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Personaggi d'altri tempi: Giustìne du chémbesénde
15 novembre 2006

Era una donna alta e magra, con piedi lunghi e piatti, con il viso pallido sempre avvolto in uno scialle nero. Abitava in un sottano di Molfetta vecchia e ogni mattina s'incamminava verso il Camposanto, dove rimaneva tutto il giorno fino alle prime ombre della sera. Lì sedeva su un parapetto del viale d'ingresso del Cimitero e salutava con la sua mano i visitatori chiedendo loro se potesse recitare delle preci per i loro cari estinti, in cambio di poche lire. In caso affermativo s'informava del nome del defunto da suffragare. Viveva così di elemosine, all'ombra dei cipressi, specie nella calura estiva. Di tanto in tanto, ragazzi vagabondi si prendevano gioco di lei ingiuriandola: Giustìne la stùbete, Giustìne 'ndrema lónghe, Giustìne lé mórte, Giustìne la mélòmere ed ella inveiva verso quegli scalmanati agitando le braccia in alto come se volesse invocare l'aiuto delle anime del Purgatorio. Con gli occhi fissi sui visitatori, attendeva le loro commissioni, ascoltava i silenzi del riposo eterno, il fruscìo dei cipressi baciati dal vento ossianico, il grido lugubre e monotono dell'ùpupa, i lamenti e le grida dei parenti durante il seppellimento dei cadaveri. Per tutti aveva parole di conforto. A tutti ricordava la promessa di nostro Signore: “Io sono la risurrezione e la vita: chi crede in me, anche se muore vivrà; chiunque vive e crede in me, non morrà in eterno”(Giov. 11,25-26). In presenza della salma, dopo aver recitato le preghiere e il De profundis clamavi ad te Domine, riceveva il misero compenso e si accomiatava dai parenti del defunto augurando loro una santa giornata. Su questo personaggio si racconta un aneddoto: Un giorno, stando al Cimitero, cominciò a piovere e la poveretta pensò di ripararsi stendendosi in un cassettone vuoto. Lì si addormentò fin quando, svegliatasi, protese il braccio fuori dal cassettone toccando le gambe di un muratore che in quel momento era su una scala per sistemare la lapide del cassettone superiore. U ggiòvene, chiòeve éngòere? (giovane, piove ancora?) gli chiese con voce fioca e tremolante. L'operaio rimase talmente scioccato che cadde a terra e morì all'istante, non si sa se per infarto o perché avesse battuto la testa sul selciato. Su questa donna, pia ma ingiustamente derisa, mi piace riportare un pensiero di Orazio Panunzio (“Molfetta Nostra”, giugno 1972): “Era la Signora di un grande giardino, la Guardiana di uno sterminato campo di dormienti. Le burrasche dell'autunno, i geli dell'inverno erano i suoi amici presenti, come le stupefatte chiarezze della primavera, le inerzie sognanti dell'estate. Le tenevano compagnia il volo delle cornacchie, il guizzo delle lucertole, le crepe della terra; le donavano conforto le fiamme sacramentali dei lumini” Con le sue preci “Giustina del Camposanto” chissà quante sofferenze avrà alleviato alle anime del Purgatorio; chissà quante volte avrà toccato la misericordia di Dio; chissà quante anime, grazie ai suoi suffragi, avranno lasciato il luogo della purificazione per entrare in quello della beatitudine celeste; chissà quante lacrime in quel Camposanto avrà versato per la sua misera condizione di vita e le molte umiliazioni subite. Ora che tu, Giustina, sei nell'aldilà, nessuno prega e piange per te. Ma il Signore ti ricompensa non più con le elemosine di cui tu avevi bisogno per vivere, bensì con la visione beatifica del Suo volto nella dimora eterna della luce, della gioia e della pace. La tua tomba è spoglia, non ha fiori e lumini perché, come ha scritto il Foscolo ( “Dei Sepolcri”, 88-90): “Ahi! sugli estinti / non sorge fiore, ove non sia d'umane / lodi onorato e d'amoroso pianto”.
Autore: Cosmo Tridente
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