L’arrivo di Papa Francesco: un’attesa premiata, un evento storico
Poi, all’improvviso, ecco il maxischermo puntare sull’elicottero in atterraggio sul mare azzurro. Ecco Il Pontefice discendere per poi arrivare in papamobile nella zona dell’altare. In una sagrestia mobile ha indossato i paramenti e ha preso in consegna il pastorale d’ulivo di don Tonino, del quale aveva deciso, con grande portata sotto il profilo simbolico, di avvalersi durante la celebrazione della liturgia. Il giro nella zona rossa, sino alla Villa e al Calvario dove, in prossimità di via La Vista e via Ten. Fiorino, si accedeva all’area gialla, è stato rinviato, considerato il ritardo, allo scopo di consentire immediatamente al Santo Padre di celebrare. Papa Francesco era visibilmente stanco e provato, ma ciò non gli ha impedito di condurre energicamente anche questo momento. Notevole l’apporto del coro diretto dal Maestro Lucia de Bari, costituito da orchestrali e cantori provenienti da tutta la diocesi. È stato struggente il momento durante la celebrazione in cui è stato eseguito da Felice Spaccavento il canto dell’ala di riserva, con l’immagine bellissima, modellata da don Tonino, degli uomini come “angeli con un’ala soltanto”, che non possono volare se non uniti in un fraterno abbraccio, e del Dio con un’ala nascosta. Un Dio che vuole apparire simile a noi, per non farci avvertire la nostra inadeguatezza al suo cospetto e divenire nostro “compagno di volo”. L’omelia di Papa Francesco è stata incentrata, come le letture postulavano, sul mistero eucaristico (chi volesse rileggerla, così come i discorsi, può farlo sul sito della diocesi, ricco di preziose informazioni, con persino il libretto della celebrazione). Il concetto di Gesù come “pane spezzato” e del cristiano che, ricevendo questo sacramento, diviene a sua volta tale, per poi consacrarsi al “vivere per”, “marchio di fabbrica del cristiano”, era adattissimo a far convergere la riflessione su don Tonino. A tal proposito ci è apparsa estremamente efficace la metafora del suo “farsi mangiare dalla gente” davanti al Tabernacolo. Con l’idea, poi, di mons. Bello “pastore fattosi popolo” e quindi di don Tonino come Vescovo-Servo si andava a reintrodurre il concetto del cristiano contempl-attivo. È facile volersi autorelegare in spazi rassicuranti, ma il monito delle Scritture è pari a quello di Dio a Saulo e Anania: bisogna andare, seminare la pace, “divenire corrieri di speranza”. Il mio pensiero è corso a quando il Vescovo degli umili parlava di Maria come donna del pane, che ha sospirato per la mancanza del pane quotidiano e provato gioia nel sentire il suo aroma spandersi per la casa, ma soprattutto, a dispetto dell’indifferenza di chi la circondava, ha deposto nella mangiatoia “Il pane vivo disceso dal cielo”. Commozione anche quando il Vescovo, mons. Domenico Cornacchia, ha ricordato quel surreale 20 aprile di venticinque anni fa. Il “velo di profonda mestizia” ch’era calato su Molfetta. Lo ricordo ancora. Il nodo alla gola mentre il coro intonava il requiem, in cui, nonostante tutto, la parola “luce” sembrava dominare. L’allora Sindaco Annalisa Altomare che, con le parole “è il testamento di un giusto”, dava voce al pensiero di tutti. Il Messale che, nel momento di maggiore tristezza, di colpo prendeva a lasciarsi sfogliare dal vento, quasi a voler suggerire che non era il momento di lasciarsi prendere dalla tentazione delle “tre tende”, perché la sfida cominciava ora. È per questo che, come ha detto mons. Cornacchia, ogni angolo di Molfetta reca un segno della presenza di don Tonino. E poi potremmo menzionare tanti altri piccoli fotogrammi: il dono della rosa alla Madonna dei Martiri, il giro sulla papamobile. Qui emerge, ahimè, un aspetto negativo dell’indole del molfettese, peraltro umanissimo. Le geremiadi per il giro troppo breve avrebbero ragion d’essere solo se non si considerasse l’eccezionalità stessa del fatto che il Papa abbia onorato questa città della sua presenza. Non tutte le cittadine d’Italia possono vantare un omaggio di questo genere e di certo noi molfettesi non l’abbiamo meritato più di altri. Non siamo (rassegniamoci a questa evidenza!) il centro dell’universo. Alessano ha dato i natali a don Tonino, noi l’abbiamo ricevuto in dono e già questo è qualcosa di straordinario. In più il Pontefice è venuto qui, tra le nostre case, ha benedetto la nostra gente: che altro vogliamo? Dante ci insegna, attraverso le parole di Piccarda Donati, che forse il desiderare di “esser più superni” rispetto agli altri non sempre è remare di comune accordo con il volere divino. Abbiamo goduto una mattinata di gioia indicibile (l’immagine che, a mio avviso, la esprime al meglio potrebbe essere quella di una bimba festante che scorrazzava sull’altare dopo la messa, con il padre che la rincorreva imbarazzato), quindi fare i rusteghi e borbottare per partito preso mi sembra decisamente fuori luogo. Ché se poi si volesse farlo, ci sarebbe, come sempre, materia cui potersi appigliare. Ci sarà stata anche gente che avrà approfittato dell’occasione per declinare il verbo dell’“Io son chi sono” (promettendo posti in prima fila e pass per i quali in realtà non c’era alcuna procedura esoterica: bastava semplicemente e umilmente rivolgersi alle parrocchie), ma mi permetto di dire che di solito chi si pone alla scuola del Marchese di Forlimpopoli lo fa perché consapevole, nel profondo, di non essere nessuno. Invece, ritengo che in questo caso si debba più che altro ringraziare: Papa Francesco e la macchina organizzativa che si è mossa in Vaticano; il nostro Vescovo e la Diocesi, artefice di un lavoro superbo, grazie anche all’apporto di “Luce e Vita” (l’impegno umile e serio di Luigi Sparapano è stato encomiabile) e del Museo diocesano; non ultimo il Comune di Molfetta, che ha gestito in maniera degna di apprezzamento un evento storico difficilmente ripetibile. E altro si potrebbe dire, ma non dimentichiamo mai di ringraziare don Tonino. Perché quello ch’è avvenuto il 20 aprile, e che forse non si ripeterà mai più, almeno nel corso delle nostre vite, è inequivocabilmente un altro “segno della sua presenza”. © Riproduzione riservata
Autore: Gianni Antonio Palumbo