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Per un amico morto di Covid
15 marzo 2021

Ed alla fine prendi coscienza della gravità. Svanite certezze, convinzioni avallate da statistiche, dati, report. Erano numeri, ora sono nomi, ora è un nome. E rivedi te stessa negli anni, quelli più belli perché lontani, quando gli unici problemi erano costituiti dalla difficile decisione su cosa mangiare a pranzo al mare o con quale auto raggiungere gli amici in campagna. E durante questo flashback rivedi loro, gli amici. Non sono invecchiati, le rughe non segnano il loro volto, i loro occhi non sono coperti da occhiali da vista, non sono appesantiti da chili di troppo, indossano sempre improbabili costumi da bagno, le gambe ancora costrette in jeans attillati, le ragazze hanno ancora il colore naturale dei loro capelli, il grigio dei colori e della vita non ha intaccato la loro vitalità. Ci sono tutti gli amici, tutti tranne uno. La vita ci aveva portati lontani ma non distanti. Il lavoro, le famiglie, hanno assorbito la vita, hanno reso meno frequenti le amicizie, ma il ritrovarsi per caso era il ritrovarsi di sé stessi da giovani, lo stesso scoppio di risa, lo stesso calore, le stesse bugie nel dirsi di non essere invecchiati. Ed invece non erano bugie, perché lui non invecchierà mai, destinato a diventare un numero in una statistica, un vuoto incolmabile per famiglia, figli, lavoro, un sorriso che viene a mancare, una vita andata via, il COVID che prepotentemente entra nella sfera più intima e diventa reale, non più astratto. Chissà cosa pensava immediatamente dopo la scoperta della positività, chissà se rivedeva, come in una moviola, la sua vita, chissà se con il telecomando, fermava il fotogramma dei ricordi, per fissare quello più bello, chissà se si disperava, piangeva, pregava… certo non ha mai perso quel sorriso che partiva dagli occhi e che contagiava tutti coloro che lo circondavano. E prendi consapevolezza che il mostro è vicino, che non è un’entità astratta, che non tocca solo chi è stato meno bravo ed è stato contagiato. Prendi consapevolezza dell’effimero della vita, della provvisorietà, dell’avere l’obbligo morale di non sprecarla e di viverla intensamente senza che ci sia una minaccia incombente a dovertelo ricordare. Chissà se ha avuto il tempo di prendere consapevolezza dei propri errori, perdonarsi e di far pace con se stesso, chissà se ha avuto tempo di salutare. Chissà se perdonerà chi, come me, non vedendolo da lungo tempo non si è chiesto se stava bene, se era felice. Il perdono è la qualità del coraggioso, non del codardo.

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