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Le primarie che delusione INTERVENTO
15 febbraio 2006

Le fasi conclusive del percorso che ha portato alle primarie organizzate dalle forze di centro sinistra per l'elezione del candidato sindaco hanno rappresentato una grande delusione per molti. C'era, infatti, la speranza diffusa che la formula partecipativa nella definizione delle linee programmatiche dell'agenda elettorale del centro sinistra prima, e le primarie poi potessero costituire, attraverso un cambiamento nelle pratiche concrete dell'azione politica, un momento di svolta per la classe politica della città. Ma così, purtroppo, non è stato. In questo momento di riflessione e di analisi sull'accaduto è auspicabile che i vinti, ma anche i vincitori, abbandonino ogni retorica sull'importanza che possa aver avuto nell'esperienza cittadina il coinvolgimento, i percorsi partecipati. Nessuno si illuda nè illuda: a Molfetta le primarie sono state gestite secondo una logica partitica e, sostanzialmente, dai partiti e da organizzazioni simil-partitiche, sono state uno strumento in mano ai soliti noti, alcuni dei quali forse anche in buona fede, che hanno provato a confrontarsi con questo gioco nuovo. Alla fine, infatti, hanno prevalso le logiche strategiche tipiche delle segreterie di partito, di organizzazioni strutturate nelle quali spesso le decisioni sono partorite all'interno di ristrette cerchie e portate pronte e confezionate sul piatto dell'arena politica. Ovviamente va riconosciuto il merito di coloro che ci hanno creduto veramente, che hanno lavorano per il cambiamento, che hanno speso il loro tempo e le loro competenze. Un attestato di stima dovrebbe andare soprattutto a quei giovani che nonostante la condizione di precariato in cui versano, si ostinano a studiare, a comprendere e a partecipare alla vita politica della nostra città. Purtroppo questa spinta non è stata sufficiente anche perché sono decisamente molti di più i “vecchi” politici e politicanti socializzati secondo le “vecchie” pratiche. Quanto fossero ancora determinanti le logiche strategiche di partito è stato evidente sin dagli incontri organizzati dall'Unione per la definizione “collettiva” del programma elettorale. In questa sede più volte gli esponenti del centro sinistra molfettese lodavano l'esperimento partecipativo e contemporaneamente consideravano questa nuova modalità di definizione delle linee programmatiche uno strumento di “gestione del consenso”, una sorta di campagna elettorale anticipata che doveva mirare a portar voti. In quella occasione pochi apparvero attenti alle questioni metodologiche con cui dare forma e sostanza alla partecipazione e fra questi qualche giovane “radicale”, entusiasta di quello che si stava facendo ma costantemente attanagliato da mille dubbi. Per il resto si assisteva a mirabolanti esercizi retorici con cui i politici presenti, quasi tutti ben saldi sulle panche dell'aula consiliare, fronteggiavano le richieste ed i dubbi dei partecipanti. A domande concrete arrivavano risposte eleganti e in alcuni casi mancava pure l'eleganza della retorica. Insomma la sfida del confronto era stata accettata, l'oggetto della proposta politica, ovvero il programma, era su un tavolo “allargato”, ma oltre non si andava. Ci fu pure, fra il pubblico presente, chi chiese chiaramente a coloro che gestivano, cioè uomini politici di lunga data, lumi sulle modalità che avrebbero portato alle candidature, mentre alti giustamente posero dei quesiti di metodo per la risoluzione delle inevitabili controversie che un collettivo così eterogeneo inevitabilmente avrebbe incontrato. Dopo questi incontri e dopo diverse vicende, si è arrivati alla fase finale nella quale l'enfasi ha raggiunto il massimo della sua climax con l'esaltazione del ruolo della società civile, con la volontà dichiarata che a designare i candidati alle primarie del centro sinistra fossero i cittadini e non le segreterie di partito. Ma, paradossalmente, proprio allora i partiti hanno giocato tutto il loro ruolo e le logiche strategiche di partito sono apparse dominanti. E fu così che ad esser designati furono tutti uomini (e neanche una donna) di partito e anche di consumata esperienza. Insomma nessuna novità. E qui è più che evidente che qualcosa che non è andato nella direzione auspicata. Se a partecipare attivamente sono tutti, ma poi a decidere, e quindi a “farsi candidati” sono solo uomini politici è evidente che c'è un po' di confusione… Se il percorso partecipato fosse stato concepito solo per il reclutamento di forza lavoro per la stesura del programma allora sarebbe stato legittimo pensare che al momento delle nomination il pubblico sarebbe stato invitato a lasciare il palcoscenico, ma più volte il pubblico era stato incensato come protagonista attivo, e più volte era stato promesso dai gestori della partecipazione che sarebbe stato attivo fino in fondo. E invece tutte le energie, tutto il lavoro, tutte le risorse sono confluite su uomini di partito, nemmeno un outsider. Anzi neppure un lieve scostamento dal profilo classico: uomo, over 40, da tempo attivo nei partiti. E questo nonostante tutta la partecipazione. Negli ultimi dieci anni si è sviluppato un importante filone di studi politologici e della sociologia politica sulle pratiche partecipative e sulle nuove metodologie con cui gestire i processi decisionali. Sono state studiate differenti modalità decisionali di natura deliberativa nelle quali l'obiettivo non è quello di perseguire la semplice aggregazione delle preferenze né l'immediata negoziazione degli interessi ma, per dirla con Elster, si giunge alla decisione finale «per mezzo di argomenti offerti dai e ai partecipanti sulla base di valori di razionalità e imparzialità». Queste le forme più note: le giurie di cittadini, le consensus conferences, le esperienze di partecipazione dei cittadini ai processi di pianificazione urbanistica, le esperienze di alcuni processi decisionali con sui si sono localizzati impianti indesiderabili, il bilancio partecipativo. Gli studiosi che hanno lavorato su questi temi hanno individuato alcuni strumenti e metodi per cercare di consentire e garantire la partecipazione, per favorire la deliberazione piuttosto che il semplice accordo strategico fra stakeholder. Insomma questi studi hanno dimostrato che partecipazione non significa improvvisazione, ma un lavoro lungo e impegnativo all'insegna del confronto attivo dove ci sono coloro che lavorano per il confronto e non “gestori del consenso”. Un lavoro dove insieme si decidono le regole, dove tutti le rispettano perché hanno contribuito a definirle, dove l'obiettivo di ciascuno è in primis quello di capire la posizione degli altri, poi il confronto attivo, e quindi offrire il proprio contributo. È un momento collettivo, spesso solo temporaneo, che si forma attraverso il discorso e la comunicazione; è un processo dove alla razionalità strumentale dovrebbe sostituirsi la razionalità comunicativa, quella tipica dell'agire comunicativo habermasiano. E il punto di partenza di questi percorsi è la definizione di regole chiare e condivise che impediscano la prevalenza di coloro che possono contare su più risorse. Via la metafora della prevalenza e avanti quella dell'interazione. L'esperienza molfettese invece è stata anni luce lontana da questi riferimenti. Fra le altre appaiono evidentissime due distorsioni: la mancanza fra i protagonisti (non quindi fra il “pubblico” che osservava la partecipazione) di giovani e la mancanza fra i protagonisti (vale la parentesi di sopra) di donne. Come si può pensare a qualcosa di diverso dalla gestione della nostra città degli ultimi venti anni se i protagonisti sono sempre gli stessi, ma proprio gli stessi? Quello che appare evidente nella vita politica molfettese è una cultura politica vecchia. Abbiamo solo due consiglieri, anzi dopo le elezioni provinciali solo uno, sotto i 35 anni. Eppure si può affermare senza timor di smentita che nonostante la giovane età i due abbiano mostrato impegno, competenza e preparazione notevoli che spesso si sono scontrate con la cultura politica di alcuni politicanti old stile, che invece hanno sempre coltivato l'esercizio della mediazione di interessi. Alla retorica e ai discorsi che sempre tutto aggiustano e sistemano, i due junior hanno opposto una cognizione di causa notevole. Bastava seguire un loro intervento durante le sedute del consiglio, oppure parlare con loro dei problemi della nostra città. Perché ci sono pochi giovani a determinare le sorti della nostra città? Fra i tanti problemi sicuramente la condizione di precarietà ed instabilità la cui entità i nostri “vecchi” politici, che hanno goduto dei migliori anni del Welfare italiano, non hanno mai conosciuto ma che non hanno esitato, da destra e sinistra, a regalare ai loro figli. Tanti giovani laureati di Molfetta si ritrovano il lunedì mattina a prendere un treno per Roma o Milano. Tutto il capitale sociale e culturale di queste persone non si riversa sulla propria città ma si consuma in lavori a termine, elevata mobilità geografica, relazioni amicali e affettive a distanza che vengono vissute in brevi week end. Condizioni che si conciliano pochissimo con l'impegno politico per la propria città. Eppure alcuni lo fanno sacrificando tutto il tempo a disposizione. Durante le attività pre e pro primarie non c'è stata la giusta attenzione alle nuove menti della nostra città, troppa riverenza verso l'esperienza e poca valorizzazione delle risorse più giovani. E questo è tipico delle organizzazioni partitiche dove generalmente si segue un ordine gerarchico di anzianità, dove spesso si assume che esperienza e competenza seguano la stessa progressione. E quando per competenza si intende la mediazione di interessi questo ragionamento può anche funzionare. La seconda anomalia: l'assenza assoluta delle donne fra i candidati. Chi ha partecipato ad alcune delle più importanti iniziative politiche che hanno coinvolto tutta la sinistra, si pensi alla marcia cittadina organizzata a Molfetta per la pace e contro l'intervento militare dell'Italia in Iraq, si è reso conto di come l'apporto delle donne sia stato determinante; si può tranquillamente affermare che tali eventi non si sarebbero mai realizzati senza il lavoro delle donne. Ma oltre la preparazione, il lavoro di gestione ed organizzazione le donne non vanno, oppure alle donne non è consentito andare. Anche qui si potrebbe fare riferimento alla letteratura sulla segregazione delle donne nella vita politica, e non solo, ma la questione andrebbe analizzata in maniera più compiuta di quanto non si farà in questa sede quindi andiamo subito al sodo. Le donne molfettesi partecipano molto alla vita politica ma non si vedono, si vedono solo i maschi. Non si vedono significa che ricoprono raramente posizioni importanti, che consentano una visibilità istituzionale. Al massimo sono subito dietro il sipario della scena politica a preparare, organizzare, sistemare, gestire. Tutte capacità che culturalmente sono state attribuite alle donne ma che non vengono mai messe in primo piano. Perché non sono state proposte donne alle candidature delle primarie? L'esclusione delle donne dai posti più visibili e importanti oltre ad essere un errore metodologico rispetto al discorso dei percorsi partecipati, è un grave handicap per l'intera sinistra e per l'intera città. Significa non poter contare su ulteriori qualità, capacità e modalità di approccio alla politica, tutte risorse che le donne portano con loro per socializzazione, per cultura. Significa negare la differenza. È evidente che le organizzazioni partitiche sono organizzazioni maschili, dove le qualità che contano sono quelle del pragmatismo razionale (che manca alle donne?) ma poiché si parlava di partecipazione, di innovazione, di cambiamento era plausibile aspettarsi almeno un tavolo di discussione su questo. Niente. E le conseguenze si sono viste. Solo maschi e una gestione maschile dei giochi. Ovviamente tutto ciò è senno di poi e queste riflessioni avrebbero avuto maggior senso se fossero state fatte in itinere e non ex post. Ma come si è detto non vi è la minima intenzione di criticare il lavoro di coloro che si sono impegnati in queste primarie, anzi se fosse ancora necessario si ribadisce il ruolo straordinario di coloro che vedevano in questa modalità un'opportunità di cambiamento, giovani e non, maschi e femmine. Ma appare evidente, oggi più che mai, che per contrastare la vecchia guardia non si può opporre solo l'entusiasmo, né l'improvvisazione ma è necessario attivare tutte le risorse di cui si dispone. Dario Minervini
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