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Molfetta, Mons. Amato a Santo Stefano parla di don Tonino alla sequela di Cristo
24 gennaio 2011

MOLFETTA - Seguire in toto il Vangelo, il fondamento dell’esperienza pastorale, episcopale e di santità di Mons. Antonio Bello. «Don Tonino si è posto alla sequela di Cristo, suo unico riferimento, da cui scaturiscono la sua parola profetica e il suo impegno pastorale», ha esordito Mons. prof. Domenico Amato (foto), vice postulatore della causa di beatificazione di Mons. Bello, nella conferenza «Don Tonino Bello alla sequela di Cristo sul passo degli ultimi», tenutasi nella chiesa di Santo Stefano e patrocinata dall’Arciconfraternita di Santo Stefano.

Cogliere Gesù Cristo come paradigma del nostro rapporto con l’altro, l’invito di Don Tonino, perché, se Gesù è morto per l’umanità, il cristiano deve spendersi per l’altro: «don Tonino viveva il mistero della liturgia in comunione continua con l’eucarestia», ha spiegato Mons. Amato, fino alla contemplazione estatica del mistero del Natale. Un contemplativo, dunque, innamorato del presepe, archetipo popolare che filtra il messaggio dell’incarnazione: è necessario «compiere un cammino a ritroso - esortava don Tonino - rileggere le tappe della civiltà per ritrovare le origini del cristianesimo nella grotta di Betlemme».
L’incarnazione manifesta la «debolezza di Dio», la sua povertà, magistero e vocazione del cristiano: «la povertà non è solo atto della volontà, ma sequela di Cristo - ha continuato Mons. Amato - è percorso che s’impara», annuncio del regno di Dio. È rinuncia, distacco dai beni per servire con gioia Cristo, perciò «Don Tonino invitava a usare in modo corretto e non egoistico i beni materiali», ha spiegato Mons. Amato.
Povertà è svuotamento di sé, esemplato dall’esperienza della Quaresima, momento di meditazione e riflessione spirituale per superare la brama di potere e ricchezza e la malia dell’idolatria.
Mons. Amato ha ricordato gli ultimi mesi di don Tonino, quando, nonostante la fase acuta dalla malattia, predicava gioia e resurrezione: il suo essere «la tomba del Cristo vivente» testimonia «il suo radicale immedesimarsi nella sofferenza del Cristo, quel salire con lui sulla croce». Essere il servo di Cristo, il servo degli altri, annunciando Cristo stesso, questo era anche don Tonino: proprio come il Risorto, la chiosa di Mons. Amato,«le cui mani e piedi bucati sono il simbolo della donazione agli altri e della verità del Vangelo».
 
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Sul prossimo numero di Quindici, in edicola il 15 febbraio prossimo, l’approfondimento della conferenza di Mons. Domenico Amato.
 
© Riproduzione riservata
Autore: Marcello la Forgia
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