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“La ritirata” è Cozzoli In attesa della Settimana Santa
15 marzo 2024

La Pasqua è alle porte e con essa anche uno degli eventi clou della nostra città: la ritirata, il rientro a casa delle sette opere realizzate dal maestro e compaesano Giulio Cozzoli e diventate nel tempo il simbolo stesso di ciò che il periodo pasquale rappresenta per Molfetta. Emblema di una radicata tradizione scultorea meridionale legata alle celebrazioni della Settimana Santa, queste opere in cartapesta costituiscono una perla nel panorama artistico pugliese, discostandosi dalle mode in voga nel primo cinquantennio del Novecento. Le sette statue cultuali, forgiate nello studio di Cozzoli presso Palazzo Cappelluti a partire dal 1906, sono state portate a compimento nonostante la progressiva perdita della vista e sono le sue uniche opere realizzate in cartapesta dopo aver appreso dai suoi maestri un segreto per farle durare più a lungo, evitando i danni provocati dalle tarme. Nei giorni prossimi alla ritirata le frasi e le domande che risuonano più spesso sono sempre le stesse: “ci troviamo al borgo per vedere la ritirata”… “a che ora è la ritirata?”… È un evento dal forte impatto emotivo determinato da una serie di fattori: le marce funebri che accompagnano la processione, le luci soffuse, il silenzio, la cadenza ritmata e il lento ingresso nella chiesa del Purgatorio delle statue, loro, protagoniste indiscusse di questo momento speciale e forse dell’intera Pasqua molfettese. È facile lasciarsi trasportare dal pathos che traspare da queste opere, osservando la folla che si assiepa attorno alla chiesa si assiste infatti ad un tripudio di emozioni: chi ascolta, chi si commuove, chi piange, chi prega, ognuno assorto e partecipe con i propri problemi e i propri pensieri. Conscio del valore eterno e immutabile dell’arte, Cozzoli ha infuso nelle sue opere il suo estro e la sua eredità morale facendo sì che la sua stessa arte, ispirata al suo mondo interiore, divenisse tramite di preghiera, elevazione spirituale ed espressione di bellezza e di dolore umanissimo, facendo emergere dalla materia il profilo psicologico dei personaggi. Basta soffermarsi a guardare le statue nel loro secolare alloggio, la chiesa del Purgatorio, per comprendere la grandiosità del maestro, la scelta dei colori dalle tonalità calde e vivide, la perfezione dei dettagli: mani, piedi, vene, rughe e soprattutto sguardi, occhi espressivi e penetranti capaci di raggiungere l’anima e arrivare così in profondità da provocare forte empatia negli osservatori, capaci di percepire quella stessa tristezza, angoscia e dolore propri dei personaggi coinvolti nella passione di Cristo. Ci si lascia coinvolgere dalla passione struggente e dalla fragilità della Maddalena, dall’incredulità attonita di San Pietro, dalla travolgente espressività di tutti i protagonisti della ritirata. Forse la nostra Pasqua sarebbe diversa, magari meno sentita e partecipe, se l’artefice delle statue del sabato santo non avesse dato vita alle sue creature, lui, che non può essere considerato un artigiano perché la sua arte va ben oltre la realizzazione di una serie di immagini a scopo processionale, si tratta di opere caratterizzate da un richiamo esplicito ai modelli più alti dell’ispirazione classica, frutto della formazione realista dello scultore tra Passau, Monaco e Firenze e del suo profondo attaccamento alla città natìa, la sua Molfetta. E così, dopo aver osservato da vicino la passione espressa da quegli sguardi, ditemi come si fa a non amare la ritirata. È un sentimento tutto nostro, parte profonda e radicata di antiche tradizioni che per sempre i molfettesi attenderanno insieme alla Pasqua. © Riproduzione riservata

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