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MARIO CAPANNA: L’Italia viva. Viaggio nel paese dell’impegno e della speranza Intervista al leader del '68 a Bari per presentare il suo nuovo libro
15 giugno 2000

Il 23 maggio scorso si respirava un’aria stimolante, nella libreria Feltrinelli di Bari, durante l’incontro con Mario Capanna per la presentazione del suo ultimo libro “L’Italia viva. Viaggio nel paese dell’impegno e della speranza”. Insieme all’autore è intervenuto lo psichiatra Rocco Canosa. La partecipazione, il “voler fare” negli occhi di tutti i presenti erano tangibili, tutti, infervorati dalla abituale coinvolgente dialettica di Mario Capanna, si sono ritrovati con la certezza di dover contestare e combattere per cambiare. Il libro, come inizialmente sottolineato da Rocco Canosa, al di là delle posizioni in esso espresse, è scritto in modo molto semplice, si fa leggere e di questi tempi è molto difficile scrivere in maniera semplice esprimendo validi concetti, senza confondersi nel marasma generale di una vuota demagogia, nascosta dietro il bello scrivere. Si svolge su due piani paralleli, da una parte l’analisi di uno sviluppo capitalistico, parola ormai desueta ma oggi attuale in un mondo comandato solo dalle multinazionali, legato allo sfruttamento in cui viene descritta un’umanità a basso contenuto umano. Dall’altra ci vengono proposte storie di persone vere, non eroi ma gente comune che ha cercato di cambiare le cose, e l’attenzione alla storia delle persone, ci ridà il senso delle persone. Nel libro è forte il valore della cultura messa in relazione con il recupero delle individualità culturali. Sicuramente è un libro positivo, afferma che è possibile cambiare e avere speranza, se si prende coscienza della necessità di ricominciare a pensare in modo critico. Dopo una breve introduzione da parte di Rocco Canosa, l’autore ha tracciato le idee fondamentali che accompagnano il libro. ”Noi non conosciamo il paese in cui viviamo, il mio sforzo è stato quello di dire la verità sul nostro paese” ha esordito Mario Capanna. Un paese dedito all’avere non all’essere, in cui è tangibile un “disagio sociale profondo basti guardare alle cifre che parlano di un raddoppio dei suicidi giovanili negli ultimi vent’anni”. “Ma è anche l’Italia viva che ho incontrato in otto anni di viaggi: c’è un paese che fa, crea, costruisce. Che tenta di costruire rapporti veri di solidarietà. Gente normale che, spesso in silenzio, cerca di cambiare le cose. Molti di questi non vanno a votare, la politika (la k è voluta) non li appaga”. Un’Italia nella quale “la sinistra perde perché fa la politica della destra, e di conseguenza la gente tra una copia e l’originale sceglie quest’ultima. E’ una sinistra spenta, priva di progetti, chiusa nel palazzo, sempre più lontana dalla gente”. E puntualmente: “Bisogna fare come Campi Salentina”, ha ripetuto anche questa volta, come in ogni suo dibattito. E’ un termine di paragone usato spesso quello della cittadina simbolo, fino a pochi anni fa, della sacra corona unita, città che una piccola amministrazione di sinistra ha portato alla svolta con un’operazione culturale. Impiegare un quinto del bilancio comunale alla cultura, alla scuola e all’istruzione. Un’operazione che, dopo cinque anni di mormorii, ha portato alla liberazione dalle vecchie collusioni. E Campi Salentina non può essere presa ad esempio di riscatto visto che “Nel meridione la voglia di riscatto cerebrale, di cambiamento del modo di pensare, è molto diffusa”. Nel libro si spazia negli argomenti più attuali e grande è la denuncia fatta contro l’incontrollato avanzare della biotecnologia: “Non si vuole fare informazione, si obbedisce al profitto”. Nell’Italia viva c’è chi si occupa anche di combattere gli scempi che vengono perpetrati nei confronti della nostra salute, a nostra insaputa. “L’Italia viva cerca di reimpadronirsi di una conoscenza che le permetta di tracciare le linee del futuro. Sono cautamente ottimista: la destra cavalca, la sinistra continua a soccombere, e continuerà a farlo se continua ad allontanarsi dalla gente, ma il cauto ottimismo deriva anche dai fatti internazionali. Il vento di Seattle fa presagire una ormai imminente presa di coscienza collettiva. Non c’è utopia è realismo del presente e futuro, è illusione e follia continuare ad andare avanti con il vecchio modo di pensare, pensando solo al profitto”, nascosti nel nostro individualismo sfrenato. Donato Centrone Intervista a Mario Capanna Per cambiare, occorre di nuovo lottare” La presenza a Bari di Mario Capanna ci ha offerto l’occasione di rivolgergli alcune domande, anche in rapporto alla nostra inchiesta sui giovani e la politica I partiti hanno ragion d’essere o si dovrebbe lasciare la politica istituzionale? “Se non ripartono movimenti di lotta apprezzabili nel paese non cambia nulla, ci ha detto Capanna. Oggi la parola lotta è desueta. Senza lotta non si hanno risultati, gli stessi partiti sono deboli. Non sono antipartito, conosco l’importanza che ha il partito e la vita nel partito, ma ora l’entusiasmo nei partiti manca. L’importante è produrre forme alternative. I partiti non concepiscono culturalmente la progettualità e ci si chiude. Il binomio investire su risorse e conoscenze è fondamentale. C’è un impoverimento interiore dei rapporti interpersonali. Negli ultimi 10-15 anni il meccanismo è stato danaro e successo stelle polari e poi votami. Si tende ad amplificare la delega e ad allontanare la politica dai cittadini. Bisogna prendere coscienza di questo e ricreare movimenti forti per lottare”. Ma bastano i movimenti? “No, ma sono la conditio sine qua non”. Chi è il nemico da combattere, ora che i muri ormai sono stati abbattuti, e gli estremi sembrano molto vicini? “Credo che il nemico sia più complicato da essere individuato oggi, perché si nasconde tra società, mercati economici e intermediazioni, tutti termini con cui puntualmente i media ci bombardano. Ma è anche, semplice sono le multinazionali. Certo per combatterle occorre più conoscenza. Occorre qualcosa di meglio e di più del ’68. Senza una riattivazione dello spirito critico dei cittadini non avverrà niente. Serve cambiare una società che ha bisogno solo di gente che consumi, perché alla fine “io penso per te”, in questo modo si crea un’alienazione che porta ad essere vecchi a 18-20 anni”. In “Lettera a mio figlio sul Sessantotto” lei cita la carta rivendicativa degli studenti occupanti di Palazzo Campana a Torino: “A che serve l’università? Serve soltanto ad indottrinare gli studenti, a renderli autoritari e incapaci di discutere, a far perdere loro la capacità di individuare la dimensione politica e sociale di quello che studiano”. Pensando a queste parole oggi, da studente universitario, mi accorgo che ben poco è cambiato; ed è facile capire i tanti rassegnati e disillusi, anche se non è concepibile un atteggiamento così remissivo da ventenni. Però, se non ci siete riusciti voi… “Ci sono docenti che avvertono questo stato, questo ritorno al passato, e reagiscono. Per cambiare deve ripartire un valido movimento degli studenti e degli insegnanti, che combatta contro la volontà di far soccombere qualsiasi pensiero critico. E i ragazzi rassegnati sono frutto dei tempi di una società che vuole metterci i paraocchi e impedirci di lottare”. Una società che vuole “ri-democristianizzarsi”. Donato Centrone Chi è Mario capanna Mario Capanna è nato a città di Castello nel 1945. Laureato in filosofia, leader studentesco nel ’68, segretario di Democrazia Proletaria fino al 1987, esponente ambientalista e pacifista. Consigliere regionale della Lombardia (1975), parlamentare europeo (1979), consigliere comunale di Milano (1980), deputato al Parlamento (1983 e 1987).
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