Le porte del Purgatorio
Il Purgatorio dantesco non ha le porte, come per l’inferno. Lo spirito, entrato nell’inferno della vita dove lievitano le passioni che la carne mette in atto, passa per gioco o per stanchezza in: “... quel secondo regno dove l’umano spirito si purga e di salire al ciel diventa degno” (Purg., I, vv. 4-6). La purificazione è inscritta nell’alba della vita. Le porte sono lì, all’inizio dell’esistenza, quando si lascia il buio del seno materno e si va incontro alla luce della terra. Una tensione si crea: il corpo si bea della luce materiale, pur tra le difficoltà del crescere e dell’affermarsi; lo spirito al contrario invoca la liberazione, inondato com’è da bagliori di luce immateriale. Tensione e purificazione. Dolore e valori inafferrabili, pur visti nel cielo terso della coscienza. Solitudine e vasti orizzonti. Aurora, che vinta la notte, s’avanza nel “... l’ora mattutina che fuggia innanzi, sì che di lontano conobbi il tremolar della marina” (Purg. I, vv. 115-117). Dante pare che proprio nell’ultimo canto dia la chiave di lettura per la comprensione dello strumento della purificazione. Se nell’inferno a dare il dolore sei tu a te stesso, per la legge della contrapposizione; nel Purgatorio, è l’altro uomo. L’uomo che colpisce l’altro con le sue oscurità mascherate di sociale ipocrisia. Il Sommo Poeta è a due passi per entrare nel Paradiso e si esprime, con animo purificato, scolpendo il rovescio di una medaglia che illumina la visione: “Come anima gentil, che non fa scusa, ma fa sua voglia della voglia altrui” (Purg. XXXIII, vv. 130- 131). Anima gentil è anima limpida, alle soglie della conquistata luce dello spirito. Il vivere con chi fa scusa e non fa sua voglia la voglia altrui è Purgatorio. Ma v’è di più. Per Dante, il si della Vergine all’angelo Gabriele entra nella logica del dolore che redime. A uccidere il Figlio sono gli uomini. A liberare gli uomini, è il Figlio. Il gaudio della liberazione è sulle labbra del cielo, proferite dall’arcangelo: Ave; l’accettazione della via dolorosa è sul cuore della creatura illuminata: Ecce ancilla Dei. Il chiarore del cielo e la fecondità della terra penetrata dalla luce creativa si coniugano nella chiave dell’amore. Dante vede e descrive, come i medaglisti di un tempo: “e avea in atto impressa esta favella ‘Ecce ancilla Dei’, propriamente come figura in cera si sugella” (Purg. X, vv. 43-45). Figurare è il verbo dell’artista, che pone in bronzo le immagini luminose dello spirito. Le immagini, in questo caso, riguardano le porte del dolore purificatore: porte per l’accesso al cielo, precedute da altre ante, spalancate per la perduta gente. Il testo è stato preparato in lingua italiana, inglese e tedesca e trasmesso, assieme al Regolamento, agli artisti, che avevano fatto richiesta di un indirizzo di suggestioni e immagini per la loro creazione. Questo scritto è ristampato nella: XII Biennale Internazionale Dantesca, Concorso Internazionale del Bronzetto e della Piccola Scultura organizzato dal Centro Dantesco sul tema: La porta per la città di Dante: Purgatorio, cat. a cura di Soprintendenza per i Beni Ambientali e Architettonici di Ravenna, Ravenna, 1 aprile-30 settembre 1996, Edizioni del Centro Dantesco dei Frati Minori Conventuali, Ravenna 1996, p. IX.