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Le riforme tributarie nel “Contratto per il governo del cambiamento”
15 giugno 2018

Abemus Governo! Dopo 88 giorni dal voto e tante tribolazioni, il nostro Paese ha un Governo: può dirsi dunque ufficialmente iniziata la XVIII legislatura, che più volte è stata inaugurata come la “Terza repubblica”. Questo inizio di legislatura è stato segnato da numerose “prime volte”, ma tra tutte spicca la redazione di un “Contratto per il governo del cambiamento”, in cui le forze politiche di maggioranza M5s e Lega hanno, nero su bianco, indicato i punti programmatici dell’azione di governo. Tra le 57 pagine ed i 30 punti di contratto, il punto 11 è dedicato al “fisco: flat tax e semplificazione”, che individua i punti di convergenza in tema di tassazione e riforme fiscali che questo Governo promette di realizzare. Ma vediamo di cosa si tratta. Prima tra tutte, in quanto di estrema urgenza, è la “Sterilizzazione clausole IVA e accise”, punto su cui si è tanto sentito parlare e di cui forze politiche e non hanno invocato l’immediatezza di un provvedimento che consenta di non far scattare gli aumenti dell’IVA. In sostanza, dal 1° gennaio 2019 se non si “sterilizzano” gli aumenti, l’IVA passerà dal 10 al 12% per l’aliquota intermedia e dal 22 al 24,2% quella ordinaria), dal 1° gennaio 2020, invece, le aliquote IVA salirebbero ancora rispettivamente al 13 e al 24,9%. Stessa storia per le accise sulla benzina che incidono sul costo del carburante. Altra misura di cui si è molto sentito parlare in campagna elettorale, soprattutto dallo schieramento di centro destra che nel ha fatto il suo “cavallo di battaglia”, è la “flat tax”, entrata anche nel “contratto” per mano della Lega. In buona sostanza, questa misura che vedrebbe la revisione del sistema impositivo dei redditi delle persone fisiche e delle imprese, porterebbe, infatti, all’introduzione di aliquote fisse di tassazione. Negli intenti del neo Governo, il nuovo regime fiscale si caratterizzerebbe con due aliquote fisse al 15% e al 20% sia per le imprese che per le famiglie; per le famiglie, inoltre, sarebbe prevista anche una deduzione fissa di 3.000,00 euro sulla base del reddito familiare. Il tutto, mantenendo la “no tax area”, ovvero la soglia per beneficiare dell’esenzione sulla tassazione IRPEF (Imposta sul reddito delle persone fisiche). Più difficile da comprendere, ma di portata positivamente dirompente per i cittadini contribuenti, è la riforma dei rapporti tra Stato e contribuenti rivedendo i principi e i criteri che regolano l’agire dell’amministrazione finanziaria, che segnerebbe una vera e propria “pace fiscale”. Infatti, negli intenti del nuovo Governo il sistema tributario vedrebbe una modifica dei sui assetti fondamentali con un conseguente riordino dei rapporti tra fisco e contribuenti, che potremmo così sintetizzare: 1) contraddittorio anticipato con il contribuente; 2) abolizione dell’inversione dell’onere della prova con l’esclusione del ricorso a strumenti presuntivi di determinazione del reddito; 3) riduzione dei tempi di accertamento. Queste marco aree, così semplificate, e magari incomprensibili ai non addetti ai lavori, rappresentano, come anticipato, delle innovazioni a favore dei contribuenti che, se saranno realmente tradotte in realtà, sono destinate a modificare concretamente e di molto i nostri rapporti col fisco italiano. Contraddittorio anticipato con il contribuente. Nell’ambito tributario, il contraddittorio preventivo è da alcuni anni è un tema “caldo” che sta impegnano sempre più i giudici, e se negli intenti del Governo è da erigere a principio generale cardine dell’ordinamento giuridico tributario, potrà rappresentare un’utile strumento di confronto tra contribuente e fisco. Appare utile fare una breve digressione per comprenderne la portata: attualmente l’Amministrazione finanziaria ove ritenga esserci una violazione tributaria, il più delle volte, si limita a inviare atti di accertamento a cui il contribuente, per evitare di soccombere, deve mettere in atto una difesa (stragiudiziaria o giudiziaria), pena la definitività dell’atto e quindi del dovuto. Ebbene, la difesa del contribuente, dunque, avviene sempre dopo la ricezione di un atto che è di per sé capace di “compromettere” la sfera patrimoniale di chi lo riceve. Con l’attuazione di questa misura, invece, vi è un’inversione di prospettiva, in quanto l’Amministrazione finanziaria, primancora di emettere un atto accertativo, dovrà invitare il contribuente nei propri uffici al fine di comprendere le ragioni dell’operato del medesimo e solo se tale confronto non avrà “convinto” il fisco, esso potrà procedere con l’emissione dell’atto accertativo. Abolizione dell’inversione dell’onere della prova. Se in generale nel nostro ordinamento giuridico vige il principio “chi vuole far valere un diritto è tenuto a provarlo”, nei rapporti tra fisco e contribuente, all’atto pratico, non va sempre così. Infatti, tranne in rare ipotesi, il fisco presume l’esistenza di un reddito non dichiarato e, a quel punto, è il contribuente a dover dare dimostrazione del contrario. Tale impostazione, di fatto, spesso si tramuta in un’ardua impresa per il contribuente, il quale è onerato di ricercare “pezze giustificative” che legittimino agli occhi del fisco le scelte economiche operate. Questa, auspicabile, riforma interpone l’onere della prova in capo al fisco: sarà quindi l’amministrazione a dover dar prova sia della presunta violazione contestata, sia del quantum preteso. Così ragionando, sarebbero inevitabilmente travolti tutti gli strumenti presuntivi, come redditometro, spesometro e studi di settore, che, infatti, stando anche alle ultime dichiarazioni dei leader di maggioranza, saranno aboliti. Riduzione dei tempi di accertamento nei casi di attiva e costante collaborazione del contribuente nell’assolvimento degli adempimenti contabili e di versamento. Negli ultimi anni sono intervenuti plurimi provvedimenti tesi all’allungamento dei tempi di accertamento, tanto al fine di consentire, al contrario, il protrarsi per l’amministrazione finanziaria dei tempi utili a “mettere sotto la lente di ingrandimento” la situazione del contribuente ed accertarne l’attività. Ebbene, una riforma tesa alla riduzione dei tempi di accertamento segnerebbe un’inversione di tendenza rispetto al passato, sebbene, limitata – stando al contratto in argomento – alle ipotesi in cui vi sia attiva e costante collaborazione del contribuente nell’assolvimento degli adempimenti contabili e di versamento. Novità sembrerebbero esserci anche sul non meno importante versante della riscossione, che negli intenti del neo Governo vedrebbe l’azione dell’amministrazione “contemperare l’interesse del cittadino al pagamento di quanto dovuto con l’interesse a ricevere il minor aggravio possibile, evitando ogni forma di pressione tale da ingenerare uno “stato di paura” nei confronti delle istituzioni e dei soggetti preposti alla riscossione”. Detta in altri termini, come chiarisce il contratto stesso, saranno adottate misure di “riscossione amica”, tese a potenziare le procedure finalizzate al recupero bonario del credito mediante rateazione o, al fine di favorire l’estinzione del debito, mediante un saldo e stralcio dell’importo dovuto, in tutte quelle situazioni eccezionali e involontarie di dimostrata difficoltà economica. Il tutto, verrebbe compensato da un inasprimento della lotta all’evasione fiscale, mediante un impianto sanzionatorio, amministrativo e penale, proteso ad assicurare il cosiddetto “carcere vero” per i grandi evasori, che passerebbe da un potenziamento della cooperazione internazionale in materia di scambio di informazioni, per prevenire l’elusione fiscale internazionale favorendo la tassazione dei grandi capitali esteri. © Riproduzione riservata

Autore: Rebecca Amato
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