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Morto a Roma lo scrittore molfettese Dino Claudio, sempre alla ricerca del significato dell’esistenza Malato da tempo, si è spento a 92 anni. Ha scelto di essere sepolto nella sua città
15 luglio 2022

È morto a Roma lo scrittore Dino Claudio all’età di 92 anni (era nato a Molfetta il 7 agosto del 1931). I funerali si sono svolti nella Cattedrale di Molfetta. Poeta, narratore, provveditore agli Studi, ori- ginario di Molfetta ma residente a Roma; esordì con la raccolta di poesie Autunno e Puglia, a cui seguirono altre opere, tra poesia e narrati- va, come il romanzo corale L’eredità degli esclusi. Romanzo che ebbe un notevole riscontro e lo portò a collaborare con numerose testate letterarie come Paragone e La Fiera Letteraria. Claudio era Commendatore Ordine al Merito della Repubblica Italiana «Di iniziativa della Presidenza del Consiglio dei Ministri» Roma, 2 giu- gno 1982». Autore di spessore, la sua vocazione più autentica si è rivelata sempre quella letteraria, come di- mostrano i numerosi titoli della sua produzione e gli apprezzamenti estremamente lusinghieri dei critici più esigenti che gli hanno dedicato nume- rosi saggi. La sua bibliografia della critica si com- pone di circa 300 interventi. Presente in molte antologie la sua opera è stata oggetto di tesi di laurea da parte della Università Cattolica di Mila- no e per due volte nella Università di Bari. È inoltre ottimamente collocato nella storia della civiltà letteraria italiana (UTET 1995) diretta da Giorgio Bárberi Squarotti. Opere pubblicate: Autunno e Puglia, poesie, Rebellato 1963; L’eredità degli esclusi, romanzo, Cappelli 1965; Fine di un’amicizia, poesie, De Luca 1970; Rap- porto scrittore-lettore e società contemporanea, saggio, Opera Aperta 1970; L’Albero Nudo, romanzo, Cartia 1977; Il Provveditore, romanzo, Sciascia 1984; I sentieri del vento, poesie, Laterza 1984; Il bosco illuminato, poesie, Giardini 1993; Le stelle pazze, romanzo, Bulzoni 1994; L’isola di Cicno, romanzo, Palomar 1997; Tardone, racconti, Guida ed. 2000; L’Alba dei Vinti, romanzo, Marsilio 2002 (Premio Firenze-Europa 2004); Pentagramma del vento, Lepisma 2008, poesie – opera omnia; La tempesta invisibile, romanzo, Medusa 2014; Incontri nella nebbia, Genesi edi- trice, 2017, romanzo. Affettuose condoglianze alla famiglia, e in par- ticolare alla sorella Susanna e al marito Vito Valente, dalla redazione e dal direttore di “Quindici” Felice de Sanctis, che lo ricorda con grande stima e amicizia cresciuta in lunghe conversazioni telefoniche, in occasione della pubblicazione delle sue opere, sempre recensite sulla nostra rivista. Ecco un profilo critico-letterario dello scrittore molfettese, pubblicato alcuni anni fa, su “Nuova Puglia d’oro” Dino Claudio, un poeta che da molti anni si è allontanato dalla Puglia ma che con la Puglia continua ad avere rapporti attraverso i pochi familiari che qui gli sono rimasti. E’ nato nel 1931 Claudio, esponente di quella generazione in viag- gio che ha vissuto tra ricerca del nuovo e no- stalgia del passato, da Biagia Marniti a Marino Piazzolla a Raffaele Carrieri e a Giuseppe Cas- sieri. Scrittori che hanno trovato una prima siste- mazione a metà anni settanta nelle antologie di Accrocca e Ulivi sui Narratori e poeti della Puglia e che solo il repertorio di Pasquale Sorrenti sui pugliesi illustri del Novecento ha salvato da un dimenticatoio senza rimedio. In fondo una rubrica come questa ha proprio il compito di sollevare la polvere che rischia di accumularsi su uomini questioni temi a volte affondati nel sommerso. Per quanto è improprio parlare di sommerso a proposito di Claudio, che ha goduto di una fortuna critica nazionale alla quale la Puglia è stata resa avvertita solo negli ultimi anni, quando Francesco Tateo se n’è occupato in “Esperienze letterarie”, Pasqua- le Voza ha dato le prime tesi di laurea e la rivista “Incroci” ne ha pubblicato qualche estratto. Poeta e narratore appartato, che vive l’esisten- za se non come un fastidio come un luogo da percorrere con la mente e lo sguardo a quella eternità da cui veniamo e alla quale siamo inesorabilmente destinati, Dino Claudio ha espresso la sua opposizione alle correnti avanguardistiche del 900 già nelle raccolte La strada e la montagna, edito a Bari nel ‘58 e Autunno e Puglia,( Pa- dova 1963). Testi nutriti di modelli classici e volutamente desueti, ancorati per scelta a una tradizione no- vecentesca che vuole porsi contro l’impegno della neoavanguardia in quanto protesa a discutere sull’essere e sui valori assoluti. Versi nati nella memoria di una terra che è il luogo dei miti ma- gnogreci e approdanti a una poesia dalla compo- stezza classica, come hanno scritto Manacorda, Giachery, Barberi Squarotti. Una compostezza che esula dalle preoccupazioni di rinnovamento formale e dalle sperimentazioni e che è solo preoc- cupata di testimoniare il silenzio della riflessione infinita e la solitudine che nasce dinanzi all’effimero nel quale siamo collocati. E’ questa la tensione poetica dei Frammenti all’amica perduta, di Fine di un’amicizia e de I sentieri del vento. Una poesia che affonda le radici nella scrittura di Kierkegaard e di Kafka e in cui il rimpianto è per la perduta fede nello spirito e nella ricerca di rapporti tra spiritualismo e titanismo cristiano, nel rapporto con la memoria e con le ragioni del nostro essere qui, a tracciare le orme di una storia individuale e collettiva che sembrerebbe non avere senso. Che ragioni abbiamo a continuare se intorno a noi c’è il vuoto totale? Se il nulla ci abbraccia e ci consuma? Ma che ragioni abbiamo se sganciati dalla teologia del peccato e della redenzione siamo qui in attesa solo che si consumi la vita per conoscere il senso di tutto? Questi interroga- tivi tornano nei versi de Il bosco illuminato, nella Lettera dall’Abruzzo e ne La Cerva d’oro, dopodiché Claudio ha deciso di votarsi definitivamente alla narrativa. Una narrativa che non si discosta nei temi dalla poesia. La passione del narrare si era palesata molti anni fa, nel 1965, con La via degli esclusi, sempre la ricerca del fondamento dell’esistenza, la voglia di risvegliare la coscienza del lettore dalla polvere che il conformismo ha gettato su di lui, un dialogo serrato con filosofi come De Unamuno e Sartre. E l’utilizzo di una scrittura desueta, che sfugge alla logica del “romanzo medio di qualità”. Temi che se si distraggono dalla domanda sul fondamento e sull’Essere, spaziano nell’analisi della ricostruzio- ne morale e materiale degli ultimi cinquant’anni. Il tormento di un impiegato del ministero in L’albero nudo, che è del 1977 e la denuncia dei mali in cui versa la scuola e della crisi profonda della nostra società. Temi che tornano ne Il prov- veditore, racconto dalle forti tinte autobiografiche scritto nel 1984 e nel quale il pretesto è dibattere i decreti delegati della legge Malfatti ma in realtà raccontare la condizione di solitudine in cui versa il dottor Armani, l’alter ego di Dino Claudio, che non sa gettare la spugna di fronte allo sfacelo della scuola e intanto non riesce a coniugare la sua fame di infinito, la domanda sull’essere e sulle ra- gioni della vita con la contingenza del momento. Se il compito di un docente è formare, che senso ha l’impegno di fronte al nulla e dunque all’i- nutilità del tempo che consumiamo tra visitare un ipermercato, tornare ogni giorno in ufficio, arra- battarci nella banalità quotidiana della vita? Ma intanto il presente incalza, la cronaca si fa stringente e comunica un bisogno di intervenire sul sociale. Tutto questo è nel romanzo L’isola di Cicno, del 1997. Ora il narratore si accorge che mentre si interrogava sulle ragioni ultime i barba- ri hanno invaso il villaggio globale, la distruzione è dappertutto, lo sconquasso nell’ambiente, nei nostri ricordi, nella morale, nella gestione delle nostre interiorità. Nasce una sottile ironia sui tempi che viviamo e sulle nevrosi del momento in Tar- done, del 2000, fino al romanzo ultimo, L’Alba dei vinti, pubblicato nel 2003 e al quale sono andati il premio Minturno e il Fiorino d’oro. I vinti siamo noi, figli di un tempo che non sa ribellarsi al degrado morale e sociale, addormentati in un consumismo delle idee e della morale e pri- vi di voglia e di capacità a compiere un qualunque salto in grado di ricostruire uno statuto di valori umanizzanti. I vinti siamo noi distratti e incapaci di pensare che tutto questo che attraversiamo non è il fondamento, ma il contorno, il davanzale di una finestra che guarda la nebbia. Una coltre spessa, oltre la quale ci sono forse le risposte che atten- diamo da sempre.

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