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Occhi di Bambola di Maria Addamiano
15 giugno 2018

Una nuova prova narrativa per la molfettese Maria Addamiano. Occhi di bambola è un lungo racconto fiabesco pubblicato dalla Wip, valida casa editrice barese, diretta da Stefano Ruocco. La prefazione dell’opera è stata curata da Lucia Camporeale. Recentemente il testo è stato presentato a Bari, presso “Mondolibri”, da Nicola De Matteo e Nicola Giampaolo, con letture a cura di Luigi Armentano. Questo nuovo scritto s’inscrive nel filone dei Racconti di Mirka, precedente opera dell’artista (Ed. Insieme, Terlizzi, 2011), autrice anche di un’altra fiaba intitolata Elisia (Ed. Immagine, Molfetta, 2016). Il tema è quello dell’infanzia negata e ferita. La protagonista, Sara, in attesa di adozione nella squallida cornice di una casa-famiglia, è improvvisamente oggetto di rapimento da parte di due strani individui in automobile. In un crescendo di inquietudine, l’Addamiano segue la progressione degli eventi, che poi conoscono un rasserenamento, ma non il lieto fine canonico. La conclusione, infatti, lascia intravedere sviluppi positivi, ma, soprattutto, vuole stimolare i giovanissimi lettori a sognare e a concludere loro la vicenda di Sara. La narrazione è prevalentemente focalizzata sull’io della bambina, di cui l’autrice puntualmente registra i pensieri e le emozioni. La realtà è a tratti trasfigurata magicamente (si veda la funzione attribuita al sassolino), ma questo non basta a celare l’inadeguatezza degli adulti, figure negative e senza scrupoli o estremamente superficiali e incapaci di discostarsi da idee stereotipe (Dorina, il marito, il signor Menogatti). Tutti, secondo modalità diverse, finiscono infatti con il voler ridurre la piccola Sara a una bambolina dagli occhi graziosi, priva di personalità e di vivacità, passivamente docile e obbediente. La narrazione ci sembra, infatti, voler trasmettere un messaggio di grande profondità: tutti i bambini, anche quelli più problematici e dalla società etichettati come ‘strani’, in realtà celano soltanto un disperato bisogno di affetto. L’opera, impreziosita dal dialogo con i graziosi acquerelli di Maria Bonaduce, pur affrontando tematiche complesse e non sempre rassicuranti, non abbandona mai quello sguardo e quell’attitudine speranzosa che sono propri dell’ottica di molti fanciulli. La capacità di cogliere qualcosa di bello anche quando ci si avvicina al baratro, il desiderio di continuare a credere nella bontà della natura umana. Ciò si riverbera nello stile, che cerca di mantenere sempre vivo il senso dell’incanto, insegnando che nella vita “si può anche perdere”, ma ciò ch’è realmente importante è attingere dal proprio cuore la forza di ricominciare sempre e comunque. © Riproduzione riservata

Autore: Gianni Antonio Palumbo
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