MOLFETTA - Il fascino dei Gotan Project è innegabile, e alla fine anche il pubblico molfettese purista del genere non ha resistito alla sensualità e all'incrocio dei ritmi, tra vecchio e nuovo. I Gotan Project raccontano storie e musiche di origini cosmopolite, come i membri della band, in prevalenza franco-argentini.
La parola d’ordine è sedurre e intrattenere, in un vortice di suoni e immagini che spaziano da una smaliziata compagnia di cabaret del Novecento a un gruppo dub-trip hop. Questo è il loro tango, il "Tango 3.0" che dà nome al loro ultimo album, e che è stato presentato davanti a una gremita Banchina di San Domenico, e ha coinvolto anche chi, pur senza biglietto, ha potuto ascoltare il concerto dal porto di Molfetta, organizzato dalla Fondazione Valente e dal suo presidente Pietro Centrone con il Comune di Molfetta. Un concerto per tutti, in uno scenario incantevole, con un pubblico stripante che si è divertito e si è fatto coinvolgere ballando sulla banchina.
Lo spettacolo che ha mescolato presente e passato, tra tradizione e sperimentazione. Grazie alla loro capacità di tenere a galla atmosfere retrò e immaginazione, il cinema li ha cercati in più occasioni. Le loro musiche hanno già fatto da colonna sonora ai film "The Bourne Identity", "Ocean's 12", "Shall We Dance", e "Knight and Day” in uscita in questi giorni.
Philippe Cohen Solal, Eduardo Makaroff e Christoph H. Muller, supportati dalla cantante Cristina Villalonga, non hanno fatto mancare i pezzi che li hanno resi celebri, tra cui "Cuesta Abajo", "Epoca", "Divan", "Tango Square", celebrando la voglia di cambiare sonorità per non congelarsi nella dimensione standard del tango, fino a esperimenti su territori dub, electro e oltre.
A chiudere le danze "Inmigrante", dedicato ai migranti italiani in Argentina. Perché il tango, alla fine di un lungo viaggio, resta pur sempre una sensazione disarmante, la stessa sensazione portarono con se tanti poveracci in cerca di fortuna, belle donne e famiglie disperate nei bordelli e nelle osterie di Buenos Aires.
Un viaggio, tra fisico e spiritualità, che non ha mai trovato la sua quiete.
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