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Guglielmo Minervini: la sinistra non va oltre il 30% INTERVENTO - “Finalmente il dibattito”
15 settembre 2002

Caro direttore, finalmente il dibattito, direbbe il Nanni Moretti della prima ora. E' un po' tardi per la verità, nel senso che sarebbe logico discutere di quello che sta avvenendo oggi e del 'che fare' ora piuttosto che intrattenerci ancora su quello che ha fatto il centrosinistra quando ha amministrato. Ma, insomma, meglio tardi che mai. Nell'ultimo numero di Quindici ben tre articoli ci richiamano in causa. (Nella foto: Guglielmo Minervini) Ad Arcangelo Ficco, che con tenacia continua a contestare la logica delle alleanze perseguita nel corso dell'amministrazione del centrosinistra, bisognerebbe, per così dire, “imporre” di prendere coscienza dei dati elettorali degli ultimi dieci-quindici anni a Molfetta. Scoprirebbe che il consenso complessivo dell'area della coalizione non è mai riuscito ad andare significativamente al di sopra del 30%. Anche quando, nelle uniche due eccezioni, ha vinto le elezioni. Bisognerebbe poi suggerirgli di non rimuovere un altro duro dato di fatto: in una democrazia governante, per di più con un'ineludibile opzione maggioritaria (vince chi prende un voto in più), le idee incidono effettivamente sul corso delle cose solo quando ottengono il governo. La controprova devastante del governo Berlusconi è, da questo punto di vista, definitiva. Allora, se organizzare una nobile opposizione resta un diritto inalienabile per alcuni, al contrario, reagire, costruendo una credibile alternativa di governo, rimane l'ineludibile dovere degli altri. Il centrosinistra locale, su questo, deve essere chiaro. Altrimenti non si riparte. Ad Antonello Mastantuoni, che con la medesima tenacia continua a dissentire sulla scelta compiuta dal centrosinistra circa l'Asi e lo sviluppo produttivo bisognerebbe, invece, far osservare che giocare ad annullare le differenze significa negare la politica. Cioè alimentare il qualunquismo, l'idea che “tanto sono tutti uguali”. Per essere concreti. Una cosa è l'accordo di programma sull'insediamento turistico presso il Nettuno, verso il quale espressi un'iniziale consenso (ovviamente da riverificare nel corso del procedimento) perché pienamente conforme ai nostri indirizzi urbanistici e alle scelte del nostro PRG tranne che per il carico dei volumi. Un'altra è l'accordo di programma del “Gelso Rosso”, a levante, oltre le Samarelle, contro il quale mi opposi convintamente perché difforme da ogni previsione di piano e previsto su terreno agricolo. La realizzazione di quest'ultimo, su responsabilità dell'attuale amministrazione, significherebbe, di fatto, affermare che tutto si può fare dappertutto, cioè l'annullamento del PRG e di ogni criterio di programmazione. Fare il mucchio, paradossalmente conviene alla nuova spinta speculativa che, a Molfetta come in tutta la Puglia, si sta abbattendo sul territorio in nome della libertà di fare. Al contrario mantenere una soglia razionale e lucida nelle distinzioni (l'atteggiamento che oggi si riconosce come riformismo) significa accogliere la libertà di fare ma all'interno di un quadro di regole chiaro ed efficace. Significa tracciare la linea di demarcazione tra uno sviluppo sostenibile e uno non sostenibile. In fondo, distinguere il centrosinistra dal polo. Allora si può continuare a discutere se altri modelli di sviluppo (?) siano concretamente possibili per Molfetta, ma nel frattempo è una follia regalare alla destra la 'visione' di città produttiva e di qualità, contenuta nel libretto verde del '94. Quella è nostra, ci appartiene e loro, come dimostra questo primo anno di amministrazione, sono persino incapaci (vedi l'inconsistente kermesse sull'agenda XXI) di portarla avanti, di proseguire il processo di innovazione. E quella scelta resta strategica, ancora oggi, per il centrosinistra: senza rompere la spirale speculativa del mattone, la città non avrà mai un'economia, dunque non sarà veramente libera e i cittadini autonomi. Chi ricorda come hanno raccolto il consenso nell'ultima competizione elettorale, avrà compreso come lo sviluppo (e l'occupazione) costituisca un prerequisito della democrazia. A Matteo D'Ingeo, che, con indefettibile certezza, continua ad addebitarci un'insufficienza “repressiva” vorrei ricordare che al processo “Reset-Bankomat” non ci è andato solo lui come teste ma anche il sottoscritto in qualità di rappresentante del comune costituito come parte lesa. E può ancora leggere agli atti del processo, tra le prove, le martellanti missive con le quali ci guadagnammo l'attenzione concreta dell'autorità giudiziaria sul caso Molfetta e, perfino, l'amicizia duratura col procuratore Emiliano. Ma, per restare più aderenti al perimetro della politica per la legalità, si dovrebbe rinverdire la memoria almeno su uno dei suoi temi preferiti, il commercio sulle aree pubbliche. In realtà, tanti se ne potrebbero citare, di temi molto cari ai molfettesi, su cui, spesso con scelte anche coraggiose e impopolari, abbiamo ripristinato un sistema e, soprattutto, una cultura delle regole, dai concorsi interni, al pagamento delle multe, all'assegnazione dei cassettoni fino alle concessioni edilizie. Ma restiamo al commercio. Sfugge al d'Ingeo che, per la prima volta nella storia locale degli ultimi decenni, a ridurre drasticamente fino quasi allo zero la vendita su aree pubbliche e a rimodulare il sistema delle piazze è stata un'amministrazione civica e non la magistratura, con un lavoro paziente, rischioso, durissimo e ingrato anche dal punto di vista del consenso. Insomma abbiamo iniziato a dimostrare concretamente che solo rispettando le regole si possono risolvere i problemi di tutti. Certo il cammino è ancora lunghissimo e difficilissimo, ma questa e non la repressione è la strada maestra della politica. Resta, comunque, l'auspicio, caro direttore, che il dibattito prosegua fino in fondo. Forse, solo allora, dopo aver consumato un confronto maturo e serio sull'esperienza di governo della quale siamo stati protagonisti, il centrosinistra potrà ritrovare la fierezza della sua storia e una bussola per la prospettiva. Spero non avvenga troppo tardi. Spero che non trascorra molto tempo prima di poter ascoltare un'opposizione autorevole ai numerosi fatti gravi che si stanno consumando a Molfetta: dalla crisi economica profondissima della città alla strategia di occupazione finanziaria della famiglia Azzollini, dal nuovo stallo speculativo sul PRG alla nuova emergenza sulla legalità nell'amministrazione civica (della quale a breve potrebbe tornare a occuparsene la magistratura), dal miserevole baratto dell'ospedale (e della dignità dei molfettesi) all'altrettanto penoso fallimento del 'governo a rete'. E' passato poco più di un anno e sembra di vivere in un'altra città, asservita e priva di orgoglio. Eppure, dalla sapienza ebraica, sappiamo che “l'esilio ebbe fine quando gli ebrei cominciarono a sopportarlo”. Quel momento forse non è poi così lontano. Guglielmo Minervini
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