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Pesca, il declino di una tradizione antica INCHIESTA - Carenze di mercati e di attrezzature portuali, ma anche di strutture di trasformazione del prodotto
15 marzo 2005

Nel 1998 a Molfetta c'erano 129 motopescherecci, oggi ce ne sono 90. Questo dato, più di ogni altro, dà il senso della crisi profonda in cui versa, ormai da anni, il settore della pesca nella nostra città. Le cause di questa situazione di difficoltà, che peraltro interessa tutte le regioni italiane (Puglia e Sicilia in testa), sono molteplici e hanno radici lontane. Intanto, nella quasi completa indifferenza dell'opinione pubblica, un settore produttivo importante va scomparendo sotto l'urto della invasione del pesce importato da Cina, Giappone, Thailandia, Filippine, India, Senegal. In questo modo una tradizione antica della nostra terra rischia di estinguersi senza che nessuno faccia nulla. La mancanza di forza lavoro Quello del pescatore è un lavoro duro. L'attività di pesca è da sempre sottoposta all'aleatorietà delle condizioni climatiche. Per questo i ragazzi italiani non vogliono più fare i pescatori. “Nel passato i giovani cominciavano a fare i marinai anche a nove anni, oggi quasi nessun italiano vuole più fare questo mestiere”, dice Cosimo Farinola, rappresentante per il Sud Italia della Federpesca. “Ad aggravare questa situazione – aggiunge – è stata la legge 30 del 1998 che in qualche modo ha incentivato il passaggio del personale marittimo dal settore della pesca a quello mercantile”. Per cercare di far fronte a questa situazione, da qualche anno, gli armatori molfettesi hanno cominciato ad impiegare migranti provenienti da altri paesi, in particolare Albania e Senegal. Così, ormai dal '94, la flotta molfettese ha equipaggi misti nei quali assieme agli italiani ci sono extracomunitari arrivati in Italia con regolare permesso di soggiorno alla ricerca di un miglioramento nelle loro condizioni di vita e di lavoro. La “rottamazione” dei natanti L'attivazione, a partire dal '98, del programma dell'Unione Europea Sfop 2000-2006, che concede ingenti contributi agli armatori che decidano di demolire i propri natanti, ha prodotto negli ultimi anni un notevole ridimensionamento della flotta peschereccia molfettese. I criteri di assegnazione del contributo cambiano in base alla stazza e all'età della barca e, talvolta, arrivano a coprire l'intero valore del natante. Ad esempio, per una barca di 50 tonnellate il premio si attesta attorno ai 200-250mila euro. Invogliati da questi premi e preoccupati dalla crisi strutturale del settore, tanti armatori gettono la spugna e reinvestono i loro capitali in altri settori economici. Il caro gasolio Negli ultimi sei anni, il prezzo del gasolio è aumentato del 150%, passando da 300 lire al litro a 40 centesimi di euro al litro. Così, per una battuta di pesca media, un peschereccio arriva a consumare fino a 400 euro di carburante al giorno. Questo significa che circa la metà delle spese che l'armatore deve sostenere sono dovute all'acquisto del carburante per la navigazione. Le carenze infrastrutturali A rendere più complicato il lavoro degli armatori ci si mettono le tante carenze nei mercati all'ingrosso, nelle attrezzature portuali e nelle strutture di trasformazione del pescato. A Molfetta, su questo versante, si sta tentando di aumentare l'informatizzazione del mercato ittico predisponendo una piattaforma telematica di supporto alle attività di pesca in grado di permettere uno scambio continuo di informazioni tra la flotta, la rete di vendita e le imprese di pesca. I “lacci” normativi Anche la rigidità delle disposizioni normative contribuisce ad indebolire la precaria situazione della pesca. Il fatto che il fermo tecnico settimanale, stabilito dalla normativa vigente, non preveda possibilità di recupero, inevitabilmente limita la produttività dei pescherecci con ovvie ripercussioni sugli utili. “Per far fronte a questo problema – sottolinea Farinola – le marinerie hanno presentato la proposta di un plafond di giorni operativi nell'arco dell'anno (170-180 circa) all'interno del quale l'imprenditore e i pescatori possono razionalizzare e pianificare la loro attività”. La voglia di reagire Di fronte a segnali di crisi che si fanno ogni giorno più preoccupati e che rischiano di travolgere anche tutto l'indotto, il settore della pesca sta tentando di reagire. Il rinnovamento della forza lavoro con l'innesto di personale straniero, le iniziative di promozione del prodotto ittico, la proposta di misure più adeguate rispetto al fermo biologico per perseguire l'obbiettivo del ripopolamento ittico, le richieste di sostegno avanzate alla Regione e al Governo nazionale, sono tutti segnali di una grande voglia di riscatto che anima la maggior parte degli operatori del settore della pesca molfettese. Francesco Dell'Olio francesco.dellolio@quindici-molfetta.it
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