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L’8 marzo di tutti Diritti, parole e significati
15 marzo 2024

Dal ‘900 ad oggi, il senso di questa giornata ha assunto forme e significati differenti, non sempre legati alla lotta per la rivendicazione dei diritti delle donne. Spesso l’opinione pubblica si sofferma per qualche giorno sugli eventi più eclatanti e dolorosi (l’ISTAT calcola circa 600 femminicidi in Italia solo negli ultimi quattro anni), ma poi torna ad occuparsi di altro. Eppure la sensibilità sui temi di genere dovrebbe attraversare la nostra quotidianità tanto nel macro, quanto nei microcosmi della società, fino ad arrivare alla famiglia. C’è un’acqua in cui tutto accade, scrive David Foster Wallace, di cui spesso ignoriamo l’esistenza, in cui nuotiamo senza piena consapevolezza, in cui crescono abitudini, consuetudini, in cui si radicano costumi e linguaggi usati ed accettati che a loro volta determinano ed influenzano i comportamenti sociali di ciascuno. E se come la cronaca racconta, essi sfociano, nei casi più estremi ma non per questo meno frequenti, in violenza fisica o verbale c’è allora da interrogarsi su come guardare quell’acqua all’interno dalla quale essi sono stati determinati. Come guardare fuori quell’acqua, come cambiare corrente. Esistono oggi evidenti disparità tra uomo donna, a partire ad esempio dal mondo del lavoro, che fa dell’Italia uno dei paesi in cui si registra la differenza più marcata tra il tasso di occupazione di uomini e donne, anche a causa dello stereotipo che lega la figura della donna al ruolo esclusivo della cura domestica. Disparità che si traduce ad esempio in disparità salariale, nella difficoltà ad accedere a posizioni con maggior esposizione, di maggior prestigio e responsabilità, soprattutto per le donne con figli, al contrario dei padri che riportano un tasso di occupazione più elevato. Ma affinché il dislivello si affievolisca ed un sistema di diritti sia riconosciuto, affinché esso venga poi normato e, dunque, la parità venga di fatto garantita, è necessario sì continuare sulla strada della rivendicazione dei diritti, ma soprattutto provare ad andare alla radice, a quell’acqua in cui cresciamo che oggi finalmente inizia a percepirsi stantia. Non è solo un tema di regole e leggi. Esiste evidentemente un legame avvilente tra le ingiustizie che viviamo nel quotidiano e le parole che sentiamo: un codice verbale che le sostengono e le giustificano. Un significante che diventa significato. Per questo è diventato improcrastinabile passare prima per la strada della cultura e del linguaggio, che codifica e per questo definisce. Definisce i ruoli e ne misura le distanze, dice quanto posso (inteso anche come sostantivo potere) io su di te o io per te. La famosa acqua. Un linguaggio spesso usato e abusato per veicolare scientemente stereotipi identitari, stratificando e generando disparità e violenza. Farne, quindi, una questione di evoluzione culturale, ovvero di progresso e civiltà. Il progresso, insomma, non sia solo industriale e tecnologico: per essere all’altezza del futuro, serve maturare un’intelligenza sociale che è peculiarità, ancora esclusiva, dell’essere umano. E poco può la politica, fuori e dentro le Istituzioni, senza una spinta collettiva al cambiamento: dal basso, di ciascuno per ciascuno, nel quotidiano. Occorre dunque assumersi la responsabilità delle dinamiche all’interno di quell’acqua, che vuol dire avere piena consapevolezza del potere e delle responsabilità individuali all’interno delle responsabilità collettive. Un ritorno alla comunità, una chiamata ad un’attenzione sociale più alta, una presa di posizione che ogni giorno riguarda tutti.

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