Giuliano Foschini di Repubblica a Molfetta racconta la mafia foggiana
Intervistato dal giornalista professionista Michele de Sanctis con la partecipazione dell'avv. Maurizio Altomare dell'Associazione antiracket
Maurizio Altomare, Michele de Sanctis, Giuliano Foschini
MOLFETTA - Per un pugliese, precisamente nato a Barletta, è difficile fare i conti con quella che è la dura realtà della mafia foggiana. Ma ancor peggio sarebbe restarne indifferente. È per questo che Giuliano Foschini, giornalista di Repubblica, ospite della rassegna “Conversazioni dal Mare”, organizzata dall’associazione Artemia Eventi e tenutasi in Piazza Municipio a Molfetta, ha presentato il suo libro “Ti mangio il cuore”.
A discutere sul tema, nell’ottica di Giovanni Falcone secondo cui “le cose esistono soltanto se vengono raccontate”, sono stati il giornalista professionista Michele de Sanctis e l’avv. Maurizio Altomare, vice presidente dell’Associazione antiracket.
«Il libro nasce da un viaggio negli abissi del Gargano. Un viaggio assolutamente necessario per raggiungere quella consapevolezza indispensabile per l’abbattimento della diffusa dissimulazione» ha spiegato l’autore, rispondendo alla curiosità espressa dal moderatore Michele de Sanctis in merito all’origine di quello che può definirsi un romanzo-inchiesta, scritto insieme a Carlo Bonini.
È l’avv. Altomare, invece, a precisare come la mafia foggiana sia forse uno dei più clamorosi casi di sottovalutazione criminale nel nostro Paese. Cadaveri con volto sfigurato, niente puniti e, ancor peggio, niente pentiti.
«Nelle città del foggiano la mafia è un tabù, e lo era soprattutto in passato, quando gli episodi di criminalità organizzata erano totalmente trascurati dalla cronaca locale e regionale».
Il lato più struggente di questi spiacevoli episodi riguarda la città di Vieste, che in estate raggiunge un elevatissimo tasso di turismo. Proprio qui, a malincuore, turisti da tutta Italia, e anche da tutto il mondo, hanno assistito esterrefatti ad atti intimidatori come teste di cavallo mozzate e furgoni incendiati, tanto per citare alcuni esempi.
Impossibile non fare menzione, a tal proposito, del 9 agosto 2017, data in cui il quadruplice omicidio a San Marco in Lamis, che colpì due innocenti, scatenò l’attivazione del moto antimafia locale e nazionale. Altrettanto impossibile dimenticare il processo Medioevo, che si può considerare la prima pagina giudiziaria sulla criminalità a Vieste. Fu durante l’occasione che da lì partirono pullman di commercianti pronti a testimoniare, senza il timore di non essere creduti, e pullman di gente pronta ad accusare i propri parenti. Non fu così scontato il riconoscimento della mafiosità degli imputati, le cui malefatte non potevano più essere ignorate. Persino la formazione di un’associazione antiracket, attiva ancora oggi, non fu affatto semplice: la selezione dei soggetti che ne dovessero far parte necessitava di molta cura in quanto, in una zona di residenza ristretta come quella in questione, erano numerosi i rapporti di parentela con i diretti interessati e i tentativi di infiltrazione e di sabotaggio.
Ma la nascita di questa associazione è stata determinante per portare a galla tanti casi eclatanti fino a quel momento celati. I relatori sono stati concordi nell’affermare come un’associazione rappresenti uno scudo che protegge il singolo, fino a prima accusato di ingigantire la storia della criminalità organizzata a Foggia, impotente ed indifeso contro una quarta mafia le cui azioni per il ricavo del pizzo arrivavano perfino all’imposizione della fornitura di merci a scopi illegali, con il conseguente peggioramento delle imprese locali, in tal modo costrette al finanziamento di queste organizzazioni clandestine.
Fortunatamente l’associazione antiracket sorta in risposta all’evento di tale portata non è più l’unica sul territorio, nel quale, secondo il parere dell’autore, non sono sufficienti la consapevolezza e il riscatto.
«Ciò che conta veramente è una reale presa di coscienza da parte della politica. Chi ci governa deve sapere e deve agire, perché la società civile ha bisogno di input. Lo Stato ha risposto a questi episodi e oggi ha vinto sulla mafia, ma è passato troppo tempo da quando ha iniziato a fare interventi concreti».
Il sindaco allora in carica non osò esporsi più di tanto, ma le successive elezioni nel territorio, videro presentarsi una proposta amministrativa diversa, dal carattere antimafioso.
Lo stesso carattere che il libro prova ad offrire, quasi come una scommessa, per trasmettere un messaggio ben preciso: parlare non è una vergogna. Parlare significa andare alla radice dei problemi, estirparli. Dare coraggio alle vittime e una lezione ai carnefici.
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