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Per il bene comune: un'etica economia o una economia etica? Dibattito a Molfetta
10 marzo 2009

MOLFETTA - La crisi economica ha palesato una serie di problematiche relative alla finanza, alla pubblica amministrazione, alla socialità, alla cultura dei diritti e doveri dell'uomo, che, mascherate dall'ottimismo del sistema e dall'inconsapevolezza del cittadino, hanno causato una violenta e tragica implosione. Un aspetto sociale di questa recessione è quello della ridefinizione del concetto di “bene comune”, di fronte alla convinzione che nella società odierna, globale e multiculturale, non ci siano valori socialmente condivisi e che tale nozione esuli dal suo senso storico ed umano. Per questo motivo, l'Azione Cattolica di Molfetta ha organizzato l'incontro-dibattito “Per il bene comune: un'etica economia o una economia etica?”, cui hanno aderito il prof. Rocco D'Ambrosio (docente di filosofia politica presso la Pontifica Università Gregoriana di Roma e presso la Facoltà teologica Pugliese) ed il dott. Luigi Palombella, già dirigente scolastico (Nella foto: D'Ambrosio, Michele Pappagallo presidente dell'A. C. diocesana e Palombella). Il dott. Palombella ha sottolineato come “la crisi economica palesi la fallacità di un'ideologia basata sul fondamento antropologico dell'homo economicus”, che stabilisce sia la massimizzazione dell'individuo nelle relazione interindividuali (un agire interessato solo al proprio interesse e profitto, la cui realizzazione razionale è il modello dell'impresa), sia il mito dell'efficienza, divenuto valore paradigmatico nella convivenza umana (è assente il rispetto per i bisogni fondamentali dell'uomo, ad esempio, nella sanità, nella scuola, nella pubblica amministrazione) e nella concezione del progresso (legato esclusivamente alla quantità di beni prodotti). Che cos'è il capitalismo, ma soprattutto che cosa ha comportato? Innanzitutto, esso “assicura libertà di circolazione alle merci, ai capitali e ai mezzi di produzione, oltre a ridurre i condizionamenti sociali”: secondo il dott. Palombella proprio questi due principi basilari hanno aumentato la ricchezza, ma allo steso tempo accresciuto l'emarginazione e le sacche di povertà. Il fenomeno endemico alla base della recessione economica può essere riconosciuto, dunque, nella “crescente finanzializzazione dell'economia nelle aree avanzate, che sposta l'attenzione dal mondo della produzione a quello della finanza”: ciò significa che il sistema economico non favorisce lo sviluppo ed il corretto funzionamento del mercato, ma “le bolle speculative e l'innalzamento dei rischi, pur nella mistificazione di un sistema finanziario quale meccanismo perfetto senza intoppi”. Questo dimostrerebbe perché la crisi ha colpito solo i più deboli, che hanno investito i loro risparmi in prodotti finanziari, e non i potenti o “cattivi samaritani” (Chang, ndr), come, ad esempio, l'Organizzazione Mondiale del Commercio, coloro che hanno ideato, strutturato e venduto questi prodotti, gli organismi di vigilanza, etc. Non va dimenticata la deregulation statunitense, attuata a partire dalla seconda metà degli anni '90, con interventi che miravano a ridurre le regole legislative nell'ambito finanziario: secondo il prof. D'Ambrosio questo elemento, unito alla massimizzazione del profitto, non solo ha prodotto l'attuale crisi, ma contraddice il principio di bene comune, come riportato nella “Gaudium et spes” (1965). “Il bene comune è l'insieme delle condizioni della vita sociale, che permettono ai singoli come ai gruppi di raggiungere la propria perfezione più pienamente e più speditamente. […] Occorre che siano rese accessibili all'uomo tutte quelle cose necessarie a condurre una vita veramente umana, come il vitto, il vestito, l'abitazione, il diritto a scegliere liberamente lo stato di vita e a fondare una famiglia, all'educazione, al lavoro, al buon nome, al rispetto, alla necessaria informazione, alla possibilità di agire secondo il retto dettato della sua coscienza, alla salvaguardia della vita privata e alla giusta libertà anche in campo religioso”. Queste condizioni necessarie devono essere assicurate dalla comunità politica, che “esiste in funzione di quel bene comune, nel quale essa trova piena giustificazione e significato e dal quale ricava il suo ordinamento giuridico, originario e proprio” (Gaudium et spes). Questo è, insomma, il senso della politica, che la finanzializzazione ha reso succube della finanza: per il dott. D'Ambrosio “c'è bisogno di ritornare alla politica, perché la finanza non realizza il bene comune ed è priva di regole, che solo la prima può offrire”, ovvero elaborare un progetto etico che si traduca nell'azione di uno Stato che sappia correggere e regolamentare il sistema economico-finanziario. È necessario rimarcare che nel capitalismo, così come oggi lo intendiamo, la persona è concepita come mezzo per l'aumento del profitto e le disuguaglianze sociali come effetti collaterali: porre, invece, la persona al centro dell'economia e considerarla come fine individua quella importante questione antropologica che non solo potrebbe realizzare un cambio di mentalità, eliminando l'utilitarismo sociale e gli stili di vita indotti dal consumismo, ma produrre il benessere tuot-court. Un'antropologia che nella sua prospettiva educativa dovrebbe proporre la competenza delle virtù civiche, mentre nella sua prospettiva politica una revisione del welfare e una serie di interventi di medio-lungo termine per la famiglia, oggi in grave difficoltà in campo economico ed affettivo, che ha perso la sua accezione di soggetto sociale.
Autore: Marcello la Forgia
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