La caduta del genere umano
L’indifferenza alla guerra e ai morti
Siamo in guerra. Ce lo dicono in continuazione; lo vediamo, lo percepiamo anche se non abbiamo la guerra in casa. Sentiamo la voce di chi ha il potere in questo mondo, che con fierezza giustifica a sé stesso e agli altri la bontà dei suoi crimini; ascoltiamo comizi che girano intorno ad un concetto antico e nuovo della legittima difesa. Io parlerei di legittima offesa. Questo sta accadendo: attaccare e sterminare i popoli e farlo in modo “legittimo”. Parlerei dei forti che hanno il potere sui deboli e che, senza diritto e senza pudore, uccidono, sterminano, bruciano, annientano. Non so se bisogna scandalizzarsi fino ad urlare, per chi offende sterminando famiglie e popoli e lo fa nella legittimità dei suoi principi politici o delle sue necessità economiche, o per chi se ne lava le mani dicendo: “non è colpa mia”. Lo si sa bene: dietro ogni guerra ci sono interessi, grandi interessi. Credo che questi generino una miopia diffusa di chi non vede i tanti corpi umani scaraventati dall’urto di una bomba per terra… in terra. Si sta diffondendo una cultura dell’indifferenza alla morte e ai morti. Tanti caduti in guerra non sempre hanno la dignità di una sepoltura e il mondo vive nel distacco insensibile e nella noncuranza. Nella sua Political world Bob Dylan riconduce tutte le ingiustizie umane, ogni morte provocata dalla guerra, ad un’unica causa: viviamo in un mondo politico. Sembra voglia dire che intanto ci sono le guerre nel mondo, intanto gli uomini uccidono gli uomini, perché il mondo è politico. Sembra che la politica, che per definizione è servizio alla città e al mondo, sia la causa prima della caduta del genere umano; che ci sia qualcuno che metta in discussione la reale possibilità di una pacifica convivenza tra i popoli e che sia irreale vivere tutti sulla terra bene e in pace. Pertanto le strategie studiate nella relazione tra i governi sembra abbiano lo scopo celato o evidente dello sterminio a tutti i livelli. Forse qualcuno pensa che siamo tanti a questo mondo e che pertanto le guerre servano anche a fare un po’ di pulizia. È la follia lucida che domina il pensiero dei grandi; ed è l’indifferenza di tante persone comuni che non hanno forza o voglia di indignarsi dinanzi ai ripetuti genocidi. Si vive come se non ci fosse un domani; anzi, si vive e non si vuole un domani. Non si vuole un mondo bello e buono da consegnare a chi verrà dopo; c’è una sorta di eterna presenza senza passato e senza futuro. Dentro la testa di chi comanda e decide le sorti dell’umanità credo abiti la convinzione di una onnipotenza umana che contraddice il concetto stesso di umano in quanto tale, cioè finito, limitato, caduco… che non può tutto. Per chi ha fede, si vive etsi Deus non daretur, come se Dio non ci fosse, come se Lui non agisse, o in senso più ampio, come se Dio che dall’alto assistesse quasi imperterrito alla caduta del genere umano mentre esercita la sua libertà, libertà che Dio ha dato agli uomini quando li ha creati. Dio invece piange ogni qualvolta un uomo uccide un altro uomo come ha pianto la morte del suo Figlio. E la sua apparente impotenza è il rispetto quasi sacro nei confronti delle sue creature, anche quando queste si pongono contro di Lui e finiscono per scannarsi tra loro. Vogliamo essere in pace. Siamo stanchi di vedere i morti. Siamo atterriti di fronte a tanta violenza. Siamo indignati dalle tante ingiustizie. Delle sopraffazioni non ne possiamo più! Basta con gli stermini, basta con le case distrutte con la magra consolazione di recuperare gli oggetti più cari. Non vogliamo e non possiamo credere che il male debba vincere sul bene. Siamo convinti del contrario. E lo siamo come uomini anzitutto e poi come cristiani. Credo che la rabbia, l’indignazione, la ferma contrarietà ad ogni conflitto, ad ogni guerra, a tutte le guerre non siano stati d’animo o costumi di persone in preda alla rassegnazione, per cui si può pensare, dire e fare solo questo. Siano invece elementi del pensiero che vanno tenuti sempre presenti per non dimenticare l’umano, per tenere a mente la dignità di ogni persona, che è inviolabile, non negoziabile ed è sacra. Nessuno tocchi Caino? Nessuno tocchi Abele! Serve una diffusione capillare, certosina di una cultura della vita, del suo rispetto e della sua promozione sempre e comunque. Serve un’educazione alla vita e alla sua difesa. Si deve lavorare per costruire una giustizia umana, dove per giustizia si intende il fare le cose giuste e le cose sono giuste quando tutti stanno bene. Non manchi la speranza. Tonino Bello riprende le parole del profeta Isaia: “Sentinella quanto resta della notte?” e sottolinea che resta poco. Della notte, del buio, delle tenebre, di ogni oscurità, resta poco. Arriverà il mattino con le luci dell’alba e il sole che riscalda. Ne è stato convinto un futuro santo. Ci fidiamo di lui. Sarà così. © Riproduzione riservata L’indifferenza alla guerra e ai morti La caduta del genere umano.
Vincenzo Di Palo