Le bombe austriache su Molfetta
La mostra sui molfettesi nella guerra 15-18
Ha chiuso i battenti la mostra “I molfettesi nella grande guerra” organizzata dall'Associazione “Eredi della storia” nella sala dei Templari. La rassegna ha riscosso un discreto successo per l'elevato numero di visitatori, fra cui molte scuole cittadine, per cui è stata necessaria una proroga (doveva chiudersi il 17 novembre).
Sbagliava il prof. Giuseppe Binetti, presidente dell'ANCR, quando, durante la conferenza di presentazione della mostra sul tema “La Grande Guerra: i molfettesi nel 15-18”, si lamentava dell'assenza della stampa in quegli istanti (eravamo presenti eccome) e del poco orecchio che questa prestava a quel tipo di iniziative; così come sbagliano coloro che credono che su un giornale, come “Quindici”, che bandisce e condanna in modo assoluto la violenza non si possa trattare di temi come la guerra. Forti dell'insegnamento montanelliano secondo cui un Paese senza memoria del suo passato non ha prospettive per il futuro, abbiamo ritenuto opportuno dare spazio a ciò che Molfetta fu durante la Prima Guerra Mondiale.
I vecchietti (mai il corrimano che porta alla sala consiliare fu più utile), gli Alpini, i pluridecorati non si sono autocelebrati; i vessilli e i tricolori non hanno sventolato fieri: si è solo ricordato, senza retorica, un passaggio cruciale, inforcando gli occhiali della storia e riflettendo sulla ragione del massacro europeo.
All'intervento istituzionale del Sindaco Minervini è seguito il sentito monologo del Prof. Gaetano Mongelli, storico dell'arte moderna. “Ogni guerra è fratricida e come tale è stupida” – ha esordito; ha riportato una frase di Aristotele (“Il passato, dimenticarlo, è proibito anche a Dio”); ha focalizzato la sua attenzione sugli anti-eroi, sul milite ignoto, sui Cavalieri di Vittorio Veneto, chiudendo col molfettese Giulio Cozzoli, interprete tedesco nella Grande Guerra e padre del Monumento ai Caduti sito nella Villa Comunale.
Col commento in sottofondo, poi, del dott. Michele Spadavecchia, il proiettore ha “raccontato” la Molfetta di quegli anni: 6.500 abitanti affollavano la città vecchia; opulenta di industrie era la “Manchester del Sud” (parola del re Umberto I). Un porto attivo, i ragazzi che “terzolavano” le vele, i funai. Non c'erano disoccupati, si era lontani dal fronte. Quando gli uomini partirono, la responsabilità della conduzione della vita familiare ed economica cadde interamente sulle donne. Non fu risparmiata dalle bombe, Molfetta: nel giugno del '15 un aeroplano austriaco la bombardò e non si trattava, come qualcuno pensò, di una manovra di ripiego dopo aver fallito l'attacco sul capoluogo ma di una scelta mirata per mettere in crisi la produzione industriale del circondario. Ancora, nel luglio del '17, le granate si abbatterono sul nostro paese provocando morti tra i civili. E successivamente la flotta austriaca, volendo forzare il Canale d'Otranto per accedere al Mediterraneo, colpì le nostre coste per un'ora circa.
Intanto andava crescendo il numero di vittime concittadine: Angelo Rosito, primo ufficiale dell'esercito regio a morire combattente, il Tenente Umberto Magrone, Tommaso De Candia, Giacomo Mazzara, il Sottotenente Sergio Bufi. Nelle foto dell'epoca non c'era spazio per i sorrisi. I fiori sugli elmetti erano auspicio di un battaglia breve, di qualche mese: si versò sangue per tre anni.
Guai a sorvolare sulla situazione che si presentava al momento dell'entrata in guerra da parte dell'Italia: il fine (sconfiggere gli imperi reazionari dell'Europa Centrale e completare l'Unificazione) era senz'altro più nobile di quello che spingerà la Penisola ad attaccare la Francia nel '40. Guai, però, anche a scordare che la maggioranza del Paese si rivelò neutralista e forse restare alla finestra sarebbe bastato per accampare diritti sul Nord-Est; che si “tradì” la Triplice Alleanza per affiancare le forze della ”Intesa”; guai a dimenticare le esecuzioni esemplari di Cadorna per “educare” i militari al rispetto degli ordini. La guerra è cattiva ed incattivisce l'uomo.
Eugenio Tatulli