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Il paese dei balocchi Corsivi
15 febbraio 2000

E siamo a tre, a Molfetta e “Molfetta vecchia” si affianca “Molfetta finta”, si potrebbe tranquillamente chiamare così questa specie di centro commerciale più parco divertimenti. Non contenti di costruire alla periferia della nostra città questo megacomplesso esteso su 260 mila mq. e dal costo di 150 miliardi, i Paperoni della “Alfa Uno”, lo vogliono in pratica identico al centro antico, non si capisce se perché rapiti dalla bellezza del Torrione Passari (ma ci sarà anche quello?) o se per darsi una vaga giustificazione culturale. Naturalmente senza quegli antiestetici puntelli e quell’obbrobrio di solai crollati, che potrebbero turbare la vista dell’allegra famigliola giunta lì per una sana giornata di svago e divertimento: acquisto di un Valentino di quattro anni fa, una puntata al Totip, un giochino elettronico, un film, rigorosamente americano o dei fratelli Vanzina, che solo questi hanno accesso nelle multisale, e uno spuntino al ristorante messicano, si torna più leggeri nel portafoglio e nello spirito. Come ha orgogliosamente affermato il presidente dell’Alfa Uno, Mario Dora, è il bengodi, dove tutti sono felici e soddisfatti, dove tutti i desideri posso essere realizzati, purché si paghi. Ma noi lo volevamo questo “paese dei balocchi”? Si potrebbe proporre anche questo nome, che farebbe da magnifico pendant al bengodi, molto più adatto di quello ufficiale di “Parco permanente attrezzato di Molfetta con connesse funzioni per il tempo libero e attività culturali e ricreative”. Negli ultimi due programmi elettorali comunali, quello del ‘94 e del ‘98, non se trova traccia. C’era la valorizzazione dei prodotti locali, l’incentivo alla piccola industria, l’attrazione di un turismo che puntasse ai beni culturali, del bengodi non una parola. Certo le cose sono cambiate, nel ‘94 forse non si parlava ancora di globalizzazione, sempre il signor Dora porta ad esempio l’America, è lì che questo luogo, mix di vendita e divertimento, è nato. Diciamolo allora, è l’America il nostro mito, ma appena un paio d’anni fa non s’era fatto un gran parlare del “pensiero meridiano”, dell’orgogliosa difesa dei nostri modelli di vita e di sviluppo? Abbiamo già svenduto il Mediterraneo per Las Vegas? E’ vero, ci sono in vista 700 nuovi posti di lavoro e, con la disoccupazione che c’è, chi se la sente di dire no? E una cifra che abbaglia, anche se riguarderà in prevalenza commessi, camerieri e di assistenti di giochi, in una città che ha una delle più alte percentuali di laureati del Sud. Ma qualcuno ha fatto il calcolo dei costi? Che fine faranno attività commerciali e ricreative esistenti, che non potranno certo reggere la concorrenza di una struttura così potente? Ma soprattutto che ne sarà della Molfetta vera, non di quella ricreata in vitro, che pare tanto quella del film “The Truman show”? Il vero centro antico, inevitabilmente sempre più abbandonato, che attrattive potrà proporre? Allo stato delle cose non è materializzata in nessun’iniziativa concreta la possibilità di creare sinergie fra le due “molfette”. I visitatori attratti dal bengodi, da questo “sano divertimento per famiglie”, non si capisce perché dovrebbero sentire l’esigenza di venire in centro, di fare una passeggiata a Corso Umberto. L’economia chiama e Molfetta risponde, senza opporre troppa resistenza. Le ragioni del mercato, così pressanti, non inducono alcuno a chiedersi cosa resterà della nostra città e soprattutto se è questa la cultura in cui crediamo. Cultura, sì la parola è decisamente anacronistica davanti a 150 miliardi pronta cassa. Questo lo svago e il divertimento, spendere e spendere fra mille attrazioni. E l’auditorium non basta a bilanciare una scelta di campo netta, soffocato in questa cattedrale del consumismo. No, nessuno si è posto troppe domande, ahimè, non se le è poste soprattutto la politica, che cede così volentieri il passo all’economia, e fra destra e sinistra non ci sono davvero differenze. Almeno è quello che si è visto in Consiglio comunale, appena qualcuno ha avanzato un timida e rispettosa riserva, il signor Mario Dora ha fatto sventolare i suoi 150miliardi e minacciato di andare a costruire il centro da qualche altra parte, riducendo tutti al silenzio. E a che serve la politica se non può dare un indirizzo, se non può porre dei paletti? E’ vero che nel “paese dei balocchi” di politica non s’è mai parlato e nemmeno nella città di Truman, tutti a mangiare messicano, (addio tradizioni culinarie), a comprare vestiti e a giocare, felici e contenti o semplicemente anestetizzati. Lella Salvemini
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