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Nasce una nuova banca molfettese E' il credito cooperativo che si rivolge a piccoli imprenditori e famiglie
15 maggio 2002

Lillino di Gioia, Annalisa Altomare, Mauro De Sario, Sergio Azzollini. Insomma “i soliti noti”. Che hanno fatto stavolta? Di cosa dobbiamo preoccuparci nel vedere i loro nomi così “pericolosamente” in fila ? “Una banca. Hanno fatto una banca”, si dice. Anzi “ci stanno provando”, si risponde. “La fotocopia della Banca Cattolica Popolare, per sistemare figli e nipoti”, si legge sul nostro forum Internet. “Sarebbe anche una buona idea, ma come fidarsi di quei quattro amici al bar?”, si domanda? Il cronista ha il dovere di raccogliere le voci della piazza. Metterle in fila e registrare i dubbi di una città ripiombata nello stato confusionale. Ma ha anche il diritto di rovesciare la medaglia. E rilanciare, per vedere che succede. Le voci di corridoio E' plausibile storcere la bocca dinanzi a quei nomi, nel clima manicheo del post-plebiscito di Minervini II. Ma iniziamo a riequilibrare la verità, ad uscire dal terreno poco fertile della diceria. Partendo da alcuni dati oggettivi. Molfetta è stata colonizzata da una serie di istituti bancari “esterni”, prevalentemente di provenienza settentrionale. Molfetta ha assistito alla cessione della Banca Cattolica Popolare alla Antonveneta senza troppo disperarsi. Molfetta è rimasta orfana di un istituto bancario “territoriale”senza battere ciglio. In questo contesto, l'operazione di fondare un istituto di credito radicato nel territorio non sorprende nessuno e, come si dice, “sta nelle cose”. L'idea, quindi, non è di quelle originali e dell'altro pianeta e non cela (non necessariamente) progetti misteriosi. E' ipotizzabile, anzi, che si tratti di una semplice operazione finanziaria. Un'operazione che ha un nome: Banca di Credito Cooperativo Molfettese. E una scadenza: raccogliere entro novembre 1200 soci a 2500 euro a quota, con lo scopo di raggiungere un patrimonio di base che possa consentire alla banca l'effettiva apertura (auspicabile per i primi mesi del 2003) con un sufficiente capitale iniziale. Cosa vuole la “lista degli imputati”? Detto ciò, sfatiamo un altro tabù e leggiamo meglio la “lista degli imputati”, ovvero dei trenta membri del comitato promotore: Annalisa Altomare, dirigente medico; Salvatore Altamura, avvocato; Sergio Azzollini, agente immobiliare; Damiano Belgiovine, imprenditore edile;Donato de Bari, dirigente; Michele de Candia, ingegnere; Tobia de Candia, assicuratore; Vito de Candia, commercialista; Donato de Gioia, funzionario; Piero A. de Nicolo, avvocato; Mauro de Sario, avvocato; Lillino Di Gioia, ingegnere; Rita Finzi, insegnante; Luciano Gadaleta, imprenditore edile; Pierangelo Iurilli, avvocato; Salvatore Luiso, imprenditore; Paolo Minervini, insegnante; Giovanni Mulinelli, commercialista; Nicolò Natalicchio, agente di commercio; Giuseppe Paparella, dirigente comunale; Giovanni Salvemini, avvocato; Francesco Sgherza, imprenditore; Mauro Uva, impiegato comunale; Pasquale Valentini, avvocato. Vi troviamo imprenditori, dirigenti ma anche impiegati, liberi professionisti e insegnanti fino ad oggi “anonimi” o quasi. Trenta persone che, dall'inizio dell'anno, si incontrano e lavorano ad un progetto: realizzare una banca che raccolga e distribuisca soldi sul territorio, rivolta ai risparmiatori minori e alle famiglie nella raccolta e ai piccoli e medi imprenditori locali nell'impiego. Una banca a cui chiedere il mutuo della casa ad un prezzo ragionevole e a cui rivolgersi per un prestito d'onore necessario ad avviare una impresa locale senza costi astronomici e disincentivanti. La banca delle piccole operazioni, quelle che le banche nazionali valutano spesso (troppo spesso) come un fastidio da pagare caro e non una opportunità. E accantoniamo anche un'altra falsa credenza: il comitato promotore non è e non sarà il proprietario della banca. Appena la nuova banca sarà costituita presso la Banca d'Italia, alla fine dell'anno, si riunirà l'assemblea dei soci e il comitato uscirà di scena. Impossibile? Ma vero, se si legge con attenzione lo statuto e soprattutto una sua clausola interessante: all'interno dell'assemblea ogni soggetto (e non ogni quota minima) avrà diritto ad un voto. Chiunque decide di contribuire, anche minimamente, al progetto con l'acquisto di una sola quota avrà, in sede di voto, la stessa voce in capitolo di chi decide di investire un numero consistente di capitali (superiore, quindi, ai 2500 di “accesso”). I giochi di potere non sono esclusi, certo. Negarlo sarebbe stupido e parziale. Ma le lobbies interessate al progetto sono plurali e diverse. Anche i poli di sottoscrizione delle quote sono molteplici e questo è curioso e sembra garantire una certa immunità da squilibri di sorta. Oltre i fischi e gli applausi I processi alle intenzioni qualche volta sono utili e stimolanti. E le critiche alla nuova banca ci sembrano in parte non prive di fondamento. L'immagine di Lillino Di Gioia che tiene banco in conferenza stampa non aiuta a rassicurare chi ha dimostrato curiosità verso il progetto sulla sua effettiva “genuinità”. Dà l'idea antipatica di un'autoinvestitura. Un'idea che di questi tempi fa ribollire più di qualche stomaco, compreso il nostro. Ragionare di stomaco, però, non sempre porta lontano. E salvare il nucleo del progetto dai complottismi e dai sospetti non ci sembra, in sé, cattiva cosa per la città. Paola Natalicchio
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