I rischi del federalismo. Iniziativa dell'Associazione Red a Molfetta
MOLFETTA - “Tutti ne parlano, ma pochi, soprattutto gli addetti ai lavori, ne conoscono il reale significato o addirittura ne hanno una visione distorta e lacunosa”: ancora il federalismo fiscale, questa volta materia di discussione nell'incontro-dibattito “Il federalismo e l'Italia, le questioni aperte”, promosso dall'Associazione Red, Riformisti e Democratici (che ha come riferimento l'on. Massimo D'Alema, tenutasi nell'aula consigliare. Un incontro di corrente, che ha visto una partecipazione a maggioranza di sinistra, cui hanno partecipato l'avv. Mino Salvemini, Capogruppo del Pd in Consiglio Comunale, il prof. Silvio Suppa, Ordinario di Storia delle dottrine politiche e Scienza Politica presso l'Università degli Studi di Bari e l'on. Enzo Lavarra, europarlamentare e coordinatore regionale Red Puglia (nella foto: Salvemini, Lavarra, Suppa).
Innanzitutto, si è cercato di dare una definizione di federalismo, quale organizzazione politica basata sulla separazione dei poteri a livello territoriale, delineando una serie di forme di federalismo: Mino Salvemini ha caratterizzato il federalismo cooperativo, come quello statunitense e tedesco, un federalismo per aggregazione e per associazione, dove gli enti del territorio rinunciano ad una parte della loro sovranità, ceduta ad un ente sovra regionale, ed un federalismo di devoluzione, quello che si vuole istituire in Italia, in cui è necessario stabilire un forte legame politico-economico tra le entità territoriali, per evitare la disgregazione dello stato unitario. Insomma, il rovesciamento della cosiddetta piramide residuale, in cui le competenze non promanano a cascata dallo Stato verso gli enti inferiori, ma da questi verso lo Stato, responsabilizzando le comunità sul loro destino.
L'intervento del dott. Salvemini è stato centrato su motivi dell'applicazione del federalismo fiscale nella Penisola, ricordando che già nel 2001 il governo aveva introdotto una riforma di tipo federale in materia finanziaria, che tuttavia non era stata applicata in modo efficace. Alla base di questa ulteriore riforma fiscale si innestano motivazioni politiche (il programma leghista), l'incedere della globalizzazione, che dimostra l'inefficienza ed insufficienza dello stato centralista, il processo di integrazione europea, la necessità di interrompere il processo di presidenzialismo e personalismo del potere statale (il decentramento politico), il fallimento delle politiche di riequilibrio territoriale, la moltiplicazione dei centri decisionali ed il mancato trasferimento delle competenze dopo la riforma del 2001. Ma si tratta di un decreto di legge molto vago, perché “al governo è affidato una delega in bianco in materia fiscale ed economica, senza criteri e principi direttivi - ribadisce Mino Salvemini – determinando una potestà lacunosa”. Infatti, in mancanza di un Senato federale, le Conferenze Stato-Regione saranno costituite da assemblee legislative, mentre quelle elettive non avranno valore decisionale, palesando un senso di ademocraticità ed annullando il rapporto con il territorio.
Gli aspetti più critici sono stati, invece, manifestati dal prof. Suppa, che annota come nel contesto internazionale il federalismo sia sinonimo di unità e, specialmente in questa congiuntura economica particolare, gli Stati tendano sempre più ad applicare politiche nazionali: al contrario, in Italia si vogliono minare le basi nazionali ed unitarie della Repubblica, accentuando la perdita dell'identità conflittuale e della capacità di configgere. Ad esempio, secondo il dott. Suppa “i problemi della Puglia in materia di sanità e di approvvigionamento idrico non possono essere risolti attraverso il federalismo, che annullerebbe la sussidiarietà e solidarietà regionale, ma solo attraverso politiche di cooperazione nazionale”: il federalismo è, insomma, una sconfitta per la Sinistra ed i valori condivisi che propone non sono altro che un inutile ed allarmante miraggio, che non risolvono le problematiche del Mezzogiorno.
Ne è emerso un quadro piuttosto delicato, dal momento che questo federalismo fiscale appare come una riforma parziale ed insufficiente per l'architettura istituzionale, senza risposte reali per ogni territorialità del Paese, che ha, dunque, bisogno di una risposta strutturale che non può essere garantita da un'unica e semplice redistribuzione della fiscalità. Occorre (e questa appare oggi una delle tante sfide cui deve far fronte il Mezzogiorno) una maturazione culturale e politica a partire dal basso, senza scadere nel tecnicismo per rompere gli schemi conservatrici.
Autore: Marcello la Forgia