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La Chiesa del “grembiule”, convegno per il ventennale di don Tonino a Molfetta
22 aprile 2013

MOLFETTA - Nei giorni scorsi si è celebrato il ventesimo anniversario della morte di don Tonino Bello, vescovo dei poveri e presidente di Pax Christi. Ancora oggi, a distanza di tanti anni, la sua personalità, la sua testimonianza e gli innumerevoli scritti rimangono fonte inesauribile di ammirazione ed ispirazione. La freschezza del suo linguaggio, la vicinanza ai bisogni dell’uomo e soprattutto degli ultimi e la volontà di superare la monotonia dell’ovvio rappresentano un patrimonio di valori da trasmettere e soprattutto da incarnare nel nostro tempo.
Le nuove generazioni conoscono il vescovo salentino per la narrazione che viene fatta loro da parte di chi lo ha conosciuto. Anche durante l’incontro tenutosi nell’auditorium “Regina Pacis” di Molfetta si è voluto mantenere vivo il suo ricordo e i suoi insegnamenti. Dopo un breve ritratto di don Tonino dipinto dal vescovo di Molfetta, mons. Luigi Martella, la parola è passata a padre Bartolomeo Sorge (foto), gesuita e direttore de La Civiltà Cattolica e di Aggiornamenti sociali (nella foto mons. Mimmo AMato, mons. Luigi Martella e padre Sorge).
L’illustre teologo e politologo di fama internazionale ha indicato la coincidenza esistente tra la ricorrenza del ventennale della morte di don Tonino e l’anniversario di tre eventi storici quali l’Editto di Costantino (313 d.C.), l’inizio del Concilio ecumenico Vaticano II e l’elezione di Papa Francesco. Questo parallelismo è servito a comprendere l’idea intuitiva del vescovo salentino di una Chiesa del “grembiule” che tralascia i segni del potere e sceglie il potere dei segni.
Da uomo della condivisione e della solidarietà ha saputo riscoprire l’autenticità del messaggio evangelico, definendo la Chiesa come libera, povera e serva. Si tratta dello stesso archetipo di Chiesa proclamato a suo tempo dal Concilio e riscoperto oggi con l’ascesa del nuovo Papa che ha allontanato l’idea di una istituzione ecclesiastica autoreferenziale e chiusa in se stessa. La Chiesa così intesa da don Tonino si configura come coscienza critica del mondo che si apre con coraggio alle sfide dell’ingiustizia, della fame e della fratellanza. Insomma si tratta di una evangelizzazione sovversiva spinta dalla forza del Vangelo non omologabile alla mentalità corrente.
Per il Servo di Dio, indossare il “grembiule” (la veste sacerdotale) ha sempre significato aprirsi al dialogo con le altre confessioni religiose, facendo in modo che la parola del Signore non diventasse uno scudo difensivo bensì un mezzo di unione e di apertura all’altro. Superando il regime costantiniano e grazie al Concilio, la Chiesa ha riconquistato l’idea di libertà e rinsaldato la volontà di vicinanza al suo popolo. Anche il proposito di una istituzione ecclesiastica povera, amante de poveri non è una scelta demagogica ma evangelica. Condivisa in principio da don Tonino, oggi il nuovo Papa ha fatto sua questa prerogativa, scegliendo il nome Francesco come segno di un ritorno al Vangelo e simbolo di partecipazione e carità. Ma la Chiesa deve anche essere serva perché non rappresenta l’assoluto ma deve essere subordinata all’assoluto, a Dio.
Di fatti il suo ruolo non è l’esercizio del potere, quanto il prestare un servizio come sintomo si comunione e convivialità. Insomma si potrebbe definire la carismatica figura di don Tonino come un ponte tra il Concilio, la crisi della Chiesa e la sua risurrezione avvenuta grazie all’ascesa di Papa Francesco che ha sputo reinterpretare e incarnare a pieno lo spirito dell’istituzione ecclesiastica, la vita nuova. Probabilmente l’ammirazione e la vicinanza fraterna all’attuale Vescovo di Roma scaturisce dal fatto che rappresenti appieno il volto visibile di quella che don Tonino ha definito Chiesa del “grembiule”.
 
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Autore: Angelica Vecchio
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