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La notte Chiara di Francesco
15 ottobre 2024

Pioveva a dirotto. La Porziuncola sembrava affogasse nella pioggia e nel vento. I Fratelli di Francesco avevano compiuto le loro preghiere, il loro incessante lavoro aveva sfinito le loro braccia. Francesco aveva insegnato loro a non demordere, che è lo Spirito a decidere se sia giunto il momento di riposare. Si dormiva assieme, su pagliericci che tanto ricordavano la Santa mangiatoia. A volte s’addormentavano vicini cosicché il corpo del Fratello potesse fungere da tenue focolare. Quel che produceva calore non era tanto il sangue di quegli anacoreti, quanto l’ardore delle fiamme che vibrava nel loro petto, nel loro cuore. Col battere di quella pioggia incessante sulle porte di legno e sui cardini di ferro quegli uomini strappati ad una vita normale si erano addormentati, in una grazia infinita, sfiniti da una giornata senza sosta. «Ora et labora!», questo era il loro Verbum, non per un giorno, non per una settimana, per tutta la vita. Vita, la cui intensità e durata solo Dio poteva conoscere e donare ad ogni uomo. Chi invece sembrava incorruttibile alle inurie del tempo era Francesco. Lui riusciva a restare sveglio anche per tre notti intere, riposando due ore e poi rimettendosi a pregare; invocando il Cielo, infondendo nei cuori la Speranza e genuflettendosi mille volte potendo chiedere di soffrire dolori simili a quelli di Cristo per affrancarsi dalla presunzione che quella vita fatta di stenti potesse risarcire il suo animo del peccato degli uomini. Francesco, il giullare di Dio, aveva inteso il piglio del Divino come ilare, una gioiosa prestanza d’Amore eterno infuso nell’essere umano. Vide dalla finestrella opaca per la condensa della pioggia e dell’umidità stagliarsi una sagoma, sembrava un’ombra insana e malnata. Questa si avvicinava alla Porziuncola sempre di più. Le sue mani intirizzite ripulirono il vetro. Aveva messo attorno alle mani un sottile strato di manto di pecora per riscaldare appena le nocche gelate e con quelle tentava di ripulire saggiamente il vetro appannato. All’ennesimo tentativo finalmen-te poté vedere due occhi dall’altra parte sgranarsi e invocare un ricovero. Sembrava un passero intirizzito. Tutto bagnato com’era. Era Chiara, la sua grande amica. Anche Lei aveva seguito le orme del suo Maestro lasciando ogni ricchezza materiale e vivendo nella più sottomessa umiltà. Francesco la fece subito entrare accogliendola con un sorriso felice, corrisposto dalla letizia divina della donna. «Francesco! Non potrai credermi! Ho sentito che eravate di ritorno da Roma ed anche se i miei genitori non mi hanno permesso di venire, eccomi qui!». Francesco stringendola al petto notò che era bagnata fradicia e le chiese come e da chi avesse saputo che erano tornati. «La fede, la tua fede, la mia che ancora vacilla…Ho camminato tanto. Mia cugina Pacifica mi ha accompagnato ma è tornata indietro»; «Hai portato via anche lei?», le chiese poi. «Sì. Ma la vera esperienza di solitudine l’ho fatta camminando da sola. La paura non ha vinto sulla mia certezza di incontrarti. Io non ti ho mai perso di vista Francesco, amico mio. “Non c’è ricchezza più grande della povertà!”; una volta prima che tu partissi, questo mi hai detto! », gli ricordò sfoderando un sorriso di giada, magnetico. Francesco intenerendosi soggiunse: «perché sei venuta da me?», e lei abbassando il capo gli rispose dicendo: «io voglio quello che hai chiesto anche tu. Voglio alzare la testa. Non mi interessa altro che non sia una vita rivolta ai poveri, ai deboli, agli altri. Nulla mi interessa di più. Io sono pronta!»; «a perdere tutto, perché di nulla si ha bisogno?» rintuzzò il suo amico; Chiara guardando il cielo che intanto quasi miracolosamente si era aperto gli rispose di sì. «Sei disposta dunque a rimanere in solitudine perché con Cristo non si è mai soli?» aggiunse ancora Francesco laddove quegli altri avvertimenti non fossero bastati, e Lei di rimando ancora tre volte sì, gli rispose. «Ad essere perseguitati, derisi, offesi perché in Cristo c’è la nostra divina giustizia?», ancora Francesco come a volersi accertare della Bontà immensa di quell’anima docile e Lei ancora tre volte «sì, sì, sì»!. Un’enfasi quella di Chiara mista alla felicità che fece svegliare i poveri Fratelli che stavano dormendo. Così Francesco prese delle forbici e chiese a Chiara di inginocchiarsi chiedendole scusa se di lì a poco avrebbe smantellato la sua dolce femminilità tagliandole i capelli per uniformarsi ai suoi Fratelli e al suo ordine. «Chiara, amica mia sia tu sempre il polo lunare che orienta i viandanti nella notte buia», disse e avendole tagliato molte ciocche di capelli aggiunse poi: «Questo ciuffo di capelli strappati alla tua femminilità diventi il simbolo del sacrificio, del patto tra la Madre e il Figlio ». Sorrisero. Cessò di piovere. Pregarono tutti assieme. Chiara nascose una sola ciocca nella sua bisaccia. Restò sola e pianse di felicità nelle ore che precedettero le prime luci dell’alba. Si racconta che tutti i galli quel dì cantarono sino alla notte successiva. In fondo era avvenuto un miracolo d’amore. © Riproduzione riservata

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