Gli alberi dormono in piedi
Il racconto
Il comitato si riunì quando le primi radici di un pino si cominciarono ad intravedere sotto il water del signor Bellapianta. Questi era comodamente seduto sulla sua tazza, immerso nei pensieri più disparati quando il suo tallone indispettito da una strana asperità andò a carezzare il tubero nodoso d’un fusto che gli parve dapprima un suo sigaro caduto ma poi a guardar bene, sganasciandosi sul sanitario non nutrì più dubbio alcuno: era una radice d’albero! La radice di uno di quei pini che in più di cent’anni aveva perforato metà strada sino ad arrivare sotto il suo pianerottolo. Lesto, il signor Bellapianta che già anzitempo aveva a lungo disquisito con altri signori del posto era andato a sollecitare l’amministratore che a sua volta aveva indetto una riunione con gli altri condomini di altre palazzine adiacenti e che inevitabilmente pativano lo stesso disturbo. Parcheggiare le proprie auto lì nei pressi era diventato impossibile, a forza di fare su e giù, gli ammortizzatori s’erano distrutti; sostare nemmeno, camminare figuratevi, i pedi rischiavano di inciabattarsi; figuratevi poi camminare con una carrozzella! La signora De Biase s’era quasi catapultata, le sue braccia alla presa con le ruote, al cospetto di quelle poderose nervature, avevano tentato una forzatura ma ne era risultato uno slittamento delle ruote stesse con conseguente impatto a mo’ di catapulta del corpo di quella sventurata. In tanti s’erano recati al Comune a protestare, e diverse persone avevano intentato delle azioni giudiziarie per farsi risarcire delle cadute e dei danni alle proprie automobili e motociclette. Quando giunse il tecnico del Comune ed entrò nella casa del Signor Bellapianta la scena fu singolare: le radici che fino alla stessa mattina occupavano ormai metà stanza finendo in delicati ceppi primaverili sulla vasca da bagno, erano come per incanto spariti. Qualcuno li aveva visti addirittura retrocedere come fossero tentacoli di un polpo astuto. Fortunatamente il signor Bellapianta aveva scattato delle belle fotografie che ben ritraevano l’intruso ma quel giorno si dovette scusare poiché pur mostrando le foto il tecnico e l’ingegnere davano chiari segni di scetticismo. Passarono tre settimane da quel fatto strano, ed intanto le radici erano tornate più forti che mai! Ormai occupavano l’intero piano terra della palazzina, in alcuni punti s’aggrovigliavano come capelli arruffati raccolti alla bella e meglio. Tutti ormai scattavano fotografie ma c’è che nel momento in cui arrivavano i tecnici, e gli addetti alla potatura ecco che magicamente quello spettacolo spariva. Non v’era più traccia. Quei pini avevano conferito respiro, ombra e ossigeno per più di un secolo; ne avevano viste di trasformazioni e avevano col tempo solidarizzato con tutti i cani e le cagne, i gatti, i topi, uccellini e corridori. Erano testimoni del tempo. I pini non potevano più arrestare la loro crescita e tra loro si rimproveravano che non si poteva continuare così, che pure loro sono esseri viventi ed hanno diritto a crescere, ad espandersi, a vivere. Che per trovare acqua, bene sempre più difficile da reperire, erano costretti ad entrare nelle case delle gente, ma questo era puro istinto di sopravvivenza nulla di più. Nonostante le proteste degli ambientalisti nel primo giorno di Maggio s’unì la squadra dei falciatori e questi misero a ferro e fuoco quella striscia di verde e di ombra che aveva reso la punta della strada una meravigliosa bretella verde urbana. C’era chi sondava il terreno, chi spazzava, chi comandava terribili macchine, chi scuoteva le cime di quei pini e chi inesorabilmente segava i tronchi. Come soldatini di uno scacchiere bellico ad uno ad uno quelle verdissime creature paradisiache cadevano. Impietose le mani degli operai che ne riscattavano le cortecce, le cime, le pigne. Uno spoglio macabro che faceva rabbrividire persino le persone più giovani che non avevano ancora stabilito un legame solido con quegli esseri viventi. A pensare che ognuno di quegli alberi era stato testimone d’un tempo passato, più facile, più felice, più bello! S’era scatenato un gran chiacchiericcio a riguardo: c’è chi diceva che si potevano salvare, che si potevano ideare piani alternativi come in altre città avevano fatto! E c’è chi addossava tutta la colpa al sindaco che non si era mai mostrato un “pollice verde”. Gli alberi erano stati distrutti dalla voracità del tempo. Era come stato fare una ferita alla città. Ma quei pini non si erano arresi. Le loro radici erano andate lontano pur avendo corpo ed anima mozzati. Le radici seppur segate continuano oggigiorno a scavare il terreno, a mordere il cemento ed a cercare luce e nutrimento. Cercano indarno il loro microfono per suggellare ancora il patto tra gli uomini e la Natura e per ricordarci che i primi abitanti della terra furono loro e che noi uomini gli abbiamo scippato la dignità oltre che la poesia. Gli alberi dormono in piedi ed è per questo che ci sorvegliano, sorvolano, sopportano, fintanto che un giorno stanchi di noi ci soffocheranno con una pigna nella bocca. © Riproduzione riservata
Francesco Tammacco