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Il lavoro e il capitale umano, il libro di Vattimo, de Palma e Iannantuono
11 novembre 2012

MOLFETTA - Una riflessione interdisciplinare sulle tematiche del lavoro. Così si potrebbe descrivere il libro «Il lavoro perduto e ritrovato»a cura di Gianni Vattimo, Pasquale Davide de Palma e Giuseppe Iannantuono, che sarà presentato martedì 13 novembre alle ore 15 alla Sala delle Lauree "G. Contento" (Facoltà di Giurisprudenza).
Interverranno il prof. Corrado Petrocelli, il prof. Nicola Costantino, il prof. Giancarlo Tanucci, il prof. Tommaso Germano, la dott.ssa Amelia Manuti. Introdurrà il moderatore prof. Gaetano Veneto, mentre Gianni Vattimo, filosofo e professore emerito di Filosofia teoretica all’Università di Torino, concluderà l’incontro.
Il tema della qualità umana del lavoro è posto al centro del volume. Infatti, nell’era del post-global la vera ricchezza di un’azienda è il suo capitale umano, che merita di essere valorizzato sia attraverso lo sviluppo delle capacità e competenze di ciascuno, sia promuovendo un miglioramento complessivo della qualità della vita di tutti coloro che sono coinvolti nella vita dell’azienda. All’interno del testo, questa tematica sarà affrontata da Alain Ehrenberg, Alessandro Casiccia, Riccardo Del Punta,Gaetano Veneto, Diego Fusaro, Gianfranco Dioguardi, Alessandro Cravera, Franco Debenedetti, Gianfranco Rebora, Amelia Manuti, Maurizio Agnesa, Luca Valerii, Vincenzo Spaltro.
 
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La breve lista degli intellettuali che hanno contribuito concretamente al miglioramento della civiltà comprende senza dubbio Adam Smith. Smith ha contribuito in modo decisivo allo sviluppo del mondo moderno. Nel suo libro “La ricchezza della nazioni”, Smith si è spinto molto oltre le idee dei suoi predecessori, elaborando una teoria globale sul funzionamento dei sistemi economici che allora stavano muovendo i primi passi. Con la sua opera ha sostenuto alcuni dei cambiamenti dell'organizzazione sociale destinati a elevare significatamente gli standard di vita delle popolazioni mondiali. Smith visse nel periodo in cui le forze di mercato stavano iniziando a erodere le rigidità di ciò che rimaneva delle pratiche feudali e medioevali e del mercantilismo che le seguì. Sulla scia delle idee e degli eventi della Riforma, che favorì il crollo del principio della monarchia per diritto divino, all'inizio del XVIII secolo iniziò a delinearsi la concezione dell'indipendenza di azione degli individui dai vincoli ecclesiastici e statali. Per la prima volta i concetti moderni di libertà politica ed economica stavano iniziando a prendere piede. Queste idee, associate al periodo dell'Illuminismo, soprattutto in Inghilterra, Scozia, e Francia, diedero vita alla visione di una società in cui gli individui guidati dalla ragione erano liberi di scegliere il proprio destino, liberi da vincoli e usi repressivi. Ciò che oggi conosciamo come “principio di legalità” (ossia la protezione dei diritti degli individui e delle loro proprietà) iniziò a diffondersi, spingendo le persone a intensificare i propri sforzi sul fronte della produzione, del commercio e dell'innovazione. Iniziò a svilupparsi un nuovo sistema d'impresa che, nonostante apparisse sconcertante per complessività e conseguenze, sembrava possedere un grado di stabilità estremamente elevato, come se fosse guidato da una “mano invisibile”. Fu Adam Smith a identificare le serie di principi più generali che mise ordine nell'apparente caos delle transazioni del mercato. Nel 1776 Smith produsse una delle grandi opere della storia dell'intelletto umano: An Inquiry into the Nature and Causes of the Wealth of Nations. Il paradigma del mercato libero sviluppato da Smith rimane tuttora ampiamente valido. Smith giunse alla conclusione che, per promuovere il benessere di una nazione, ogni individuo, nel rispetto della legge, doveva essere “libero di perseguire il proprio interesse a proprio modo e di porre sia il suo lavoro sia il suo capitale in concorrenza con quelli degli altri individui”. “Non è dalla benevolenza del macellaio, del birraio o del fornaio che ci aspettiamo il nostro pranzo, ma dal fatto che essi hanno cura del proprio interesse”. L'individuo persegue egoisticamente il proprio guadagno personale, ma, è “guidato da una mano invisibile” che lo spinge a promuovere il bene pubblico, “che non rientra nelle sue intenzioni”. Quest'ultima affermazione è particolarmente sorprendente considerato che, per gran parte della storia dell'uomo, il fatto di agire nel proprio interesse (ossia, cercare di accumulare ricchezze) è stato percepito come deplorevole e, in alcuni casi, considerato illegale. “Qualunque sia il terreno, il clima o l'estensione del territorio di una nazione, l'abbondanza o la scarsità delle sue produzioni annua deve, in quella particolare situazione, dipendere dalle forze produttive dell'attività lavorativa”. Oltre due secoli di pensiero economico hanno aggiunto poco a queste intuizioni.
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