Il 16 novembre 1359 Roberto d’Angiò, da Bari, ratificava e rendeva definitiva una sua precedente disposizione emessa a Trani il 17 luglio 1353. La città di Molfetta era esentata dal pagamento di un quinto della generale sovvenzione da rimettere alla Curia, ma al tempo stesso era obbligata ad impiegarla per la riparazione del suo porto. Il 12 aprile 1464 Ferdinando d’Aragona concedeva ai molfettesi di imporre a tutte le navi che approdassero nel porto una tassa speciale da devolvere alla riparazione e compimento del molo. Il 20 aprile 1495 Carlo VIII, re di Francia, confermava la tassa disposta trent’anni prima da Ferdinando. Il 10 maggio 1520 Carlo V accoglieva le richieste dei molfettesi rinnovando le due precedenti concessioni. Le condizioni del molo dovettero purtroppo restare precarie, se nei decenni successivi la città chiese più volte ai Gonzaga di sovvenzionare le riparazioni indispensabili a permettere l’ ormeggio delle navi e il movimento delle merci. Anni orsono, pubblicai su questo foglio tre documenti inediti, che di seguito riassumo, prodotti dalla Camera della Sommaria, relativi al traffico commerciale nel nostro porto nel corso del XV secolo. Nel 1472 alcuni mercanti veneti residenti stabilmente in Puglia, denunciano a Napoli una violazione della vigente normativa fiscale perpetuata a loro danno negli acquisti di olio effettuati a Molfetta. In breve si pretende da loro una sovratassa non prevista dagli accordi commerciali stipulati fra la Repubblica di Venezia e il Regno di Napoli. Due anni dopo, altri mercanti, questa volta milanesi, dopo aver comprato delle merci in Molfetta erano stati costretti dal Doganiere a pagare dai 15 ai 18 grani per oncia, cioè per ogni 6 ducati di guadagno, mentre i privilegi loro concessi ne prevedevano soltanto 8. Donde la protesta al Tribunale napoletano, che il 14 ottobre 1474 intima ai funzionari molfettesi di restituire il denaro indebitamente riscosso. Infine, nel febbraio del 1511 una nave imbarca olio nel nostro porto per conto di tre mercanti di Trani. Subito dopo la partenza, e ancora in vista del molo, fa naufragio, o comunque perde il carico, forse malamente stivato. Successivamente i tranesi imbarcano altro olio su di un altro vettore: al che il locale Doganiere impone su di esso una regolare tassa d’esportazione, senza tener conto del precedente pagamento ed eludendo la norma che consentiva di esportare in franchigia una quantità di merci pari a quella naufragata in porto. I mercanti protestano e la Sommaria dà loro ragione. Attualmente, la rappresentazione grafica più antica del molo di Molfetta, è quella fornita da una pianta risalente probabilmente alla metà del XVI secolo e conservata nella Biblioteca Nazionale di Napoli. Il tratto della cinta muraria è alquanto sommario, ed in alcuni punti impreciso, perché non distingue l’esistente dai progetti di ampliamento. Il molo è situato quasi in asse con la parete nord del Duomo romanico, e può stimarsi lungo una quarantina di metri. Tale configurazione conserverà fino alla costruzione del nuovo porto negli anni Ottanta dell’800. Questa breve premessa serve ad introdurre il seguente documento inedito emesso da Inigo d’Avalos, marchese del Vasto, Gran Camerario del Regno, Presidente della Camera della Sommaria di Napoli, e diretto al Doganiere di Molfetta: Inichus etc. dohanero regio terre melphicte salutem. Peroche habiamo intiso che la dohana de melphicta pati detrimento per defectu de la scala de lignio la quale sta da la parte de fori de lo molo et bagnandose vene ad putrifarese et li mercatanti et li bastasi portanti li balli et carrichi da li navilj in la dicta dohana secondo la ordinatione de la regia corte mali volunteri nce vogliano montare in dicta dohana et descendere a li fundici per tanto ve dicimo et auttoritate officii qua fungimur comandamo che degiate dare mandato et ordine a lo regio credenczero de fare una scala dupla de la quale per una parte se possa per li mercatanti et per li bastasi montare nella dohana li carrichi et mercantie et da lantra parte se possa descendere a li fundici. Et volimo et ordenamo che lo dicto regio credenczero ut supra degia pro cautela curie et claritia de vestri cunti de scrivere et infranotare tucte le dispese fatte per vuj quilli iorni et la quantitate overo numero de li mastri manipoli et altri aiutanti et lo soldo che conteranno omni iorno lo quale quaterno ipso credenczero manderà in la regia camera quando sarà requesto. Datum in regia camera Summarie neapoli die XXI martij V indictionis 1457 Nicolaus Antonius de montibus Iacobus Andreas pro magistro actorum. La Camera della Sommaria fu per secoli il supremo tribunale del Regno in materia fiscale, per quanto riguardava l’applicazione delle norme, il controllo e sanzioni delle evasioni, la discussione e il giudizio dei contenziosi. Il suo ramo marittimo era affidato nelle province ai Maestri Portolani, alti funzionari di nomina regia, gerarchicamente dipendenti dal Presidente della Camera o, come spesso avveniva, da un suo Luogotenente. Il Portolano aveva giurisdizione sui porti della provincia, esercitando le seguenti mansioni: impedire la costruzione di porti e scali da parte dei feudatari, bloccare l’esportazione di merci proibite, controllare i movimenti portuali non militari e riscuotere i numerosi diritti da essi derivanti, compresi quelli, molto importanti, delle tratte, o licenze di esportazione, rilasciare in uscita e pretendere in entrata il cosiddetto “responsale” con l’indicazione del mercante, della nave, delle tasse pagate, della natura del carico, del porto di partenza, di quelli intermedi e di quello di destinazione. Il Maestro Portolano di Ter-ra di Bari estendeva la sua giurisdizione dalla foce del Fortore a Monopoli. Risiedette prima a Trani, poi a Barletta ed era coadiuvato da un certo numero di ufficiali inferiori, di subalterni e da gente di fatica. Nei porti minori la Portolania era retta da un Doganiere e da un Credenziere: quest’ultimo aveva, in genere, funzione di contabile, sia per le riscossioni proprie dell’Ufficio, sia per le spese relative alla manutenzione dello stesso. Per quanto riguarda il documento in questione, possiamo dire che da esso emergono alcuni dati certi, altri intorno ai quali possono formularsi soltanto delle ipotesi. Dunque la Sommaria fa sapere al Doganiere di Molfetta che il suo Ufficio subisce dei danni perché la scala che sta solitamente in una zona esterna al molo e che serve agli scaricatori ed ai mercanti per portare su alla Dogana e giù nei magazzini le mercanzie scaricate dalle navi, a causa delle intemperie e della stessa acqua di mare, è in pessime condizioni e i suddetti, ovviamente, non amano usarla. Pare quindi certo che l’Ufficio del Doganiere ed i magazzini si situassero su piani diversi cui accedere, un volta scaricate le merci sul molo, con una scala. Il primo problema, anche se non importante, riguarda la forma di questa nuova scala che, a quanto dispone la Sommaria, doveva essere “dubla”, cioè doppia. Mentre parrebbe più logico che per superare il dislivello si disponesse di due scale, una per salire e l’altra per scendere, non si capisce bene come un tipo “doppio”, potesse assolvere alla necessità. E poi, doppia in che senso, e in che forma? Ma il problema più serio e, temo, insolubile, è costituito dal posizionamento, rispetto a quanto si legge in questa carta, dell’Ufficio del Doganiere e dei fondaci. Al momento, le poche fonti disponibili ci dicono che la Dogana di Molfetta si trovava subito dopo l’entrata principale della città vecchia, sulla destra, dove sono tuttora visibili antichi stemmi nobiliari, compreso quello dei Gonzaga. Tale ubicazione è documentata sin dall’ultimo quarto del ‘400, e quindi pochi anni dopo la data del nostro ordine della Sommaria. Non abbiamo contezza di altri uffici doganali e di altri fondaci ad essi pertinenti, e quindi dobbiamo presumere che le merci scaricate sul molo dalle navi fossero trasportate, accompagnate dai mercanti, fin quasi alla porta della città. Sempre nel campo delle ipotesi, possiamo affidarci alla testimonianza di Giuseppe Marinelli, il quale nella sua Cronaca “Presa e Sacco della città di Molfetta nell’anno del Signore 1529”, nelle pagine in cui descrive l’assalto dal mare dei veneti, ed i punti di penetrazione nella cinta muraria, riferisce che i nostri cittadini, ritenendo che i nemici, resisi conto di non poter prendere la città, si ritirassero, molto imprudentemente “con pensiero e fatto non men ridicolo che temerario, dal Muro del Vescovado soprastante della Porta del Molo calarono delle scale”. Possiamo quindi ragionevolmente supporre che questo ingresso, posto a una trentina di metri dalla fine del molo, costituisse la via d’accesso alla Dogana delle merci arrivate via mare. Resta il problema, trascurabile, ma fino ad un certo punto, della famosa scala marcita. Dalla lettura della disposizione sembrerebbe che lo strumento stia sul molo, all’esterno, si deteriori per le intemperie e l’acqua del mare e che i facchini non la vogliano usare per salire sulla Dogana e scendere ai fondaci situati sul molo o nelle sue immediate vicinanze. Altrimenti, dove viene usata questa scala “dubla”? Ritengo che allo stato attuale delle conoscenze sia inutile formulare ulteriori ipotesi, non suffragate da prove documentali. Quanto si pubblica resta comunque una ulteriore ed interessante testimonianza del movimento commerciale molfettese a metà del Quattrocento.