Magna Grecia mare e Portus Veneris
Magna Grecia Mare, Tricase in provincia di Lecce, nella parte più meridionale della Penisola salentina, sono un binomio indissolubile. Un’Associazione che raggruppa persone dedite alle più diverse attività professionali, accomunate da un’unica passione, vera, vibrante: la conoscenza, la riscoperta la conservazione e la diffusione culturale degli usi e delle tradizioni storiche e marinare di quella Terra. Tricase – Portus Veneris nell’antichità: una cittadina che sorge a circa tre chilometri dalla costa, ma che tuttavia vanta una unione forte ed indissolubile con il mare (come spesso accadeva nell’antichità, il nucleo cittadino era edificato lontano dalla costa, per meglio proteggersi dalle incursioni di pirati e razziatori). Il suo porticciolo, nel quale in epoche storiche sono approdati naviganti dediti al commercio, alla pesca e anche all’attività corsara, ospita una realtà che si chiama Associazione Magna Grecia Mare. L’Associazione nasce molti anni fa grazie al desiderio di scoperta di un gruppo di giovani del luogo che incominciano ad esplorare il territorio, guidati da un’antica mappa militare ritrovata, alla scoperta dei sentieri e dei percorsi tracciati, per uso militare, sulla mappa. Incomincia così una storia che oggi vede nell’Associazione una realtà concreta con obiettivi, per il perseguimento dei quali, i Componenti del sodalizio impiegano passione, impegno, conoscenze e risorse proprie. Nel corso degli anni, e spinti sempre più dall’arricchimento culturale delle le scoperte che fanno, incominciano a confrontare gli usi contadini – in quelle zone del Salento, l’attività prevalente è l’agricoltura – con le usanze dei marinai e dei pescatori; si scopre che anche nella loro diversità, le due attività hanno molte cose in comune. Ad esempio il gergo, mutuato da quello marinaro: nei frantoi oleari della zona che, in epoche passate producevano in quantità olio d’oliva lampante (era il petrolio che si usava nelle lampade per l’illuminazione) ed in quantità più limitata olio d’oliva, più pregiato destinato all’alimentazione, alcuni termini usati erano di derivazione marinara: il nacchìiere, à ciùrma, à sintina, rispettivamente l’operaio che coordinava l’attività del frantoio, gli operai addetti alla molitura delle olive, la fossa nella quale veniva stoccata l’acqua di vegetazione residuo della molitura delle olive, sono uguali ed assonanti con i rispettivi termini marinareschi che indicano le funzioni del nocchiere, la ciurma e la sentina di un natante. Nasce l’idea di riscoprire e rendere fruibile a tutti la storia dell’attività marinara i suoi usi e costumi. Il compito è piuttosto arduo: per acquisire le conoscenze è necessario prendere contatto con i Marinai ed i Pescatori, con i lavoratori del mare per reperire le informazioni che servono a svolgere tale attività. I pescatori, i marinai, questi uomini rudi e di poche parole, potrebbero vedere nel genuino interesse di questi giovani che, apparentemente nulla hanno a che fare con il mare, le attività ad esso legate e gli usi, un modo per fare loro perdere del tempo, addirittura per burlarsi di loro, per recare loro disturbo. Non è così, i vecchi marinai si accorgono presto che l’interesse è genuino, ed è allora che comincia la vera storia dell’Associazione. Si consolida un rapporto quasi di affetto fra i giovani allievi ed i vecchi maestri, che si aprono letteralmente e trasferiscono tutte le loro esperienze. Forti delle conoscenze acquisite, con il tempo si incomincia così a cercare e trovare vecchie imbarcazioni che, opportunamente restaurate, sotto la vigile e competente guida dei marinai e degli artigiani locali, sono trasformate in piccole imbarcazioni armate a vela latina. Si istituiscono allora i primi corsi di vela, ai quali sempre più persone di tutte le età ed estrazione sociale aderiscono, cosa che fa sì che l’Associazione si arricchisca di nuovi soci motivati quanto e più dei “fondatori”. Viene fondato il Museo delle Imbarcazioni tradizionali e dell’arte marinaresca nel quale, dopo opportuni restauri, sono custoditi e resi fruibili a tutti coloro che lo visitano, le testimonianze della storia e degli usi di queste terre; ivi compresa una biblioteca dedicata a tutto quello che riguarda la storia delle tradizioni salentine. Nella continua ricerca di reperti storici, i Soci visitando i siti di demolizione, depositi di rottami, eccetera, un bel giorno scoprono, appunto in un deposito di rottami, la carcassa di un’imbarcazione di circa 14 m, in completo stato di abbandono, deturpata dal tempo e dall’incuria. Si tratta di un’imbarcazione dalle linee straordinariamente peculiari e diverse da quelle delle barche che sono abituati a vedere. E’ una barca che, nei tempi passati, era comunissima nei nostri mari; essa veniva identificata in diversi modi: trechàndiri nelle isole greche, tirhandil nei mari della Turchia. Erano queste le barche che effettuavano le traversate e svolgevano le operazioni di traffico commerciale in questa parte del mar Mediterraneo, approdando anche nei nostri porti. Con un atto più che di fede, di follia, l’Associazione decise che questo “rottame” sarebbe diventato l’ammiraglia della flottiglia di barche a vela: quella che oggi è chiamata, in onore della Città che l’ha adottata, Portus Veneris. Espletando, con l’ausilio dell’Amministrazione comunale, tutte le pratiche burocratiche per svincolare il rottame (era in deposito giudiziario, come corpo del reato, essendo stato adibito, nei primi anni del secolo, come imbarcazione di clandestini di origine Curda, sbarcati sulle coste salentine), esso viene preso in consegna dall’Associazione che, trasportatolo sulla banchina del porto di Tricase, ne incomincia il restauro, per trasformarla da un’imbarcazione a motore in una imbarcazione a vele latine, con due alberi e bompresso: era giunta in Salento spinta da un motore diesel da camion; la trasmissione della potenza, avveniva addirittura attraverso il cambio di velocità, azionato dalla leva del cambio della vettura sulla quale il motore, in origine era montato. Ed è così che inizia l’avventura del caicco Portus Veneris!
Autore: Tommaso Gaudio