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“Non tutto è perduto” Antifascisti molfettesi: Giovanni Pansini
15 aprile 2024

Giovanni Pansini nacque a Molfetta il 4 febbraio 1889 da Tiberio, farmacista e Rachele Picca. Iniziò gli studi presso il Seminario e Collegio Vescovile di Molfetta, e li terminò presso il locale Liceo Classico. Per volere dei genitori e suo malgrado, fu avviato alla carriera militare presso l’Accademia Militare di Modena. Dotato di fiero temperamento e incapace di sopportare impunemente soprusi ed ingiustizie, fu radicalmente insofferente alla disciplina militare. Sostenne in Accademia un duello all’arma bianca, del quale esiste regolare verbale, firmato da quattro padrini, uno dei quali si chiamava Tomaso Pansini. Il Nostro non riuscendo a persuadere i genitori a lasciargli abbandonare quella carriera, tentò il suicidio, sparandosi al petto e salvandosi per miracolo. La pallottola, che sfiorò il cuore, non gli fu allora estratta, e molti anni dopo, pochi giorni prima che morisse, comparve in una radiografia eseguitagli in ospedale, con grande stupore dei sanitari e dei parenti. Lasciata finalmente l’Accademia, si trasferì a Milano, dove si iscrisse alla facoltà di Giurisprudenza, laureandosi nel 1914. Nel frattempo aveva trovato lavoro e si era sposato. Già dagli anni universitari, si iscrisse al Partito Repubblicano Italiano, nel quale militò per tutta la vita. Fu interventista democratico, subì per questo numerosi pestaggi e, scoppiata la guerra, si arruolò volontario, nonostante avesse due bambini, fu congedato con il grado di sottotenente del V Reggimento Alpini, Battaglione “Morbegno”. Fin dal suo apparire, lottò accanitamente contro il fascismo, partecipando all’attività clandestina della Concentrazione Antifascista in Lombardia. Il 26 ottobre 1931, in seguito a delazione, fu arrestato dall’O.V.R.A., con un’accusa molto grave e, per quanto riguardava l’esecuzione di atti terroristici, infondata. Durante l’istruttoria e il processo, rivendicò la sua fede repubblicana, ma non compromise altri compagni, tralasciando anche elementi a suo discarico. La Commissione Provinciale per l’assegnazione al confino di polizia, riunitasi nella Prefettura di Roma il 13 giugno 1932, gli comminava cinque anni di confino con la seguente motivazione: “Pansini Giovanni di Tiberio è un pericolosissimo repubblicano a tendenze anarchiche, che ha svolto subdola e perniciosa attività antifascista, mantenendosi anche in relazione clandestina con i centri antifascisti all’estero”. Fu relegato prima all’isola di Ponza, e poi a Ventotene. Suo figlio Tiberio, nato nel 1917, vivendo spesso con lui nelle isole, ebbe modo di apprendere e condividere gli ideali paterni, decidendo di tradurli dal pensiero all’azione. Il 9 novembre 1933 Giovanni fu sospeso dal grado di tenente di fanteria. Rimesso in libertà vigilata nel 1937, fu sospeso dal suo impiego presso l’Amministrazione delle Poste, e per mantenere la famiglia divenne piazzista di materiale dentario. Il 21 luglio 1938 fu definitivamente rimosso dal suo grado di ufficiale. Durante la Resistenza fece parte del Corpo Volontario della Libertà, e fu inquadrato prima nel Battaglione “San Martino” della Brigata “Matteotti” di Varese, e successivamente nel terzo Raggruppamento Brigate Mazzini”. Il 9 aprile 1945 suo figlio Tiberio, ventottenne, comunista, Ispettore Regionale e vice Commissario Politico di due Divisioni Garibaldine in Lombardia, arrestato per delazione di una spia e lungamente torturato, fu assassinato da bande fasciste a Castione Andevenno, nei pressi di Sondrio. Dopo la guerra, Giovanni venne reintegrato alle Poste e raggiunse la qualifica di Ispettore Capo e Direttore di Divisione. È morto a Modena il 19 settembre 1973. Sul frontespizio di una copia del volume di Ernesto Rossi, “Una spia del regime”, scrisse “Non tutto è perduto”. © Riproduzione riservata

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