come fare?”. Fortunatamente eravamo pieni di inesperienza e di una buona dose di follia, il che ci ha portato a non tener conto delle difficoltà, dei rischi e delle conseguenze. La prima fase è stata quella di riversarci nelle strade e nelle piazze, cercando di portare la nostra idea di cultura in quei spazi che, secondo noi, sono il luogo per antonomasia dei rapporti sociali. Una situazione che però non ci dava l’opportunità di svolgere tutte le attività che volevamo fare e, dopo un anno, abbiamo aperto la nostra prima sede. Riassumere cosa è stato quel posto per me e per tutti noi è praticamente impossibile. È diventato subito un luogo di ritrovo, un luogo dove si suonava musica, si leggevano libri, si organizzavano mostre, un luogo in cui si discuteva, si svolgevano assemblee, si faceva lite, si raggiungeva sintesi e si brindava in compagnia. Un luogo in cui finalmente potevamo vivere il nostro tempo. Per molti di noi quel luogo è stata la nostra seconda casa (e a volte anche la prima). Purtroppo, il nostro vicinato non era d’accordo e da subito ha provato a rifarsi alla legge per trovare qualsiasi scusa per farci chiudere. Iniziavamo a fare rumore. Ci siamo difesi, per anni, consci che eravamo dalla parte del giusto e rispettando sempre tutte le regole della civile convivenza. Purtroppo, dopo anni di battaglia, sono stati trovati dei cavilli che ci hanno costretto a chiudere. L’inesperienza e quel pizzico di follia che è stata scintilla per farci nascere si era trasformato in fuoco con cui abbiamo fatto luce sulla città, ma che ci ha anche bruciato. Abbiamo provato a riaprire ma le ferite che ci avevano lasciato erano troppo profonde e siamo stati costretti allo stop. Alla chiusura. Dopo due anni, però, alcuni membri fondatori hanno deciso di crederci nuovamente e, carichi delle esperienze e delle professionalità acquisite in questi anni, ognuno nel proprio settore, abbiamo deciso di riprovarci. È stato così che, più di un anno fa, abbiamo chiamato alle armi quelli che ci credevano e, con nostro grande stupore, nuove leve si sono unite alla nostra causa. Ora possiamo gridare a gran voce che T.ES.L.A. è finalmente rinata, non come copia del vecchio ma come una sua evoluzione». Da quante persone è composta attualmente T.ES.L.A. e qual è l’età media di coloro che partecipano alle attività? «Attualmente T.ES.L.A. è composta da una quindicina di persone. A proposito del mio direttivo permettimi di sottolineare qualcosa a cui tengo molto. La più grande difficoltà che ho riscontrato nell’associazionismo, sia da fruitore che da operatore, è sempre stato il ricambio generazionale. La più bella sorpresa da quando abbiamo deciso di ricominciare è stato proprio vedere come siano stati i più giovani ad unirsi al nostro direttivo. Questa è stata una fonte di entusiasmo che ci ha caricato tutti. Per quanto riguarda i partecipanti alle nostre attività, il nostro target è abbastanza giovanile, ma con delle eccezioni. Eccezioni che nascono dal fatto che T.ES.L.A. non ha barriere mentali. Il nostro scopo è aiutare ed essere megafono di qualsiasi forma di cultura. È sicuramente vero che la maggior parte dei nostri eventi è musicale o teatrale e rivolto ad un pubblico giovane (in fondo proponiamo quello che vorremmo vedere noi in città) ma è altresì vero che abbiamo proposto eventi rivolti anche ad un pubblico adulto, come corsi di formazione, giornate legate a lotte contro la violenza delle donne, giornate dedicate all’arte come il Pulp Fest e tanto altro. In questo tipo di eventi l’età è un fattore che non conta. La cultura, l’arte, lo scambio di idee non conoscono età». Oggi ci troviamo di fronte ad una sfida epocale, quella determinata dalle condizioni imposte dal Covid-19. Il distanziamento sociale che ne deriva apre uno scenario inedito soprattutto per la cultura. Voi state riuscendo ad andare avanti nonostante la situazione difficilissima? Quali sono le attività che avete fatto da quando è iniziato il lockdown e in che modalità? Come sono andate? «Sarei ipocrita nel dire che questo periodo non ci sta facendo soffrire, come tutti. Soprattutto per noi che, come detto finora, abbiamo sempre cercato di spingere la convivialità e di ridurre il distanziamento tra le persone attraverso la cultura e l’arte. Ma siamo consci che è un sacrificio necessario per questo periodo e siamo determinati nel rispettare queste regole che ci siamo auto-imposti invitando sempre tutti a farlo. Più scrupolosi siamo ora, prima potremo tornare a scambiarci sguardi senza l’ausilio di uno schermo. Le nostre attività principali si sono naturalmente fermate. Avevamo in programma grandi eventi che purtroppo siamo stati costretti a posticipare. Quando abbiamo capito che l’emergenza non sarebbe terminata in due settimane ci siamo naturalmente chiesti cosa potevamo fare ed è così che è nato “Quarantesla”, un format di video dirette Facebook dove facciamo quello che abbiamo sempre fatto: parlare di cultura dal basso. Colgo l’occasione per ringraziare il direttore di “Quindici” per essere puntuale nel dare spazio ai nostri comunicati stampa. Questo format è diventato un appuntamento fisso, in onda ogni mercoledì alle 19.30 con un tema diverso per ogni puntata. Abbiamo parlato di musica, di letteratura, di centri sociali, del mondo Hip-Hop con le 4 discipline e di scambi interculturali tra giovani europei. Per noi è stato un esperimento molto ben riuscito, abbiamo avuto una risposta che non ci aspettavamo e questo ci spinge a non fermarci e a migliorarci ad ogni appuntamento». In questi anni avete avuto rapporti con le istituzioni locali? Pensate che esse possano sostenervi di più, e se sì in che modo? «Penso che il connubio politica istituzionale- associazionismo culturale sia uno dei più complicati, sia vivendolo dalla parte dell’istituzione che da quella dell’associazione. Posso dire che il nostro rapporto con le istituzioni ha attraversato un po’ tutte le sfumature che si possono immaginare. A volte siamo stati ascoltati, altre volte totalmente ignorati. Alle volte siamo stati chiamati – e cito – “ragazzi che diffondono cultura” altre volte – e cito nuovamente – “Cattivi guaglioni”. Purtroppo, c’è uno strano mix tra il considerarci ancora ragazzi alle prime armi che giocano a fare la cultura nel tempo libero e figure professionali indispensabili per la diffusione della cultura dal basso nella città. Alcune amministrazioni ci hanno rispettato, altre ci hanno totalmente ignorato. È anche vero che quando a Molfetta si parla di cultura si entra in una vasca di squali. Credo che possiamo definirci gli unici in città a fare eventi culturali che non abbiano come fine ultimo quello di guadagnare soldi. Da anni lo facciamo in forma di volontariato (nessuno nel nostro direttivo, in nessun caso, ha mai guadagnato un euro dalle attività di T.ES.L.A.) e questo, forse, dà l’errata immagine di qualcuno che lo fa per passatempo, mentre invece nel mio direttivo ci sono professionalità che altre aziende del settore si possono sognare. Se le istituzioni potrebbero fare di più per noi? Forse solo una cosa mi vien da dirti: considerare la nostra esistenza. Non perché siamo bravi ma perché si dovrebbe tener conto di 15 ragazzi che da anni svolgono attività di volontariato per il bene di questa città e che a volte riescono in imprese titaniche con i pochissimi mezzi che hanno a disposizione, grazie solo al loro impegno e alla loro caparbietà. Noi esistiamo. Le istituzioni dovrebbero riconoscerlo, fosse solo per educazione istituzionale». Qual era la situazione della cultura a Molfetta prima del Covid-19? Quali sfide attendono le realtà del territorio, secondo voi, nell’immediato futuro? «Per quanto mi riguarda a Molfetta sono esistite sempre 2 grandi famiglie: la cultura aurea e la cultura dal basso. La cultura aurea è quella dei grandi eventi, dei grandi progetti di teatri, dei grandi concerti, rassegne, dello sfarzo e dei grandi nomi. Poi esiste la cultura dal basso, quella nascosta, piccola e quasi invisibile, quella dei gruppi locali, delle piccole opere teatrali, delle piccole mostre, dei piccoli festival. L’errore che si è sempre fatto, secondo il mio parere, è lavorare molto per la prima e molto poco per la seconda. Sia chiaro, con questo non sto dicendo che la prima non sia fondamentale quanto la seconda, ma vorrei che le due grandi famiglie potessero essere messe sullo stesso livello da qualsiasi amministrazione sia nelle sedi di governo. Capisco che la cultura deve anche badare ai numeri, all’economia, all’immagine istituzionale e capisco che portare a Molfetta grandi nomi è il modo più facile e diretto per poter portare a casa questi obiettivi. È giusto che sia così e sono contento che entrambe le amministrazioni che la nostra Associazione ha vissuto siano riuscite a farlo. Però esiste anche un’altra cultura, una che lotta ogni giorno, che lotta a Molfetta, che porta avanti idee e sentimenti e permette ad artisti emergenti di diventare i grandi nomi che un domani potremmo ospitare. Ricordiamoci che Molfetta è candidata a Capitale della Cultura ma qui le associazioni e gli operatori culturali non sanno neanche della propria esistenza. Ecco, forse il primo passo che dovrebbe fare un’amministrazione è porsi al di sopra di tutto e creare questa rete per poter permettere a Molfetta di crescere, non importando cultura dall’esterno, ma attivando il motore interno che questa città possiede. Attivato questo motore, potremmo sì competere per essere Capitale della Cultura, perché ricordiamoci che le energie, i talenti e le intenzioni di diventare grandi sono già a Molfetta, dobbiamo solo valorizzarle al meglio».