La stazione
Il racconto
La stazione è un luogo magico. Un luogo d’incontri fatali. Una vera casa per molti uomini e tante donne. Crocevia di destini che passando in fretta scivolano sui binari per addensare vite parallele. Vivevano in una stazione di una città che tanto amo tre barboni, accattoni gentili che la vita aveva riservato loro la più amara sorte. I nomi sono dettati dalla mia fantasia poiché avendo vissuto per un mese con loro in anonimo li ho imparati a memoria. Alberto il professore. Dai modi gentili, baffi lunghi e ingialliti, soprattutto tra le narici e la bocca per via della sua mania di fumare sigarette; mbè, sigarette proprio no, quel che resta di loro, cicche buttate a terra dai distratti viaggiatori. Di ritorno dalle scorribande diurne poi c’era Vito, detto il meccanico. Meccanico lui lo era stato per davvero ma poi sua moglie l’aveva lasciato. La sua officina era andata in malora dopo che gli avevano incendiato dolosamente una macchina parcheggiata all’interno. Vito ce l’aveva messa proprio tutta a riaprirne un’altra di officina ma la banca non ne voleva sapere di aiutare un povero in canna, abbandonato e senza risorse e così lui aveva lasciato motori e marmitte e si era accucciato nella sala d’aspetto della stazione. A completare la brigata, c’era Maria, Maria la pazza. Urlava, sbraitava contro chiunque le capitasse a tiro, senza motivo, non c’era mai o quasi mai un perché. Spesso lo faceva per far divertire la gente che le capitava vicino e per la quale lei si spendeva in autentici spettacoli; monologhi della parolaccia che infastidivano gli adulti ma che tanto divertivano i bambini. Maria, appassionata di tarocchi ed arti esoteriche che quando t’incontrava per strada non ti lasciava nemmeno se ti divincolavi con la forza. Doveva necessariamente leggerti la mano o le carte, lei! Qualcosa di tuo le apparteneva insomma! A sera quando questi soggetti smarriti tornavano dalle loro imprese sociali s’addensava dapprima un chiacchiericcio frastornante come di passeri gaudenti, poi qualche piccolo litigio magari per l’aggiudicazione di un’ultima sigaretta o la bevuta di un’oncia di vino rimasto pigro nel fondo di un fiaschetto e poi tutti a nanna, avvolti nelle loro coperte bigie, accartocciati nei loro cartoni cedui. Vite smarrite tanto amate da Dio che sempre misericordiosamente prepara la strada alla salvezza. Certo d’estate le vite dei tre s’allungavano fino alle prime ore del mattino, questo perché la stazione nella calda stagione è insopportabile e s’intenerisce alla sera abbracciando i sorrisi dei viaggiatori per diletto, i turisti ansiosi di conoscere il mondo. Un mondo così tanto diverso per ognuno degli esseri umani. D’inverno per i barboni le cose si complicano molto. Il rigido freddo li obbliga alla tana. Alla sopravvivenza più difficile. Fu in una fredda sera di gennaio che apparve Mina. Smilza, scavata in volto, allampanata, un cappottino lungo, grigio con bordini di velluto rosso, un tantino consunto. Moda anni Settanta. Mina portava un cappellino a barchetta stile veneziano un po’ retrò. Erano le 19.30. Chiese informazioni sul treno diretto a Torino e come sarebbe potuta arrivare a Pinerolo. Aveva quasi fatto fare il biglietto ma sul punto di pagare aveva detto che no! Non voleva o non poteva più partire. E si era seduta sulle scomode poltroncine grigie della stazione che sormontavano i mucchi di cenci di Alberto, Maria e Vito. Era rimasta lì per circa un paio d’ore, quando poi Maria vedendola impalata le aveva detto: «signorì o vieni qui con noi a dormire o è meglio che te ne vai, che mi fa impressione essere spiata mentre dormo!». E Mina, aveva riposto il telefonino che intanto compulsivamente stava toccando e se n’era andata! «Ce cristien stren ston ind‘ ‘o mund» aveva chiosato Maria tornandosene sotto le sue coperte. Dopo tre giorni Mina era tornata in stazione. Stessa scena della volta precedente, stesse domande e richieste d’informazioni. Poi sul momento di pagare aveva chiesto di lasciar perdere e con modi sofisticati ed eleganti s’era messa seduta, questa volta accanto ad Alberto, il professore. Minuti interminabili di silenzio. Poi Alberto sbottò con un: «certo partire per Torino senza nemmeno una valigia è cosa assai strana», poi corroborato da un leggerissimo sorriso incalzò: «lei, o è una sprovveduta o è un ‘eroina, col freddo che fa lì». Non seguì solo una risposta, ma solo un timido cenno d’assenso con la testa. Dopo qualche minuto Mina disse: «non sono né l’uno, né l’altra… sono solo una stupida che cerca di cambiare delle cose che non cambieranno mai!». E se ne andò lasciando a bocca aperta i tre emarginati. «Chedd jè sol na chinn» apostrofò Maria, «mbà, mbà» strinse il dialogo Vito, «eppure qualcosa di serio si legge nei sui occhi», finì Alberto il professore prima di tornare tra i cartoni. Il giorno dopo ed il giorno ancora l’altro, Mina era tornata. Leggeva e rileggeva il cartello delle partenze e poi si sedeva e poi ricontrollava e poi camminava su e giù. Vito quasi infastidito dalla sua presenza le disse: «signorì ma che dovete andare a fare a Torino? Se dovete partire, partite! No, che dovete venire qui a fare ogni giorno la tarantella»; Maria avendo sentito questo dialogo le aveva chiesto a suo modo di permettere che le leggesse i tarocchi: «Vin dò, mo, ca m par nu pic straus…»; non le dette nemmeno il tempo di dire di sì o di no che la ciarlatana iniziò a sfoderare le carte: Il sole, il carro, gli amanti… e a sviscerare formule a suo dire vere e magiche. «Ci avete azzeccato!», disse la signorina, sono innamorata. Mi sono innamorata di un giovane, di Michele. Luivive a Pinerolo e mi scrive che mi vuole bene. Fa il cameriere in un ristorante di Torino ma non verrà mai qui. Allora mi dice sempre «se mi ami prendi il treno e vieni». «Me, e perché tu non ci vai?» chiese Maria. «Ho mia madre vecchia che mi dice di stare sempre vicino a lei, che se mi sposo lei muore». «Sta bagascia!» dice Maria ma dopo aver ricevuto lo sguardo angoscioso di Mina, rintuzza la ciarliera con «che poi è sempre tua madre!». «Dovete partire! Quanto prima!» interviene sicuro Alberto il professore. «Sentite, non fate come noi che un treno non l’abbiamo preso mai! E non siamo più in grado di prenderlo, se non in faccia! Voi dovete partire quanto prima sennò morirete un giorno dal pentimento di non averlo fatto. Il rimorso vi brucerà l’anima!» «Però portatevi qualche vestito in più che non potete viaggiare così», completò Vito il meccanico. «I soldi li avete?» chiese ancora Maria. «Sì, me li sono messi da parte mese dopo mese», «se parto mia madre morirà di crepacuore» chiosò. «Me mo’ non è che dovete andare in America!» la incoraggiò Maria, «e poi detto tra noi vostra madre comunque morirà. Come avete detto che si chiama, quello Michele vi vuole là perché ora non può scendere. Vedrete magari che col tempo ce la farà a venire pure lui qui». «Me, me è deciso, oggi che giorno è?» chiese Maria, «12 febbraio» rispose Alberto, con una precisione chirurgica. «Febbraio è un mese buono per partire!, 13 febbraio? Se parti domani sera che è 13 vi fate il San Valentino assieme, non c’è giorno migliore!!» concluse Maria la ciarlatana. E così fu! Mina tornò in stazione la sera del 13 febbraio. Fece il biglietto di sola andata per Torino e poi quello del pullman per Pinerolo. La romantica brigata le si strinse attorno. Maria le consegnò la carta dei tarocchi più bella, quella del Carro. «Questa carta sta tra gli amanti e la giustizia. Portatela sempre con te perché solo l’amore può farci fare cose pazze ma sempre giuste». Alberto le dette un libro che aveva letto in gioventù, «Madame Bovary di Gustave Flaubert, vi servirà in questo viaggio così lungo! Me lo regalò la mia prima fidanzata », «e poi te lo buttò nei sensi » aggiunse sarcastica Maria. Poi si fece avanti Vito e disse: «Tenete signorì, questo è l’indirizzo di un mio amico meccanico che sta a Torino, non si sa mai, potrebbe servire!» . Mina, cuore fragile si sentì riscaldata in quella sera fredda di febbraio. Pensava a sua madre, al dolore che le avrebbe dato partendo e tentennò fino all’annuncio dell’arrivo del treno sul terzo binario. L’allegra brigata si era portata tutta sotto la pensilina al terzo binario. C’era calca, poiché tanti sono ancora oggi i nostri concittadini che partono per il Nord. La banchina per l’arrivo di quel treno pullulava di gente. Abbracci, pianti, lacrime, sorrisi. La stazione è la vita in un binario. Mentre Mina ancora timida si avvicinava al predellino che l’avrebbe portata lontano, aveva già posizionato la sua valigia rosa sul treno aiutata da Alberto, quando due volontari della croce rossa si erano fatti largo tra la folla, portando su una sedia a rotelle Tonia, la vecchia Tonia, mamma di Mina. Nell’aria gelida di febbraio tutti rimasero zitti ed attoniti nel vedere quelle donne, statue di prua e di poppa, del presente e del passato. L’anziana Tonia aveva messo le mani sotto la coperta che le coprivano le gambe e in un guizzo aveva portato allo scoperto un cofanetto rosso ed oro e poi disse: «Mina, sei la solita sbadata, e la trousse dei trucchi non te la porti?». Applausi e lacrime. Mina parti, la signora Tonia fu dapprima consolata da Alberto, Vito e Maria che non fece lesinare la lettura delle carte. Ed ancora una volta la stazione aveva vinto la sfida, quella della vita che cerca altra vita. Partire? O non partire? Cambiare o restare sempre uguali? Non potremo mai conoscere le giuste risposte! Fate tutti buon viaggio… magari leggendo. Ah, dimenticavo, non vi ho detto chi sono io! Io sono il venditore dei biglietti naturalmente! © Riproduzione riservata