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Le “quasi-dimissioni” di Tommaso Minervini CORSIVI
15 novembre 2005

“Ho presentato le mie dimissioni. Ma le ho respinte”. Chissà se il buon Tommaso Minervini conoscesse, all'atto della presentazione delle sue dimissioni, questa sagace espressione di Wilston Churcill, storico statista e primo ministro inglese, noto per i modi un po' bruschi ma anche per quel suo gusto molto “british” per la battuta tagliente. Perché, evidentemente, anche le dimissioni prima annunciate e poi ritirate del sindaco Tommaso Minervini rientrano nella “fenomenologia” di questo atto di responsabilità molto poco italiano, e tanto meno conosciuto dalle nostre parti: le dimissioni, appunto. Nessuno di coloro che seguono, per dovere istituzionale o per passione personale, le vicende della politica locale ha mai seriamente pensato, neanche per un nanosecondo, che le dimissioni presentate dal nostro primo cittadino durante questa incredibile “crisi” amministrativa, fossero serie, e ha mai dubitato sul fatto che sarebbero state ritirate, come puntualmente accaduto, all'ultimo momento utile. E non perché non ci si fidasse della parola data, magari anche in buona fede, dal nostro sindaco, ma semplicemente perché nei riti farseschi che da sempre esistono nella “politica politicata” di una certa Italietta di provincia, che Tommaso Minervini conosce bene, le dimissioni vere non sono contemplate. Si dimette per davvero solo chi, responsabilmente, ad un certo punto, dinnanzi alla evidenza dei fatti, si rende conto della propria inadeguatezza e, considerata la concezione superomistica che Tommaso Minervini ha di se stesso, evidentemente nessuno ha pensato che potesse essere questo il caso. D'altro canto, durante l'ultimo Consiglio Comunale, il nostro sindaco (offendendo a destra e a manca la stampa che non lo compiace, come solo lui sa fare. Ma chi crede di intimidire?) ha dimostrato tutta la sua suscettibilità dichiarandosi oltraggiato per il paragone da noi proposto tra, da un lato, il legame così intimo e profondo che lo rende un tutt'uno con la poltrona su cui è assiso (“ut unum sint”, direbbero i latini) e, dall'altro, il medesimo saldo vincolo che tiene attaccato a quell'altra poltrona il governatore della Banca d'Italia, Antonio Fazio, che, nonostante sia stato travolto da una vera e propria bufera politica e giudiziaria, è rimasto impassibile al suo posto. Il paragone, magari, avrebbe dovuto offendere il banchiere ciociaro, ed invece si è risentito il sindaco molfettese. Vai a capire il perché! Non si rende conto, infatti, il nostro buon sindaco, che c'è un elemento gigantesco che invece accomuna queste due situazioni: l'assoluta incapacità a compiere, seriamente, un gesto di responsabilità istituzionale, percepito come irrinunciabile da parte della stragrande maggioranza dei cittadini (italiani per Fazio, molfettesi per Minervini). Solo lasciando quella poltrona, nel bel mezzo di una crisi istituzionale e di scandali giudiziari imbarazzanti che travolgono esponenti della sua maggioranza, il sindaco, avrebbe dimostrato di essere stato quantomeno adatto, se non proprio degno, ad occuparla. Ed invece no, vi si è “barricato” sopra utilizzando semplicemente un vecchio strumento molto noto nella politichetta all'italiana: le “quasi-dimissioni”, quelle che vengono sempre precedute dal più classico dei “qui lo dico e qui lo nego” e, magari, anche dalla sceneggiata più o meno teatrale di portar via gli effetti personali dal proprio ufficio, a dimostrazione del fatto che quanto più la politica si allontana dai cittadini, tanto più perde il senso del ridicolo. Come ha recentemente scritto Francesco Merlo sulla Repubblica, il nostro è il Paese della “quasità”: dopo il “quasi gol”, il “quasi amico” che poi è anche un “quasi nemico”, ecco anche le “quasi dimissioni” cui si è ispirato il buon Tommaso. Ed allora qualcuno, in queste settimane, avrebbe dovuto ricordare al nostro primo cittadino quanto disse, con grande saggezza, Alcide De Gasperi: “Le dimissioni non si annunciano, si danno”. Perché Tommaso Minervini dovrebbe sapere che esiste un solo modo serio di dimettersi: tornarsene a casa con dignità e farsi dimenticare. Ed invece no, egli ha fatto ricorso alle “quasi dimissioni” che sono sostanzialmente il contrario delle dimissioni vere, perché nascono da un presupposto diverso: il “quasi dimissionario” tiene tanto al posto che occupa che, minacciando di abbandonarlo, vuole solo essere “coccolato” e convinto a non andare via. Esattamente quello che è successo a Molfetta. E chissà se il nostro sindaco avrà sentito dire da quel gran volpone che risponde al nome di Francesco Cossiga che “la politica è una guerra, e le dimissioni sono un'arma”. Ed infatti, per chi non l'avesse capito, nella vera e propria faida apertasi nel centrodestra, Tommaso Minervini ha “finto” di andar via per vincere la sua battaglia. E gli è andata pure bene tanto che, indefesso, è ancora al suo posto. Anche se a noi, oggi, vengono in mente le parole di Beniamino Finocchiaro che, al suo allievo prediletto, Tommaso Minervini, che aveva tradito gli insegnamenti del maestro alleandosi con quelli che il vecchio leone socialista definiva con disprezzo “voltagabbana e saltafossi”, dette un paterno consiglio: “io al suo posto mi dimetterei dall'umanità”. Sempre di dimissioni si trattava. Un tabù per Tommaso Minervini. Giulio Calvani
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