Oltre i fatti
Riflessioni dopo l’omicidio Lopez
Dopo un tempo “chirurgico” per riflettere sui fatti del Bahia e sulla morte di una giovane diciannovenne, quando finalmente il sipario con tutta la sua pruderie di curiosi sembra chiudersi per lasciare spazio a chi di dovere di indagare e capire, qualche considerazione che non sia meramente di parte bisogna pur farla, quantomeno per definire il nostro ruolo di società civile. Che non gioca un ruolo da poco. Dopo la bagarre e il tuffo dei media su un episodio oggettivamente grave, resta il dopo, resta l’ancora. Un fatto delittuoso, specie se di questo tipo, deve essere letto su più livelli: l’allargamento delle azioni e dei traffici della Camorra barese ai centri periferici dell’area metropolitana è un dato incontrovertibile ribadito anche dall’ultima semestrale relazione della DIA sulla situazione mafiosa in terra di Bari. Detto in parole povere, significa che Molfetta, e non solo, è stato ed è, ora più di prima, più degli anni Novanta rampanti di spaccio e di overdose, un territorio mafioso e mafiogeno. Ovvero riesce perfettamente ad inserirsi a pieno titolo in un panorama di azione condivisa e compartecipata di molti clan baresi: l’estendersi del rinascente clan Capriati su alcune aree diffuse della città è un dato conclamato, e testimonia la disponibilità a collegamenti e sinergie delle cosche locali con le più nobili cosche baresi. Peraltro la presenza dei Palermiti e dei Lavopa/ Strisciuglio sul nostro territorio si inserisce perfettamente in questa linea: in qualche modo è casa loro, si sentono a loro agio e vengono… a trovarci, qui come altrove. Il secondo livello di lettura dei fatti del Bahia comporta invece un monito chiaro, definitivo, che pure occorre ribadire: la camorra si muove dove ci sono soldi, dove il flusso del mercato può garantire affari, di ogni tipo. In questo senso alcool, spaccio, droghe chimiche e tutto ciò che movimenta il mercato del crimine sono attrattori potentissimi, specie se combinati ad un pubblico voglioso di una domanda di questi prodotti fatto da giovani, ma anche da una fascia più borghese ed estesa anagraficamente, che giunge a coinvolgere quarantenni e cinquantenni che vogliono sentirsi giovani e performativi. Dunque per le cosche della Camorra barese (si chiama così, occorre ricordarlo) piazzare un mercato dove i soldi e la folla sono facili è cosa assai necessaria che il nostro sviluppo pseudoturistico rende oltremodo facile. Un territorio e una politica che investe in un turismo commerciale, fatto di locali e di movida giovanile consumistica e disponibile ad esperienze forti, un turismo che ignora una gestione contenitiva dei movimenti e dei controlli, un turismo che punta su locali e discoteche e non anche su cinema e spazi alternativi e culturali, è un turismo che attira la camorra, è un turismo che la camorra frequenta (a vario titolo come i fatti confermano), è un turismo che genera disordine, analfabetismo sociale e soprattutto alimenta il traffico di ogni tipo di droga, da quelle leggere a quelle chimiche, clamorosamente in rialzo. Posto che sia turismo. Si aggiunga la spregiudicatezza di boss giovani e senza passato perché privi di paternità tradizionalistica come nel nostro caso: ripeto sono boss giovani in forte bisogno di ascesa, che non tollerano impedimenti, non controllati dai loro padri che o sono morti o sono in carcere decapitati da una magistratura che negli ultimi anni ha sferrato alla mafia colpi potentissimi. Sono giovani boss che rendono il gioco del traffico e del controllo che ne consegue (primo obiettivo dello smercio di droga) veramente complesso perché scendono in campo come forze disposte a tutto e spaventosamente spregiudicate. Tutto il nostro litorale, da Barletta a Monopoli, è una ridanciana fabbrica del divertimento, non è più propriamente lo spazio del mare e del panorama e della proprietà condivisa del nostro naturalismo leggero e declinabile pure turisticamente. E’ piuttosto lo spazio, sempre e facilmente degenerabile, di concessioni commerciali e di movimenti notturni non calmierati e non controllati. E’ lo spazio del mondo fluttuante della “Bari da bere” in cui io, e non solo io, non mi riconosco. Desolante appare in questo quadro l’inseguimento da parte delle istituzioni locali di una chimera turistica puramente commerciale che di fatto va a scapito della qualità del territorio svenduto e commercializzato. Il turismo buono e da perseguire non è questo: quello che si vive a Molfetta come altrove è piuttosto un piatto forte servito alla Camorra. Il rilancio del territorio va pensato non tramite la via facile dei soldi, ma attraverso quella più complessa del potenziamento delle risorse locali: pesca, commercio, terzo settore. Soprattutto va potenziata la qualità della vita per chi ci abita, che rende una città bella e interessante non per venirci a ballare in una notte di sabato che ti regala anche lo sballo, ma anche per venirci a passeggiare e a godere di un tempo e di uno spazio a misura di giovane, di bambino, di uomo e di donna, di anziano. Una città così non cerca soldi da investire subito, piuttosto cerca se stessa e ha cura di sé. Ma, stando a certe interviste rilasciate dai potenti molfettesi, questa è una visione utopica che si scontra con la grettezza di chi cerca soldi, magari pochi, maledetti e subito. E rimane una Molfetta lontana da tutto: soprattutto da un rilancio che poteva renderla bella e attraente come città alternativa dalla movida intelligente e culturale, vissuta e amata dai suoi cittadini. Ma, si sa, una discoteca o un locale in genere, con il relativo aggancio mafioso suo malgrado, funziona sempre meglio e aggancia i giovani locali e non, su cui comunque ricade la colpa. Altro che visioni di futuro. Un piano turistico di valorizzazione deve invece urgentemente passare attraverso proposte di coinvolgimento proprio dei giovani in iniziative di animazione del territorio e in un rilancio intelligente dello stesso come proprietà demaniale condivisa e partecipata, che non chiede solo e sempre discoteche e locali, ma anche spazi liberi di abitazione: che non procurano soldi ma creano cittadini capaci di scorgere panorami lontani che radichino l’amore per la propria terra. © Riproduzione riservata