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Il terremoto di Messina del 1908, disastro fisico e amministrativo Conferenza all’Aneb di Molfetta del prof. Giuseppe Cannizzaro
15 luglio 2024

Il giorno 6 giugno 2024, presso la sede dell’Aneb (Associazione Nazionale Educatori Benemeriti) di Molfetta, si è svolta una conferenza sul tema “Il terremoto di Messina del 1908 - disastro fisico e amministrativo”. Il Presidente Aneb, prof. Michele Laudadio ha introdotto la serata presentando il relatore, prof. Giuseppe Cannizzaro e le lettrici, socie Aneb, Carmela Germinario e Anna Mosca, chiamate a leggere alcuni toccanti brani sul tragico evento. Il tema, particolarmente drammatico, è stato trattato con intensità e commozione dal relatore di origine siciliana, vissuto a Messina e testimone indiretto dell’evento, avendo raccolto i ricordi pieni di pudore e riserbo del nonno e quelli della nonna intrisi di dedizione assoluta alla regina Elena, descritta come bella, buona, soccorritrice degli afflitti e ogni altro attributo positivo che si possa immaginare. Sul ruolo dei regnanti e del governo di allora presieduto da Giovanni Giolitti, il prof. Cannizzaro ha espresso delle riserve che sono state chiarite in seguito attraverso fatti e documenti. Dunque la città di Messina, fiorente porto commerciale già dall’antichità per la sua posizione strategica e per la particolare conformazione del porto protetto da una lingua di terra a forma di falce (Zancle), impoveritosi dopo l’Unità d’Italia a causa dei pesanti dazi doganali imposti dal governo, la notte del 28 dicembre del 1908 fu colpita da una tremenda scossa sismica di inaudito grado di intensità, l’11° della scala Mercalli. La sera prima la Messina bene aveva assistito alla rappresentazione dell’Aida presso il teatro cittadino. Tutti, ricchi e poveri, si erano ritirati nel calore delle proprie case per dormire. Era inverno, nei giorni successivi al Natale. Nella notte, alle 5.20.27 del mattino, per 40 secondi, la città fu squassata dalla furia distruttrice del terremoto, una scossa brevissima ma di un’intensità tale da uccidere subito 80.000 persone e abbattere il 91% degli edifici della città. Il bilancio delle vittime fu molto più tragico, forse 150.000, gli uffici anagrafici andarono distrutti e non se ne poté mai fare il conteggio esatto. Molti morirono nei giorni successivi sotto le macerie dopo aver invano con grida e lamenti chiesto soccorso. Il Presidente del Consiglio, Giovanni Giolitti, sottovalutò i primi dispacci sulla catastrofe giunti nella mattinata del 28, attribuendoli all’attitudine dei meridionali a lamentarsi. Solo più tardi il comandante della torpediniera Spica riuscì ad inviare il primo messaggio ufficiale: affrontando il mare grosso da Messina riuscì a raggiungere il porto di Marina di Nicotera dove trovò un telegrafo funzionante e di lì alle ore 14,50 inviò un telegramma urgente in cui si informava il governo dei fatti e si chiedevano soccorsi per sgombero macerie, vettovagliamenti, assistenza ai feriti. Riconosciuta la gravità della situazione, in serata venne convocato il Consiglio dei Ministri che finalmente si attivò a prendere i primi provvedimenti. Il Ministro della Marina ordinò alla flotta italiana che era in navigazione nelle acque della Sardegna di dirigersi verso la zona interessata dal sisma. La corazzata Vittorio Emanuele invece si diresse verso il golfo di Napoli per imbarcare i reali che volevano vedere di persona cosa fosse accaduto. La flotta italiana arrivò a Messina il 30 dicembre, collocandosi in terza fila dopo le navi russe e quelle inglesi. Infatti già il 29 dicembre i primi soccorsi erano stati prestati dagli equipaggi delle navi russe che, alla fonda nel porto di Augusta, dove si trovavano per un’esercitazione nel Mediterraneo, senza attendere l’autorizzazione di Mosca, intervennero prontamente dirigendosi a Messina. I marinai russi si distinsero per generosità, altruismo e capacità di organizzare gli aiuti in modo efficace come testimonia l’articolo “Marinai di Russia” di Matilde Serao: “Gemevano sotto le pietre di sepolti vivi, gridavano, agonizzavano. Per un intero giorno non una mano, non una parola, non un atto di soccorso, nulla, nulla, l’abbandono, l’agonia, la morte. Ad un tratto degli uomini sono apparsi, venendo dal mare, scendendo da una nave, avanzando tra le macerie, scavalcando le montagne di pietre e di calcinacci, per soccorrere i messinesi… Erano naviganti, ufficiali e marinai, si sono messi ad estrarre i sepolti vivi, si sono messi a raccogliere i feriti, a cercare di medicarli, si sono messi a confortare i moribondi, a chiudere gli occhi ai morti. In questa opera coraggiosa e pietosa essi hanno portato l’impegno più santo e la delicatezza più profonda”. I superstiti e i feriti, portati sulle navi russe, venivano trasferiti a grande velocità nei porti di Palermo e di Napoli e ricoverati negli ospedali. Questa attività incessante durò per sei giorni continui senza tregua, senza risparmio fino a quando la flotta russa non fu congedata in malo modo dal generale Francesco Mazza, nominato da Vittorio Emanuele III commissario straordinario della città di Messina per coordinare le operazioni e per reprimere gli episodi di sciacallaggio che si verificavano sempre più numerosi in città. Intanto le navi da guerra italiane, trasformate in ospedali, facevano la spola con Napoli ed altre città costiere, occupandosi oltre che dei feriti, di trasferire le truppe provenienti da diversi reparti dell’esercito a Messina. I soldati giunsero in assetto di guerra nella città, posta in stato di assedio, con 10.000 fucili e 100 cannoni, attrezzati per sostenere una campagna militare contro i messinesi, senza vettovaglie e generi di necessità sufficienti, pronti ad arraffare quello che potevano sottraendolo ad una popolazione così duramente colpita. Il comportamento del generale Mazza nella gestione dell’emergenza fu molto criticato dalle cronache del tempo che lo descrivono come poco attento ai bisogni della popolazione con cui non aveva contatti, impartendo i suoi ordini dal lusso della sua nave, preoccupato più di mettere al sicuro oro, denaro e beni di valore che di salvare, sfamare ed offrire un riparo ai terremotati, colpevole di una pessima gestione dei cospicui aiuti umanitari provenienti da ogni parte del mondo. Ben presto anche i soldati italiani si resero responsabili di quegli atti di sciacallaggio che avrebbero dovuto reprimere, compiendo ruberie senza pudore e sotto gli occhi di tutti. Il comportamento crudele , insensibile e sconsiderato dell’esercito italiano e del commissario Mazza venne stigmatizzato in modo sferzante da Giacomo Longo nell’introduzione al suo libro “Il duplice flagello“: “Dedico all’insipienza e all’inettitudine del governo italiano tutto l’odio mio e al generale Mazza gli scatti impetuosi di una eterna maledizione… al suo cuore, ritratto singolare del cuore di Giolitti, dedico a perenne supplizio, l’agonia lenta di centinaia e centinaia di feriti lasciati a morire sulla banchina del porto, ai 10.000 uomini di truppe, venute in pieno assetto di guerra per costituire il vero disastro, io dedico il ricordo vergognoso della loro opera vandalica, a voi Giolitti dedi-co la nostra gioia per non avervi fin qui veduto. L’espressione “non capire una mazza”, cioè non capire niente, è il modo più colorito di sfregio della popolazione messinese verso il generale Mazza. Per concludere il doloroso capitolo della mala gestione dei cospicui fondi umanitari elargiti da tutte i Paesi del mondo alla città di Messina, bisogna ricordare che parte di quei fondi fu stanziata da Giolitti per pagare la campagna elettorale dell’allora sindaco di Roma e per finanziare la guerra di Libia. Distruggere anziché ricostruire. La città di Messina fu rasa al suolo con la dinamite e arsa col petrolio, tranne i pochissimi edifici rimasti in piedi. Si sarebbe potuto fare un restauro conservativo, ma si preferì la tabula rasa e la città oggi ha del tutto perso il fascino e quel sentore di cultura e di bellezza che aveva in passato. Gli abusi edilizi hanno fatto il resto con buona pace di tutti. La conferenza ha toccato molti altri temi di grande interesse: Le spiegazioni geologiche del sisma basate sulla teoria della tettonica a zolle. Lo tsunami che seguì il sisma e che coinvolse molti paesi della costa, risparmiando Messina per la particolare conformazione del suo porto. L’impegno di Giuseppe Micheli, l’antimazza, che, venuto da Parma con un sostanzioso assegno della Cassa di risparmio di Parma, attivò alcuni servizi essenziali, quali le Poste e il telegrafo, fece costruire un nucleo di baracche, centro di aggregazione per gli sfollati, si impegnò ad ottenere le autorizzazioni per gli scavi, anticipando le modalità di azione della moderna Protezione Civile. La vicenda di Gaetano Salvemini, docente presso l’Università di Messina, che si salvò rimanendo aggrappato ad una tenda del suo appartamento al quarto piano di uno stabile in piazza Cairoli al civico 141, mentre tutto intorno a lui rovinava e tutta la sua famiglia periva sotto le macerie. Racconta che per tutta la vita guardò il volto e gli occhi dei suoi allievi dell’università per riconoscere nel loro sguardo e nel loro viso lo sguardo e il viso di uno dei suoi figli, Ugo, il cui corpo non fu mai ritrovato. L’omaggio di Salvatore Quasimodo al padre Gaetano che, in qualità di capostazione, fu costretto a trasferirsi con la famiglia a Messina per ripristinare la rete ferroviaria distrutta dal terremoto. La relazione è stata arricchita da moltissime immagini di foto e giornali d’epoca e dalla commovente lettura di brani letterari e documenti svolta magistralmente dalle socie, Carmela Germinario e Anna Mosca. Il presidente Michele Laudadio ha omaggiato con fiori le lettrici e con un libro il relatore che ha anche ricevuto in dono dal direttore della rivista mensile “Quindici”, Felice de Sanctis, il suo libro “Prima pagina e dintorni”. © Riproduzione riservata

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