L’Olocausto raccontato con gli occhi di un bambino e una partita di calcio
Ci sono molti modi per raccontare la Shoah, lo sterminio degli ebrei nei campi di concentramento nazisti, ma quello scelto da Corrado la Grasta del Teatro dei Cipis è abbastanza originale e insolito: gli occhi di un bambino e un incontro di calcio. E questa scelta è già nel nome dello spettacolo M120XM90, in pratica le misure di un terreno di gioco dello sport più popolare al mondo. E il sogno negato ad un bambino che si sviluppa in 4 storie con al centro il solo protagonista circondato da un rettangolo luminoso e da alcuni bidoni da cui estrae gli oggetti del racconto. In tutte le esperienze drammatiche della storia, i bambini ci sono sempre, ce lo ha ricordato anche Roberto Benigni nel bellissimo e indimenticabile film “La vita è bella”. I bambini rappresentano lo spunto per fare teatro in modo semplice, accessibile a tutti, dai piccoli ai grandi perché le storie della vita appartengono a tutti. Anche quelle del dolore che ti penetrano nell’anima e restano nella memoria. Per non dimenticare quello che è stato. Il bambino che rinuncia alla passione per il calcio per la guerra e l’olocausto e diventa adulto in fretta, a continua a sognare per sopravvivere alla shoah, proprio come nel film di Benigni: l’inganno con se stesso per resistere nell’inferno creato dall’uomo per distruggere il suo simile. Ed è in quel grido finale “goool” più pieno di angoscia che di effimera esultanza. Una storia raccontata in quattro quadri: Il primo “la leggenda” fa da apripista narrando le gesta della formazione della Dinamo Kiev, con i suoi valorosi giocatori che sfidano la formazione tedesca della Flakelf. Lo scenario da sfondo al secondo quadro “l’utopia” è quello di Terezin, località poco distante da Praga trasformata in ghetto ebraico durante la seconda guerra mondiale. E’ anche il quadro della speranza in cui, seppure per scopi propagandistici, viene data agli ebrei l’opportunità di esprimersi creativamente. Viola, marrone, rosa sono i colori distintivi del terzo quadro “la realtà”, quelli con cui venivano contrassegnati rispettivamente i Testimoni di Geova, i Rom e gli omosessuali. Resta il nero il colore più coprente, quello del dottor Menghele, detto anche dottor Morte, artefice di macabri esperimenti sui gemelli deportati. Grigio, come l’umiliazione o la codardia, è il colore che si sfuma nel quarto quadro “la svolta”. La svolta è una liberazione interiore a cui molti anelano, ma pochi realizzano portando al limite la propria esistenza. La svolta è un martirio non meno doloroso della condizione di Haftlinghe, un oppressore oppresso. Con quest’opera di Corrado la Grasta abbiamo visto il teatro, con una recitazione convincente, che supera le banalità di tanti spettacoli proposti per il Giorno della memoria. La Grasta ti trascina forzatamente sulla scena, ti coinvolge in questa partita che è una lotta tra la verità e il male assoluto col linguaggio universale del calcio, che non ha bisogno di interpreti, anche quando fa da sfondo ad una tragedia immane. E’ lo sport, lo strumento di propaganda anche delle dittature perfino di quelle più sanguinose. Ma anche una chiave di lettura del trionfo e della sconfitta di un regime. La scena povera, ma ricca di contenuti che propone l’attore autore, con la regia di Giulia Petruzzella, ci permette di guardare le cose in modo diverso, senza distrazioni, per interiorizzare una tragedia immensa dalle dimensioni di un rettangolo di luce, specchio della nostra coscienza.
Autore: Felice de Sanctis