Le memorie del tempo futuro
La Mostra di Ermanno Berardi ai Templari
Sabato 21 settembre, alle ore 18, nella Sala dei Templari, è stata inaugurata la mostra personale di Ermanno Berardi Memorie del tempo futuro, che resterà aperta al pubblico sino al 3 novembre. L’esposizione, che conta trecento opere dell’artista, è visitabile dal martedì al venerdì dalle 18 alle 21, nelle giornate del sabato e della domenica dalle 10 alle 13 e dalle 18 alle 21. A presentare la poetica di Berardi durante il vernissage è stata l’apprezzata redattrice di “Quindici” Isabella de Pinto. L’evento è stato patrocinato dal Comune di Molfetta, con la collaborazione dell’associazione “Eredi della Storia”. Un gradito ritorno per il pubblico molfettese del pittore trasferitosi in Friuli diciassette anni fa, molto legato alla città di Molfetta, di cui ha rappresentato non di rado l’incanto nelle sue tele. Memorie del tempo futuro è un titolo dal sapore apparentemente paradossale, che allude alla volontà di mantenere la connessione tra il passato, con i suoi echi e tradizioni, e il tempo avvenire. Un domani che rischia di vederci cadere nella barbarie se immemori. Non è casuale che il critico Harold Bloom affermasse nel suo The Western Canon che “Oggi il partito della Memoria è il partito della Speranza, benché la Speranza si sia affievolita”. Berardi, in questo allestimento come in tutto il suo percorso artistico, si ripropone di parlare alla gente, dalla persona acculturata o esperta in materia sino al clochard. L’attitudine a saper dialogare anche con gli “ultimi” ha segnato la sua storia e il suo modo di concepire l’Arte. La Sala dei Templari è divenuta lo scenario di una festa della pittura, in cui ti aggiri passando di suggestione in suggestione. Le opere esposte rispondo a precisi motivi dominanti. Quello più interessante e originale è a nostro avviso l’esplorazione pittorica dei fondali marini, quell’attenzione alle creature delle profondità batipelagiche che André Gide richiamava e in Les faux monnayeurs nel discorso tra Vincent Molinier e Robert Passavant. Da un lato, Berardi risponde all’esperienza maturata sin da bambino nella contemplazione subacquea. Questa in sé sarebbe portatrice di possibilità ancipiti; potrebbe condurre alla rappresentazione di un’acqua della pena, laddove l’auscultazione degli abissi marini andasse a porre in contatto con quelli dell’animo umano. Nel caso di Berardi abbiamo invece la rappresentazione di un’acqua della gioia. Vedi flora e fauna marina sfilare in un tripudio di verdi, di azzurri, ma anche in girandole di stelle marine, teorie di pesci e piovre, sinuose meduse che – perduta la carica nociva – si fanno delizioso spectaculum per lo sguardo. E poi la conoscenza della storia, dell’inabissamento di navi cariche di monili, tesori e opere d’arte attiva la rêverie bachelardiana, l’onirismo lucido che sembra permeare l’intero percorso di Berardi. Ecco che vedi quindi affiorare sculture, rivenienti da collezioni trasportate su quelli che son poi divenuti relitti. Eppure queste sculture, dei o κο?ροι che siano, nella vita silente dei fondali sembrano esse stesse rivivificarsi, e talora hai l’impressione di scorgere Poseidone che amministra il suo reame con la terribilità autorevole che gli è propria. Altro elemento caro a Berardi sono i paesaggi campestri punteggiati dai fiori e irrorati di sole, scenario di gioiose scorribande di farfalle; talvolta, in questi contesti, ma anche in scenari cittadini si assiste anche la collocazione dell’elemento familiare. Compaiono un uomo, una donna e un bambino, a riproporre la triade della Sacra Famiglia; di fatto queste opere assumono una valenza metafisica, perché – pur nella piena visibilità della figura umana – il paesaggio pare quasi smaterializzarsi, per effetto di una luce abbacinante dalla connotazione quasi sacrale. Così, quando scorgiamo – in una delle tele più belle – la sola figura maschile seduta accanto a un albero che il sole ha trasfigurato tingendolo di rosso tramonto, sembra di aver dinnanzi l’autore stesso nella sua rêverie, che rende il mondo e lui stesso quasi altro da sé. La pittura si fa gioia ma anche promessa di persistenza, di cui si fa garante anche la scelta, attraverso l’opzione, in alcuni casi, per il polimaterico, di incorporare nei quadri pennelli e tubetti di colori. Forse a questo movimento è riconducibile l’amorevole azione che, memore del ready-made, induce Berardi a recuperare madie, specchi, oggetti di una quotidianità in alcuni casi d’antan e ridar loro vita, ricontestualizzandoli e facendoli brillare di colore, magari racchiudendovi quegli scrigni di vertiginosa bellezza che le acque marine serrano celandoli agli sguardi. © Riproduzione riservata