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Molfetta, riapre l'inchiesta sull'Ustica molfettese: l'affondamento del Francesco Padre
15 febbraio 2010

Potrebbe essere riaperta l’inchiesta sull’Ustica molfettese, l’affondamento del motopesca “Francesco Padre” nella notte del 4 novembre 1994 a 20 miglia dalle coste del Montenegro. In quella tragica notte persero la vita i 5 uomini che erano a bordo del natante: il comandante Giovanni Pansini (45 anni), il motorista Luigi De Giglio (56 anni), il pescatore Saverio Gadaleta (42 anni), il capopesca Francesco Zaza (31 anni), il marinaio Mario De Nicolo (28 anni) e il loro fedele cane pastore. Solo il corpo di De Nicolo fu ritrovato, mentre i resti degli altri uomini sono ancora in fondo al mare. Le indagini sulla sciagura iniziarono con il sostituto procuratore Elisabetta Pugliese, poi continuò il magistrato Giancarlo Montedoro che, il 30 gennaio 1997, chiese al gip l’archiviazione del caso per probabile esplosione interna al motopesca, con l’ipotesi che il “Francesco Padre” trasportasse esplosivo e armi. I parenti delle vittime si ribellarono a questa tesi, sostenendo che il motopesca fosse stato colpito dall’esterno da un missile o un siluro, durante un’esercitazione militare o un’azione di guerra della Nato che proprio in quei giorni si stava tenendo nelle acque del Montenegro. Di questa vicenda si occupò a lungo e ampiamente “Quindici”, già sul primo numero del giornale, il 23 dicembre 1994, poi tornò sull’argomento quando furono presentate le perizie ufficiali, con un articolo sul n. 8 del 26 maggio 1995. Su “Quindici” di febbraio 1997 abbiamo dato voce alle famiglie delle vittime, che non accettavano l’archiviazione del caso “per esplosione dall’interno”. Nel maggio del 1997 ci chiedevamo perché fosse stato recuperato un battello con i cadaveri di alcuni albanesi e non fosse stata tentata la stessa operazione con il natante di Molfetta. Infine, nel giugno del 1997 Quindici pubblicava in esclusiva le foto del relitto del peschereccio in fondo al mare con il particolare di un teschio umano che si intravedeva nello scafo. Negli ultimi numeri del giornale stiamo portando altri argomenti alla tesi contraria all’esplosione dall’interno, con il contributo di Mauro Brattoli, presidente del Centro Difesa marittimi. La tesi della esplosione dall’esterno è stata anche riproposta recentemente dal libro del giornalista Gianni Lannes, “Nato: colpito e affondato, la tragedia insabbiata del Francesco Padre” edito dalla “Meridiana”. L’avv. Antonio Pansini difensore dei familiari, all’epoca, si oppose all’archiviazione, ma, il 17 dicembre 1997, il Gip Giulia Pavese, accolse la richiesta del Pm e archiviò il caso. I familiari non si arresero e depositarono in Procura l’istanza per la riapertura dell’inchiesta, ma Pasquale Drago, procuratore aggiunto dell’epoca, non l’accolse in quanto il mancato recupero del relitto, non avrebbe potuto portare a nuovi elementi utili per le indagini. Successivamente il governo Berlusconi oppose il segreto di Stato alla vicenda, il che fa sospettare che possa essere fondata l’ipotesi di un errore militare, avvallato anche dal ritrovamento dell’albero principale del motopesca, crivellato di proiettili. Come in tutte le vicende misteriose della nostra Repubblica, anche in questo caso c’è un giallo: la scomparsa dello stesso albero, che era stato affidato in custodia alla Capitaneria di porto di Molfetta. In questi giorni il procuratore capo della Repubblica di Trani, Carlo Maria Capristo e il sostituto procuratore della Repubblica, il molfettese Giuseppe Maralfa, hanno chiesto al Gip di riprendere il fascicolo dall’archivio, su richiesta di Caterina Ragno, vedova di Luigi De Giglio, che non si è rassegnata alla verità ufficiale e vuole andare in fondo e ottenere giustizia, soprattutto cancellando l’offensiva tesi del trasporto di armi, ridando dignità ai marittimi morti, come “Quindici” chiede da tempo. Nell’istanza dei familiari si sostiene che «dalla lettura degli atti emergono sia evidenti lacune nell’attività di indagine, sia manifeste contraddizioni nelle conclusioni del consulente prima e dei magistrati dopo». Ora che la Procura della Repubblica di Trani ha espresso parere favorevole alla riapertura delle indagini, toccherà al Gip decidere se riaprire il caso, con la richiesta alle autorità marittime dei piani di volo, delle rotte, dei tracciati radar, mai forniti all’autorità giudiziaria. Si dovrà anche stabilire quale tipo di esplosivo avrebbe causato l’affondamento e l’eventuale compatibilità con le bombe sganciate dagli aerei della Nato nel conflitto nei Balcani. Insomma, tutto passa dal recupero del relitto, che si trova ad oltre 200 metri di profondità e che potrebbe portare a galla, dopo 16 anni, una verità ancora nascosta e togliere ogni ombra di dubbio sulla fine dei cinque marittimi molfettesi.

Autore: Felice de Sanctis
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