Momenti di donna, le splendide foto di Mauro Germinario
Nei suoi Momenti di donna, profili di vita, Mauro Germinario di “Quindici” conferma la sua particolare vocazione di fotografo a metà tra strada tra reporter e cantastorie. Nell’intento di donare voce all’universo femminile “unico, irripetibile”, configurando lo spazio della donna come “assoluto”, egli ci offre scampoli di quel “mistero senza fine bello” artefice di improvvise e inattese accensioni di bellezza. L’autore ricerca per le strade storie in attesa di narrarsi, rispolvera istantanee che parrebbero d’antan e invece rappresentano il canto del cigno di un mondo in mesto tramonto, verso il quale Germinario manifesta una dolce nostalgia. La donna di questi Momenti di vita si muove tra necessità (il concetto greco di anànke) e libertà. Binomio ben rappresentato dal volto enigmatico di Erika Cormio, redattrice di “Quindici”, nel bel manifesto: armonia dei lineamenti, dolcezza austera alla Leuconoe (creatura oraziana), grazia permeata di vigore intellettuale. Non a caso a voler la mostra è stata la Fidapa (rappresentata dal presidente Lidia Gagliardi), simbolo dell’operosità delle donne, e l’inaugurazione si è dispiegata all’insegna di due presenze femminili importanti nella cultura molfettese: la curatrice dell’allestimento, Daniela Calfapietro, e la poetessa e docente Jole de Pinto, felice incarnazione di come la sensibilità e il gusto femminile possano estrinsecarsi nell’arte e nella critica letteraria. Le donne di G e r m i n a r i o non fissano mai l’obiettivo; non si offrono civettuole agli sguardi cupidi di una mascolinità in crisi. Vivono con spontaneità una quotidianità costellata di spese e piccole, irrinunciabili, vanità o coniugano il verbo virgiliano del lavoro che vince su tutto, con energia mai doma. La loro necessità è fatta di pile di camicie o di acrobazie che non di rado le inducono sull’orlo del baratro; a far da sfondo alle loro quotidiane evoluzioni le cupole delle nostre cattedrali o i recessi dei centri storici. Qui capita di incontrare, quasi fossero genii loci, anziane donne, cui l’età senile non impedisce di perpetrare, con composta dignità, il culto del lindore, contrapposto alla squallida decadenza di città in declino. Altre attendono, sguardo all’orizzonte, chi possa appagare un’ansia di racconti che non sfugge all’obiettivo, capace – con ariosa levità – di lasciar intuire l’infinità di mondi che gli occhi crepitanti inseguono. La tensione del lavoro – oggi non più relegato negli usuali domìni della sartoria o della cura della casa – è adombrata in più creazioni; poi, improvvisa accade la gioia e si esprime attraverso la vitalità bambina che scompagina un “Presentat’arm”, proprio perché le è ignoto l’eterno gioco delle parti, da sempre regolatore dei rapporti umani. La fotografia diviene specchio d’allegria scanzonata, in un momento di tenerezza tra generazioni-stagioni, dove la volontà di rappresentarsi vicendevolmente diviene scoperta di orizzonti dell’anima; in altri casi, essa scopre il sorgere improvviso di complicità, figlie di fedi condivise al di là di etniche differenze, o scruta quella bellezza fiera e altera che un inusitato costume d’epoca contribuisce a far brillare. E il fotografo riparte, in cerca di volti e storie nuove, che ricatapultino “al centro della vita” e ci aiutino a sentirci meno soli sul “cuore della terra”.
Autore: Gianni Antonio Palumbo