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Molfetta, veglia di preghiera a 25 anni dall'incontro interreligioso di Assisi
26 ottobre 2011

MOLFETTA - Pellegrini credenti … Costruttori di pace
Il 27 ottobre 1986 ad Assisi, come cita un comunicato, i rappresentanti religiosi hanno pregato per la pace.
L’aspetto più importante di quell’esperienza non è dato dalla finalità della
preghiera, cioè, per impetrare la pace, ma dal semplice fatto che essi hanno
pregato. Pregando, essi hanno vissuto e testimoniato la pace. La preghiera non è un
assalto a Dio con le nostre richieste, o un patteggiamento: è un disarmo e una resa
totale di fronte a lui; pregando, noi diciamo a Dio: non sono più io il padrone di
me stesso e della storia. Da questo disarmo nasce la pace. La preghiera, quindi, è
la prima esperienza di pace.
Venticinque anni dopo i leader mondiali delle religioni torneranno ad Assisi
“Pellegrini della verità. Pellegrini della pace”. A indire l’incontro ancora una
volta un Papa. Il 1° gennaio scorso, al termine della preghiera dell’Angelus,
Benedetto XVI ha annunciato di voler solennizzare il 25° anniversario dello storico
incontro tenutosi ad Assisi il 27 ottobre 1986, recandosi pellegrino nella città di
San Francesco e invitando nuovamente ad unirsi a questo cammino i fratelli cristiani
delle diverse Confessioni, gli esponenti delle tradizioni religiose del mondo e,
idealmente, tutti gli uomini di buona volontà.
In tutte le diocesi si vivranno momenti di preghiera in comunione con l'evento di
Assisi.
Il 27 ottobre 2011 alle ore 20 presso il Duomo di Molfetta si terrà un incontro di
preghiera dal tema Pellegrini credenti … Costruttori di pace per commemorare il 25°
anniversario dello “spirito di Assisi”.
L’invito è esteso ai fedeli di tutte le confessioni religiose presenti in diocesi,
ma anche ai non credenti.

 

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La pace non si accontenta della legalità; la pace aspira alla giustizia, la quale giustizia però non si instaura da sola. Si presenta quindi il problema cruciale dei mezzi e dei fini. La maggior parte delle guerre sono state intraprese con il pretesto di difendere la giustizia. "Iusta causa" (è stato detto fin dai tempi di sant'Agostino) è il primo requisito per giustificare un'azione bellica. Se un estremo è il puro ideale di ristabilire l'ordine perturbato (forse fin dall'origine dell'uomo), se la ribellione contro qualunque ordine ingiusto, l'altro estremo è la rassegnazione più o meno fatalista e l'accontentarsi della mera legalità. La critica non dovrebbe essere rivolta solo a certe dottrine religiose che predicano una rassegnazione fatalista o una pazienza escatologica, ma anche a una certa assolutizzazione della democrazia che tollera solo un'opposizione che rispetta le regole intangibili del gioco e i valori "sacrosanti" di alcune "costituzioni" che trovano generalmente opposizioni in chi non le ha votate. Abbiamo forse dimenticato gli schiavi del tempo di Pericle o i tre quarti dei francesi dopo la rivoluzione del 1789, privati del voto perchè non potevano pagare l'imposta per acquisirne il diritto? O la stessa Costituzione degli Stati Uniti che escluse gli schiavi e i negri? La pace non è sinonimo di legalità, perche la legalità non è la giustizia. Molte dittature sono perfettamente legali. Ne consegue che, per realizzare la pace, non occorrono tanto sofisti, avvocati e politici; e non basta attenersi a una legalità previamente stabilita. Tanto la pace quanto la giustizia esigono di più. Se la violenza non è la soluzione, meno ancora può esserlo la violenza statale o legale. Finchè le due parti non condividono lo stesso mito non si avrà pace. Il mito, però, è il riconoscimento del trascendente. "Perchè vi sia pace sulla terra occorre che cantino gli angeli in cielo" (Lc 2, 14). Il che significa che senza un cambiamento radicale di antropologia e di cosmologia gli individui non possono darsi democraticamente la pace che tanto desiderano razionalmente.- (Pace e disarmo culturale - Raimon Panikkar)
“SI VIS PACEM PARA TE IPSUM” (Se vuoi la pace prepara te stesso). - La pace sembra essere uno degli obiettivi che si sono sempre poste le grandi anime esistite nel mondo. La loro sensibilità le fa soffrire nel vedere la violenza diffusa ovunque e soprattutto l'odio. E' da ciò che viene il primato universale dell'amore. Pico della Mirandola parla della discordia che regna in noi e la definisce peggiore di una guerra civile: “multiplex….in nobis discordia; gravia et intestina domi habemus, et plus quam civilia bella” (molteplice…., in noi la discordia; grave e intestina, peggiore della guerra civile) ispirandosi a Giobbe 25,2. Così come la guerra ha cessato di essere un rito e ha perso ogni ragione di essere (alienum a ratione la definisce Giovanni XXIII nella sua enciclica Pacem in terris del 1963), la pace ha smesso di essere un lusso. Essa è condizione indispensabile per la pienezza della vita umana, per la preservazione della specie e per la vita stessa del pianeta. Questa pace però è qualcosa più che la tranquillità spirituale o l'assenza di guerra; è qualcosa che va oltre qualunque dicotomia e penetra in tutte le sfere della vita. La pace non è esclusivamente individuale né meramente collettiva, la pace è tanto assunto politico quanto valore religioso, sia naturale che culturale. Nella situazione attuale dell'umanità, nella quale la cultura tecnocratica sta infiltrandosi nei luoghi più reconditi della terra, risulta poco relistico parlare di pace senza mettere in atto il disarmo culturale di questa civiltà dominante. Questo disarmo però non può essere attuato da nessun decreto regio né tantameno da nessuna iniziativa puramente tecnica: è un compito integralmente umano. Non è realistico affannarsi per la pace se non procediamo a un disarmo della cultura bellica nella quale viviamo. E continueremo a perseguirla se non ne prendiamo atto. Perché ci sia pace in terra, dobbiamo cercare di disarmare la cultura dominante, dobbiamo superare le filosofie (e le teologie) che imperano ai nostri giorni. Sono proprio questi sistemi ideologici che giustificano e sostengono le prassi politiche, commerciali, economiche e anche il pensiero prevalente oggigiorno in quello che viene visibilmente chiamato “primo mondo”. Se si seguita su questa via, presto l'acqua potabile sarà un bene di mercato e chi non potrà pagarla si vedrà condannato a morire di sete o a ribellarsi. In realtà non abbiamo fatto molti progressi – anche se abbiamo abolito lo ius primae noctis e i servi della gleba. -
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