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Processo all'ENI per le vittime della Truck Center
21 ottobre 2011

MOLFETTA - La rivista di approfondimento politico e culturale "Terre libere" presenta, in occasione dell'inizio del processo di secondo grado per le vittime della Truck center, la conferenza-dibattito su "La sottile cortina del silenzio. Processo all'ENI per le vittime della Truck Center".
L'evento avrà luogo lunedì 24 ottobre, presso la Sala Turtur, nel centro storico di Molfetta, alle 19.
Interverranno: Elena Gentile, Assessore regionale al Lavoro, Margherita Calderazzi, Ispettore del lavoro e componente della rete nazionale della sicurezza sui posti di lavoro, Domenico Altamura, Avvocato di parte civile. Introdurrà: Vito Copertino, Editore della rivista "Terre libere".
 

Autore: Giacomo Pisani
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Tangenziale nord di Torino, su corso Regina si affaccia lo stabilimento ThissenKrupp, una multinazionale dagli utili formidabili. La mattina di martedì 4 dicembre una stringata nota di agenzia di stampa informava che il gruppo siderurgico chiudeva l'esercizio fiscale 2006-2007 con utili in crescita del 29 per cento rispetto all'anno precedente. Poche ore dopo queste trionfali righe, la notte tra il 5 e 6 dicembre, in uno stabilimento proprio della TyssenKrupp sette operai hanno trovato la morte investiti da fuoco e olio bollente, in un rogo che ricorda le atrocità di un barbaro medioevo. Un Terzo mondo, dove in nome del profitto si abbandonano le più elementari precauzioni: gli estintori semivuoti (la procura di Torino è convinta che gli operai avrebbero potuto salvarsi se l'azienda avesse investito un milione di euro per un impianto antincendio automatico, lo stesso dello stabilimento Essen), i telefoni dell'allarme che non funzionano, la bicicletta usata per chiamare i soccorsi......... In due giorni, due volti dell'industria: la crescita dei profitti, la morte degli operai. Con salari dal basso potere di acquisto e la disoccupazione sempre tendente ad aumentare, gli operai accettano rischi sempre maggiori. Una volta c'era l'assistenzialismo caritatevole (quello che portava la vedova o un figlio a succedere al congiunto morto nella stessa fabbrica, vedi l'Icmesa di Sevoso). Quel meccanismo era stato giustamente superato in nome del diritto. Ora però non c'è né l'uno né l'altro e per questo va rivisto il sistema di indennizzo per vedove e orfani, depredati dell'amore ma pure del reddito. – “In Svezia, un'operaia ha bloccato la produzione nella sua fabbrica perché ha segnalato delle mancanze nel sistema di sicurezza….. l'ispettore le ha dato ragione e la produzione è ripresa solo dopo aver sistemato la falla…………. Un operaio del bergamasco che ha segnalato condizioni rischiose per i lavoratori è stato accusato di mobbing e sospeso tre giorni dal lavoro senza stipendio.”
Le morti sul lavoro, in Italia, sembra un problema insormontabile. Una strage continua. Nella saletta d'attesa all'aeroporto di Bari, nelle prime ore d'agosto del 2007, i titoli della “Gazzetta del Mezzogiorno”, colorano di sangue l'alba di un giorno vacanziero. Quattro vittime stroncate nella sola Puglia. Giovanissima la vittima di Taranto: Domenico Occhinegro, Mimmo per gli amici. L'ultimo di una lunga serie di incidenti avvenuti all'Ilva di Taranto (le città dove si muore di più sul lavoro, secondo un'indagine Eurispes del 2006, sono Taranto, seguita da Gorizia e da Ragusa). Il 9 giugno era morto un operaio di 19 anni, Andrea D'Alessano, di Oria (Brindisi), dipendente della ditta Modomec appaltatrice dei lavori di manutenzione. Il 3 luglio un operaio dell'azienda Tecnoprogres, Giuseppe Cavallo, trentanove anni, è rimasto orrendamente mutilato, gli anno dovuto amputare la gamba sinistra. Nello stesso reparto un altro giovane, Vito Antonio Rafanelli, era morto nel 2006. “Morti fisiologiche”: così sono stati definiti tutti questi decessi dell'Ilva, secondo quanto riferito in una puntata televisiva di Annozero nel dicembre del 2007. Quel drammatico 1° agosto 2007 la Puglia ha pianto altri morti nei cantieri edili di Otranto e di Brindisi. Nella prima città un operaio, Andrea Sindaco, di trentatrè anni, è stato schiacciato dal braccio meccanico di una gru, che gli è piombato addosso. Di Taranto era anche Cosimo Perrini, precipitato per otto metri dal tetto di un cinema in costruzione senza alcuna fune di trattenuta a proteggerlo. Altri vanno ad aggiungersi alle migliaia, sparsi nelle cronache di tutti i giorni alla voce, meno allarmante di omicidi, disgrazie sul lavoro, o morti bianche. All'Inail ne hanno contate milleduecentosettantaquattro nel 2005. Sono aumentate a milletrecentodue nel 2006, con la Lombardia che, con le sue duecentodiciassette vittime, detiene il primato nazionale, seguito da Veneto (centosei) e dall'Emilia Romagna (centocinque). E non è andato meglio nel 2007. Un milione di incidenti l'anno e più di mille morti, un lavoratore ucciso ogni sette ore: è il bollettino della “guerra a bassa intensità” che denuncia l'Anmil, l'Associazione dei mutilati e invalidi del lavoro. Gli abbiamo già dimenticati, gli Occhinegro, i Sindaco, i Perrini e tutti gli altri caduti dell'estate 2007. Presto saranno dimenticati anche i sette caduti sulla trincea della ThyssenKrupp di Torino. - 21 ottobre 2011: in Italia si continua a morire sul lavoro.


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