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In ricordo di Franco Franco Basaglia Il celebre psichiatra (1978 approvazione della legge 180 - 1980
15 marzo 2024

Qualcuno volò sul nido del cuculo (One Flew Over the Cuckoo’s Nest) è un fifilm del 1975 diretto da Miloš Forman. È tratto dal romanzo omonimo di Ken Kesey, pubblicato nel 1962 e tradotto in italiano nel 1976 da Rizzoli. L’autore scrisse il libro in seguito alla propria esperienza da volontario all’interno del Veterans Administration Hospital di Palo Alto, in California. Ha segnato la storia del cinema trattando per la prima volta un argomento molto delicato, cioè il disagio presente negli ospedali psichiatrici statali, denunciando il trattamento inumano riservato ai pazienti ospitati in tali strutture, verso i quali vigeva un atteggiamento discriminatorio, alimentato dalla paura dell›aggressività che a volte, ma non sempre, caratterizza la malattia mentale. il personaggio interpretato da Jack Nicholson, Randle Patrick McMurphy, che con la sua presenza smaschera il carattere repressivo e carcerario dell’istituzione. il personaggio interpretato da Jack Nicholson, Randle Patrick McMurphy, che con la sua presenza smaschera il carattere repressivo e carcerario dell’istituzione. Will Sampson: Capo Bromden Altra critica che il libro muove è nei confronti dell’istituzione psichiatrica, vista come uno strumento di oppressione al pari di una prigione. In questa denuncia sono state ravvisate affinità con le idee sulla costruzione sociale della follia che l’intellettuale francese Michel Foucault stava diffondendo nello stesso periodo[15], sostenendo che forme invisibili ma pervasive di disciplina opprimevano gli individui su un’ampia scala sociale, incoraggiandoli a censurare aspetti di sé stessi e delle loro azioni al fine di mantenere e confermare l’ordine dominante delle cose[16 Avevi gli occhi del mondo addosso. Eri riuscito a fare l’impossibile. Lo smantellamento dell’Ospedale Psichiatrico di Trieste. Anzi del frenocomio che era stato inaugurato nel 1908 sul modello dello Steinhof di Vienna. Quella quarantina di palazzine situate in un grande parco disteso su una collina, lontano dalla città per dare ai cittadini il senso di una sicurezza minacciata dalla follia. Era stato inaugurato nel marzo del 1908, raccogliendo pazienti dalle province di Trieste, Gorizia ed Istria. Con la tua direzione, a partire dal 1971, furono messe in atto varie iniziative che portarono alla prima “apertura” della struttura manicomiale, sancita poi dalla Legge 180/78. La definitiva chiusura dell’Ospedale psichiatrico fu sancita con Delibera della Giunta provinciale dell’11 luglio 1980 n. 1939. Attualmente, come Dipartimento di salute mentale, la struttura fa parte dell’Azienda sanitaria territoriale n. 1 Triestina (ASS n. 1) Cos’era stata prima quella struttura manicomiale? Tu la conoscevi bene quella storia. (Steinhof a Vienna, in Austria, è un antico nome per un’area di Vienna che oggi contiene l’Otto-Wagner-Spital, la sua chiesa Kirche am Steinhof ei parchi circostanti dello Steinhofgründe, che furono aperti nel 1907. l’area è anche collegata alla clinica Am Spiegelgrund, dove 789 pazienti, per lo più bambini, furono assassinati durante la seconda guerra mondiale nell’ambito dell›eutanasia infantile nella Germania nazista dal 1940 al 1945 ). Il nome deriva dalle cave della vicina Ottakring, che venivano chiamate Steinhöfe (inglese: cantieri di pietra). L’area apparteneva alla Bassa Austria, ma fu assegnata al 14° distretto di Vienna, Penzing, dopo l’Anschluss dell’Austria alla Germania nazista nel 1938 si trattava di uno degli istituti psichiatrici più grandi e generosi d’Europa. Dopo l’Anschluss dell’Austria al Terzo Reich nel 1938, Steinhof divenne uno dei punti focali della guerra interna del regime nazista contro i pazienti psichiatrici e le persone con disabilità mentale. Tra il 1940 e il 1945, nell’ambito del programma di “eutanasia infantile”, nello Steinhof esisteva un cosiddetto “reparto speciale per bambini” chiamato Am Spiegelgrund, dove persero la vita circa 800 bambini e giovani. Ai matti hai voluto restituire la dignità d’essere uomini Per 70 anni migliaia di uomini e donne furono rinchiusi e destinati a morie senza libertà. Cosa è rimasto di dopo 100 anni dalla tua nascita? E dopo 50 anni dalla nascita degli eventi? A Trieste nessuna via o piazza hanno intitolato a tuo nome Tu avevi 24 anni quando sei arrivato a Trieste. Eri Nato a Venezia nel 1924. Ti trasferisti in seguito per studiare medicina presso l’Ateneo di Padova, dove frequentasti anche un gruppo di studenti antifascisti e per questo, dopo la denuncia di uno di questi, fosti arrestato e detenuto per alcuni mesi nelle carceri della Repubblica Sociale Italiana.[6] Con la fine della seconda guerra mondiale entrasti nel Partito Socialista Italiano[ 7] e nel 1949 conseguisti la laurea. Durante il periodo universitario ti curasti esclusivamente degli studi in medicina ma segusti anche altri interessi, che in seguito ti avrebbero notevolmente influenzato. Approfondì temi filosofici e leggesti autori fondamentali dell’esistenzialismo e della fenomenologia come Jean- Paul Sartre, Maurice Merleau-Ponty, Edmund Husserl, Martin Heidegger e Ludwig Binswanger.[8] Ti sei specializzato nel 1953 in malattie nervose e mentali presso la clinica neuropsichiatrica di Padova e nello stesso anno hai sposato Franca Ongaro, dalla quale hai avuto due figli, Enrico e Alberta. Con lei hai collaborato a lungo nella stesura di alcuni suoi testi sulla psichiatria. Nel 1958 ottenesti la libera docenza in psichiatria ed iniziasti subito ad incontrare resistenze nel mondo accademico per le tue idee. Così tre anni dopo rinunciasti alla carriera universitaria e ti tra- sferisti a Gorizia per dirigervi l›ospedale psichiatrico. Questa decisione fu influenzata da motivazioni politiche e scientifiche. L›impatto con la realtà del manicomio fu durissimo. Come preparazione eri vicino alle idee di Karl Jaspers, Eugène Minkowski, Ludwig Binswanger, ma anche a quelle di Michel Foucault e Erving Goffman. Dopo alcuni viaggi all’estero, compresa una visita alla comunità terapeutica di Maxwell Jones. Tentasti di realizzare a Gorizia quanto Jones aveva cominciato a fare da dieci anni in Inghilterra, cioè modificare la struttura rigida e gerarchica dell’ospedale psichiatrico, caratterizzata da rapporti di tipo verticale, in un’organizzazione più aperta ed orizzontale, rendendo paritario il rapporto fra gli utenti-pazienti e gli operatori sanitari. Questo comportava l’eliminazione della contenzione fisica, delle terapie con elettroshock e dei cancelli chiusi nei reparti. L’approccio avrebbe dovuto essere spostato nel rapporto umano con l’aiuto di sole terapie farmacologiche. In tal modo chi si trovava nelle strutture sanitarie doveva diventare persona da aiutare e non da recludere o isolare. La trasformazione dell’ospedale psichiatrico si rivelò difficile da far accettare alla città. All’interno dell’ospedale psichiatrico allestisti laboratori di pittura e di teatro, una cooperativa di lavoro tra i pazienti in modo da permettere loro svolgere lavori riconosciuti e retribuiti. Il manicomio andava chiuso, sostituito da una rete di servizi esterni per l’assistenza delle persone affette da disturbi mentali. L’approccio psichiatrico andava modificato perché senza comprendere i sintomi della malattia mentale non era possibile mantenere un ruolo nel processo che finiva per escludere il malato mentale, come prevedeva il sistema istituzionale. A Trieste dovevi ambientarti in un contesto completamente diverso da quello del sud da cui provenivi, Città asburgica e poi patriotticamente italiana, accogliente e distante nello stesso tempo. E sentivi che propria accanto vi era quel confine che come tutti i confini del mondo tendeva ad isolare, a demarcare, a creare distanze e spesso incomprensioni e tensioni. E’ comunque forse la città ideale e per accogliere delle idee diverse proprio perché è stata sede è anche la città dove confluiscono idee diverse ed esperienze diverse e questo ne fa terreno ideale per i cambiamenti. Che cosa avevi trovato nel “frenocomio”? 1200 degenti, alcuni di loro rinchiusi la dentro fin da bambini, e anche dei profughi sfollati dall’Istria. E tu che fai nel 1975 apri il primo centro di Igiene mentale. Qualcosa di innovativo, mai visto. Contemporaneamente i primi malati li dimetti scateni gli operatori sanitari alla ricerca di qualche appartamento cove farli abitare per poi assisterli fuori dalle mura del Ospedale psichiatrico. E queste case in genere si trovano nei quartieri popolari dove abitano operai. Ma tu avevi fatto anche un’altra cosa incredibile. Avevi fatto costruire un cavallo blu, di legno e cartapesta e lo avevi fatto andare per le strade della città. Gonfio dei desideri dei reclusi. Il 25 febbraio 1973 era una domenica di festa per l’Ospedale psichiatrico di Trieste. Un cavallo azzurro di legno intrecciato e cartapesta viene portato in corteo oltre i cancelli della struttura. «Marco Cavallo comincia il suo viaggio per il mondo» scrivono in un manifesto dell’iniziativa: un laboratorio artistico inventato giorno per giorno, tenuto teso e vivo dalla partecipazione aperta di artisti, pazienti, medici, infermieri e cittadini. Ma Marco Cavallo è prima di tutto un cavallo vero che vive nel manicomio di Trieste e trasporta su e giù un carretto per la biancheria. Qualche anno prima, una petizione nata all’interno dell’ospedale aveva impedito che la mascotte fosse abbattuta riuscendo a mantenere in vita il cavallo, trasferito poi in Friuli. È il ricordo di questa presenza, diffuso nella comunità ospedaliera, che ispira la forma della cosa da realizzare nel laboratorio artistico permanente. «Venite e fate quello che volete. Potete usare un reparto che adesso è vuoto. Inventate», era stato il mandato di Basaglia, allora direttore dell’O.P.P. di Trieste. La storia della “liberazione” dell’Ospedale San Giovanni è una rivoluzione che passa per dei piccoli gesti di sovvertimento della norma. Come scrive Franca Ongaro Basaglia, attraverso «le cose minute che passo passo si modificavano »: riverniciare una parete, sostituire i mobili bianchi con altri colorati, rompere i segni esteriori della distinzione, eliminando i camici bianchi e quelli grigi e permettendo a tutti di vestire abiti borghesi. Alla base c’è l’esigenza di fare grande – scrivono nella traccia di lavoro del progetto – portando i partecipanti a misurare sé stessi in una dimensione «inusitata e sorprendente ». Le attività durano due mesi prima che Marco Cavallo sia effettivamente pronto a varcare il cancello dell’O.P.P. per raggiungere la scuola elementare De Amicis nel rione San Vito. Ad aspettare il corteo c’è una festa di quartiere, popolare, aperta alla cittadinanza. Scabia racconta nel dettaglio le sensazioni legate a quel momento di attraversamento della soglia. Ricorda la folla all’esterno, il corteo di macchine al seguito della figura portata a traino da un camion, le bandiere e i tamburi festosi. Trieste è semivuota, le serrande chiuse comunicano ostilità nonostante la città sia tappezzata di volantini che annunciano l’iniziativa. Scrive Scabia nella sua cronaca: «è come se il muro che il cavallo ha dovuto rompere per uscire dal manicomio ce lo portassimo addosso». Si smonta il manicomio La legge 180 del 13 maggio 1978 è il frutto di una lotta – scrive Basaglia – di un furore pratico contro l’istituzione. È una svolta legislativa determinata in primo luogo da esperienze pratiche come quella di Marco Cavallo, che è un esempio iconico, che portano questa novità fondamentale: il riconoscimento dei diritti dell’uomo, sano e malato che sia; il superamento del concetto giuridico della “pericolosità” del paziente psichiatrico e di conseguenza della necessità della “custodia”. Per citarne soltanto alcuni Si riportano alla luce gli archivi, si interrogano i documenti e le persone depositarie di quelle storie, si cerca di costruire significati nuovi e contronarrazioni. «Tutto ha inizio con un no» – scrive Franca Ongaro nell’Istituzione negata – con un no alle etichette che definiscono ciò che è normale da ciò che non lo è. Marco Cavallo è un simbolo di libertà di espressione, dialogo e di riappropriazione del “fuori” da parte di chi sta “dentro” qualsiasi forma di muro che contiene e nasconde. Tu sei comparso in un momento particolarmente buio tra dopo guerra e anni 70. La cura delle malattie mentali e psichiatriche aveva più a che fare con pratiche medioevali rozze inquietanti che con reali pratiche di aiuto o di recupero delle persone affette da disturbi mentali tu hai avuto il grande merito di aver fatto cambiare la prospettiva della gente sul concetto di malattia mentale il tuo messaggio scientifico sociale etico hanno poi cambiato anche il modo di pensare dei medici degli infermieri degli psicologi hai trasformato il vecchio concetto di curare malato mentale con isolamento e sull’uso di pesanti terapie farmacologiche e fisiche finalizzati al contenimento dei comportamenti fastidiosi per la società. Per aver aderito alla sinistra liberale non eri ben visto dai tuoi colleghi sia per la tua militanza politica che per le idee rivoluzionarie in tema di psichiatria per questo le ostilità in ambiente universitario a Gorizia in ospedale psichiatrico a diretto contrasto con i malati ricoverati. Oltre a quello detto prima i comportamenti nei confronti dei pazienti erano inumani perche non considerati in difficoltà e meritevoli di attenzione ma bisognava isolare controllare reprimere sedare e nascondere al resto della società. Dovevi sostituire con qualcosa di efficace la sedazione costante con farmaci, la contenzione a letto dei malati, le punizioni, con una relazione di vicinanza emotiva empatica centrata su concetto di persona fino ad arrivare alla fondazione nel 1973 del movimento di pensiero “Psichiatria democratica”. La tua lotta quotidiana senza mai scoraggiarti ti portò a quel risultato eccezionale nel 1977 la chiusura del ospedale psichiatrico di Trieste La tua legge, la legge Basaglia precisamente L n 180 del 13 maggio del 1978 porterà alla chiusura dei Ospedali psichiatrici e alla istituzione e negli ospedali generali di reparti di psichiatra, e poi a creare case di aiuto e supporto per i pazienti e le famiglie e poi i centri di salute mentale con ambulatori. Hai restituito dignità e scientificità all’approccio dei disturbi mentali. I pazienti da allora in poi diventano persone da ascoltare, da comprendere, da accogliere. Finita l’era nella quale nei manicomi si ricoveravano persone ritenute pericolose, diverse, o in ogni caso da escludere o rinchiudere. Infatti la stretta connessione tra patologia psichiatrica e pericolosità era l’idea preminente dell’epoca; il malato era visto come un folle pericoloso per sé e per gli altri per cui la società si giustificava nell’usare i giusti mezzi. In Italia la malattia psichiatri si faceva risalire a tare organiche (teoria organicistica) immodificabili; non si pensava che le condizioni sociali o ambientali potessero avere un impatto sulla psiche: allora restrizione coercizione fisica e morale riduzione al minimo dei movimenti utilizzando muri e cancelli,fili spinati cinghie di cuoio e camicie di forza, carcerieri e cloroformio negli anni 30 nuove tecniche per calmare le crisi acute elettroshock, la malarioterapia, l’insulinoterapia. Medici e infermieri sembravano più dipendenti della pubblica sicurezza che della sanità. I malati erano privi della minima dignità. “La psichiatria è una lente d’ingrandimento, uno specchio che dice molto sia sull’animo umano che sullo stato di una società”, così parla Nicolas Philibert. “Si incontrano persone sofferenti di ogni tipo, esseri fragili e sensibili che si muovono nella vita come se camminassero su un filo sospeso. Parlando con loro, possono costringerci a guardare in faccia le nostre verità, metterci all’angolo o condurci in terre dove non avremmo mai pensato di mettere piede. Ci è voluto del tempo per ammetterlo, ma se queste persone mi toccano così tanto, è perché mi costringono ad affrontare me stesso e le mie vulnerabilità”. © Riproduzione riservata

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