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Il ricatto
15 ottobre 1999

Si è conclusa, per fortuna, positivamente per la città una fase critica, che avrebbe potuto portare allo scioglimento del consiglio comunale e a danni economici rilevanti per l’intera comunità (anche per questo “Quindici” esce volutamente in ritardo per aggiornare i lettori sulle ultime vicende, che avrebbero potuto portare a nuove elezioni). La pretesa di alcuni consiglieri comunali di utilizzare l’arma del ricatto per ottenere maggiore visibilità (sono circolate voci anche di richieste di poltrone o altro) è stata sconfitta, ma comunque resta una brutta pagina nella storia del centro-sinistra nella nostra città. Risibili appaiono le motivazioni del dissenso: si va dalla mancanza di politica “verde” per Pino Amato allo scarso coinvolgimento dei consiglieri nella gestione della città da parte di Onofrio Caputi del Ppi. Le motivazioni di Angione, sempre muto come un pesce, o di Sergio Azzollini non sono state espresse pubblicamente e ciò fa pensare che non esistessero o fossero talmente insignificanti. Chi, invece, è venuto allo scoperto con una sorprendente filippica contro il sindaco, è stato Tommaso Minervini, della componente laburista dei Ds, il quale ha fatto riferimento a cupole mafiose, a manipolazione delle coscienze e della stampa. Il suo discorso apparirebbe ridicolo se non fosse per il fatto che lo stesso Tommaso sembra prendersi sul serio, pur sostenendo tesi assurde. Ha dato l’impressione di credere di essere l’eroe predestinato a salvare la città dal “tiranno” e a lanciare un messaggio di libertà ai giovani: “se anche un solo giovane di sinistra si ribellerà, sarò soddisfatto”. E’ incredibile. Poi ha un’idea confusa della democrazia, soprattutto quando attacca la stampa “manipolata dal sindaco”. Forse non ricorda che la stampa è il primo baluardo della democrazia, tant’è che è la prima ad essere soppressa quando sale al potere un dittatore. Per quanto ci riguarda non ci sentiamo manipolati da nessuno, per noi parla la nostra storia di uomini liberi e onesti intellettualmente e moralmente e parla la storia di “Quindici” un giornale che ha sempre dato spazio a tutti, anche a lui, pur conservando il diritto di avere ed esprimere le proprie opinioni. Questa è la democrazia, che è anche rispetto degli altri, soprattutto di chi non la pensa come noi. Chi non vuole accettarne le regole, non può poi ergersi a paladino di una democrazia tagliata a sua misura. Le regole devono valere per tutti, anche per se stessi non solo per gli altri, come pretende Minervini. Al termine del consiglio comunale del 12 ottobre, dopo aver sentito Annalisa Altomare e Pino Amato abbiamo chiesto anche a lui di esprimere le sue opinioni, di fare una dichiarazione. Si è rifiutato. Tommaso Minervini ha rivolto accuse pesantissime alla giunta e al sindaco: allora, se ha le prove, le tiri fuori o le mandi alla magistratura, altrimenti taccia, se non vuol fare demagogia. In conclusione è bene ricordare cosa sarebbe accaduto in caso di scioglimento del consiglio comunale. Il commissariamento avrebbe significato la paralisi per almeno un anno, col rischio di perdere le occasioni di sviluppo e riportare la città indietro, quando faticosamente stava recuperando terreno dopo la paralisi provocata dalle passate amministrazioni. Basti un esempio per tutti: la zona artigianale, rimasta un deserto per anni, mentre ora si sta rapidamente popolando, con la nascita di aziende che creano anche lavoro. Altro che critiche ai patti territoriali, con l’accusa di non aver favorito la nascita di aziende di grosse dimensioni. Qualcuno dimentica che il tessuto produttivo locale è fatto di piccole-medie aziende e poi, forse, non sa che la scelta delle imprese meritevoli di finanziamento non è fatta dal Comune, ma dalle banche, le quali privilegiano solo chi presenta progetti fattibili e fornisce garanzie reali. Con lo scioglimento sarebbero stati paralizzati una serie di progetti che stanno per diventare operativi: “Agenda 2000” con 14.400 miliardi da ripartire nelle aree di obiettivo 1 che non possono essere predisposte dal commissario, un burocrate che non conosce la città e i suoi bisogni, rischiando di farci perdere l’ultimo treno per l’Europa; il Piano regolatore generale e l’edilizia residenziale pubblica, in arrivo dalla Regione, con la possibilità di risolvere il problema della casa: chi si potrà prendere la responsabilità di stralciare o includere aree di territorio comunale nel Prg?, non certo un burocrate; l’art. 51 che avvierà l’iter per il rilancio del mercato edilizio, con espropri, assegnazioni, convenzioni, che non può certo fare un commissario; i patti territoriali e i Prusst, oltre agli altri strumenti di finanziamento delle imprese, che hanno bisogno di coordinamento strategico; lo sviluppo della zona Asi e di quella artigianale con l’interesse da parte anche di aziende del Nord, insediamenti che vanno seguiti non certo con l’ordinaria amministrazione commissariale, perché le imprese non possono aspettare i tempi lunghissimi della politica (nuove elezioni, nuovo sindaco e giunta che avrebbero avuto bisogno di mesi di rodaggio), e potrebbero privilegiare altre zone per gli insediamenti produttivi; scelta fra l’adesione all’area metropolitana di Bari o alla sesta provincia del nord barese, una decisione importante e imminente, perché già nella legge finanziaria 2000 verranno previsti i necessari finanziamenti. Ecco quello che si sarebbe perduto con l’irresponsabile decisione di arrivare allo scioglimento del consiglio. Lo sanno tutti quelli che hanno messo a rischio la giunta? In questi casi non esiste il colore politico, occorre operare tutti insieme, maggioranza e opposizione. Una città non può vivere sotto l’incubo di un ricatto politico, non si possono buttare a mare interessi generali, rischiando la paralisi per almeno altri 10 anni, per futili motivi di “visibilità”. I protagonismi non servono, solo un lavoro collettivo di successo può dare visibilità a tutti. Col protagonismo spinto alle estreme conseguenze, si perde tutti. Non possiamo accettarlo, né consentirlo, per il futuro dei nostri figli.
Autore: Felice de Sanctis
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